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In vigore al: 28/02/2015

Corte costituzionale - Sentenza N. 38 del 31.01.1991
Formazione professionale - Controllo attraverso gli Ispettori del Lavoro - Esigenza del rispetto della normativa comunitaria per la corretta utilizzazione die contributi del Fondo sociale europeo - Spettanza dello Stato d'intesa con le regioni interessate

Sentenza (17 gennaio) 31 gennaio 1991 n. 38; Pres. Conso, Red. Ferri
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso del 19 giugno 1990 (reg. confi. n. 20 del 1990) la Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine alla circolazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 32/90, in data 2 aprile 1990, avente ad oggetto « Vigilanza sulle attività formative. Istruzioni sulle verifiche e controlli del Ministero del lavoro effettuate attraverso gli ispettorati del lavoro ».
Sostiene la ricorrente che, ai sensi degli artt. 117 comma 1, e 118 comma 1 Cost., e a norma della legislazione ordinaria di attuazione, non spetta allo Stato il potere di modificare con circolare ministeriale il riparto di competenza tra Stato e Regioni in materia di vigilanza sulle attività formative, assegnando al Ministero del lavoro, e per esso agli ispettorati del lavoro, i relativi compiti di verifica e controllo sulle azioni di formazione professionale di competenza regionale.
Dopo aver premesso che la potestà legislativa e amministrativa in materia di formazione professionale compete alle Regioni ai sensi delle sopraindicate norme costituzionali, la Regione ricorrente espone che nella legislazione ordinaria la materia è disciplinata, oltre che dagli artt. 35-41 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, dalla 1. 21 dicembre 1978 n. 845 (legge-quadro in materia di formazione professionale), la quale ribadisce la titolarità regionale delle relative funzioni.
Allo Stato l'art. 18 della citata legge riserva specifici compiti, che debbono necessariamente essere svolti a livello nazionale, tra i quali anche alcuni consistenti nella diretta erogazione di attività di formazione professionale. Ed è ovvio, prosegue la ricorrente, che in relazione a tali attività lo Stato dispone anche dei connessi poteri di vigilanza e controllo.
Il medesimo art. 18 affida poi allo Stato alcuni compiti di finanziamento o di finanziamento integrativo: così a quest'ultimo spetta — oltre che « l'inoltro alla Comunità economica europea, o ad altri organismi internazionali » — il « finanziamento integrativo dei progetti formativi ammessi al concorso dei fondi comunitari o internazionali » (lett. g), nonché « l'assistenza tecnica e il finanziamento delle iniziative di formazione professionale, d'intesa con le Regioni e tramite esse, nei casi di rilevante squilibrio locale tra domanda e offerta di lavoro » (lett. h).
In relazione a tali ipotesi, nelle quali attività di formazione professionale di competenza regionale sono cofinanziate dallo Stato (iniziative ammesse al finanziamento del Fondo sociale europeo) o finanziate dallo stesso (progetti speciali di cui alla citata lett. h), ad avviso della ricorrente lo Stato potrà richiedere alla Regione la documentazione più idonea a dimostrare la regolarità delle domande e della gestione, ma ogni attività diretta ed operativa, ivi compresa l'effettuazione dei controlli da svolgersi in loco, spetta necessariamente ed esclusivamente alla Regione; ciò in quanto il ruolo di finanziatore non attribuisce allo Stato la titolarità della funzione finanziata, che rimane quindi regionale.
Inoltre, la distinzione tra gli « accertamenti tecnico-contabili » e la « attività di sorveglianza in senso lato », la quale spetterebbe in generale al Ministero, stravolge, prosegue la ricorrente, il riparto di compiti fissato dalla Costituzione e dalle leggi, e contraddice quanto stabilito con la sentenza di questa Corte n. 216 del 1987, secondo la quale (per le sole azioni di portata nazionale e pluriregionale) le certificazioni contabili appartengono alla competenza dello Stato, mentre « il profilo sostanziale risiede nel preventivo controllo »: e se tale controllo spetta anche allo Stato per le azioni pluriregionali e nazionali, ne consegue che esso spetta integralmente alle Regioni per le azioni di portata solo regionale.
Né una speciale competenza statale per i controlli potrebbe dedursi (secondo quanto la circolare pare adombrare al punto c) della premessa) dalla normativa comunitaria, e specificamente dai due regolamenti n. 2052 del 1988 e n. 4253 del 1988.
Se infatti i due regolamenti, ed in particolare gli artt. 23 e 25 del secondo, prevedono misure di controllo adottate dagli « Stati membri », con tali disposizioni la normativa comunitaria intenderebbe riferirsi allo Stato come insieme, ma non attribuire una competenza specifica e particolare allo Stato come persona del diritto interno. Il che verrebbe reso esplicito dal citato art. 23, ove si dice che gli Stati effettuano i controlli « conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali ».
La fondatezza della rimostranza regionale sarebbe inoltre confermata dalla giurisprudenza di questa Corte, che con la citata sent. n. 216 del 1987 ha stabilito che solo in relazione ad « azioni di formazione professionale di portata nazionale o pluriregionale poste in essere da enti di diritto pubblico ed ammesse a contributo da parte del Fondo sociale europeo » può spettare allo Stato eseguire controlli per campione rappresentativo, congiuntamente alle Regioni interessate, e certificare l'esattezza di fatto e contabile delle indicazioni contenute nelle domande di pagamento del contributo concesso.
Infine, la Regione prospetta anche la violazione delle norme di legge ordinaria che disciplinano oggi la materia: norme che dovrebbero venire esse in primo luogo modificate, se si volesse mutare i compiti riservati allo Stato, s'intende nei ristretti limiti in cui lo possa eventualmente consentire il riparto costituzionale di competenze. Anche sotto questo profilo, conclude la ricorrente, una circolare ministeriale non costituisce comunque uno strumento giuridicamente idoneo ad intervenire, alternando l'ordine delle competenze stabilite dalla legislazione ordinaria attuativa del disegno costituzionale. Ad essa mancherebbe, infatti, il necessario fondamento legislativo, secondo il requisito primo di legalità degli atti di indirizzo, come stabilito sin dalla sent. n. 150 del 1982 di questa Corte.
2. Argomentazioni analoghe vengono espresse dalla Regione Veneto nel suo ricorso avverso la medesima circolare (reg. conf l. n. 24 del 1990).
La Regione denuncia, in particolare, il vizio di eccesso di potere, dovuto alla utilizzazione dello strumento amministrativo per finalità che avrebbero semmai richiesto l'intervento del legislatore, da un lato, e del massimo organo governativo dello Stato, dall'altro: e ciò perché l'oggetto dell'atto impugnato corrisponde in realtà ad una pretesa ridefinizione di una materia regionale, nonché alla individuazione di poteri statali connessi a pretese esigenze di carattere unitario.
Sostiene, inoltre, la ricorrente che, nel presupposto della connessione tra formazione professionale e disciplina del lavoro e dell'occupazione, la l. n. 845 del 1978 ha dettato una disciplina rispettosa della sfera di autonomia regionale: detta legge-quadro delinea con molta ampiezza il campo dell'intervento regionale, affidando alle Regioni compiti non solo esecutivi, ma anche di programmazione, di gestione e controllo finanziario, di attuazione di compiti comunitari. La promozione dell'occupazione ha dunque sempre avuto un posto di preminenza tra le finalità delle attività di formazione, il che non ha impedito l'attribuzione alle Regioni di un complesso organico di competenze: attribuzione che, nel disegno della l. n. 845 del 1978, precede la regolamentazione dei profili finanziari e la condiziona, secondo un corretto criterio di logica normativa.
3. Le medesime violazioni degli artt. 117 e 118 Cost., nonché delle norme di cui al d.P.R. n. 616 del 1977 e alla l. n. 845 del 1978, vengono dedotte, con argomentazioni sostanzialmente analoghe, nei ricorsi presentati dalle Regioni Toscana, Lombardia e Umbria (reg. confl. nn. 26, 27 e 28 del 1990).
In sintesi, le predette ricorrenti sostengono che la circolare emanata dal Ministero del lavoro disattende sotto più profili i criteri legislativi di riparto delle competenze tra Stato e Regioni, come interpretati da questa Corte nella decisione n. 216 del 1987, pur più volte invocata nella circolare stessa a sostegno della disciplina in essa prevista. La circolare non prevede espressamente a favore delle Regioni né la potestà di partecipazione ai controlli statali, ne la esclusività della potestà regionale per le azioni di ambito non nazionale ne interregionale, ne infine la titolarità regionale dei controlli non svolti per campione.
Essa investe, con la propria formulazione onnicomprensiva, tutta l'attività di formazione realizzata con finanziamenti nazionali o comunitari, e perciò è suscettibile di coinvolgere, ad esempio, le azioni PIM, previste del regomamento (CEE) n. 2088 del 1985 del Consiglio del 23 luglio 1985 e da esso disciplinate così da essere sottoposte al controllo dei Comitati amministrativi regionali.
Alcune delle ricorrenti rilevano, poi, in particolare, la illegittimità sia della previsione secondo cui, in caso di competenza cosiddetta concorrente del Ministero del lavoro, viene affidato agli Ispettorati del lavoro un potere di indirizzo e coordinamento nell'attività di controllo, così gerarchizzando il rapporto con gli uffici regionali; sia della qualificazione di « polizia amministrativa » dell'azione svolta dagli Ispettorati stessi.
La Regione Umbria, infine, rileva, in ordine agli allegati della circolare impugnata, che essi sono in buona parte frutto di una lettura fuorviante della normativa di riferimento e, in particolare, sottolinea che alcune delle funzioni che il Ministero rivendica in via esclusiva (allegato 2) sono in realtà svolte d'intesa con le Regioni e tramite le stesse o addirittura su loro iniziativa (art. 18, lett. h e i. n. 845 del 1978), per cui l'attività di vigilanza e controllo rientrerebbe nell'ambito delle funzioni attribuite all'ente locale.
4. Si è costituito nei presenti giudizi (ad eccezione di quello promosso dalla Regione Emilia-Romagna), il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato dell'Avvocatura generale dello Stato.
La difesa del governo sottolinea preliminarmente che la più recente normativa comunitaria (emanata in attuazione del titolo V, aggiunto alla parte terza del Trattato di Roma con l'art. 23 dell'Atto unico europeo 17 febbraio 1986, reso esecutivo con l. 23 dicembre 1986 n. 909) ha apportato modifiche alle strutture ed alle regole di funzionamento degli esistenti fondi a finalità strutturale, per razionalizzarne le rispettive missioni, rafforzarne l'efficacia e coordinarne gli interventi.
A tal fine, la circolare 2 aprile 1990 n. 32 (non senza aver richiamato i princìpi enunciati dalla decisione n. 216 del 1987 di questa Corte, più volte citata) ha analiticamente ripartito — negli allegati 1 e 2 — le competenze concorrenti dello Stato e quelle esclusive a questo spettanti, avendo altresì cura di richiamare l'attenzione sulla necessità di ricercare e realizzare preliminari intese coi competenti servizi regionali per l'esercizio della vigilanza « quando la competenza del Ministero nella materia non è esclusiva ma concorrente, come nelle ipotesi di cofinanziamento dei progetti ».
Ciò premesso, l'Avvocatura confuta le censure formulate dalle ricorrenti, rilevando, in primo luogo, che la circolare impugnata non comporta interferenza sulle attività regionali, direttamente o indirettamente gestite, concernenti l'attuazione di interventi formativi.
Del pari può escludersi che, attraverso l'organo ispettivo, l'Amministrazione statale possa interferire sulla progettazione e programmazione delle attività per la formazione professionale a livello regionale.
In realtà, prosegue l'Avvocatura, il novum introdotto concerne soltanto l'esercizio della attività di vigilanza nel circoscritto ambito dell'attuazione di progetti di formazione finalizzati all'occupazione, per ciò stesso ammessi a beneficiare del cofinanziamento comunitario e statale.
Ma non sarebbe solo la rilevanza di simile compartecipazione finanziaria statale a giustificare l'approntamento di adeguate misure di riscontro della corretta utilizzazione delle risorse rispetto agli obiettivi dei progetti approvati, poiché a tal fine concorrerebbero le esigenze derivanti dalla regolamentazione comunitaria (v. reg. n. 4253 del 1988), che chiamando gli Stati membri a collaborare con appositi organismi di sorveglianza per la valutazione dei risultati socio-economici delle azioni intraprese, richiede impegni di osservazione e vigilanza eccedenti gli ambiti territoriali regionali e, proprio per ciò, da organizzare in maniera consona allo scopo.
Per contemperare dette esigenze con gli assetti istituzionali esistenti, la circolare avrebbe individuato ambiti in cui l'esercizio dell'attività di vigilanza debba essere effettuato in modo strettamente coordinato con le analoghe attività svolte da organi regionali. A questo riguardo, l'Avvocatura sottolinea, in conclusione, che alla determinazione predetta si sarebbe pervenuti dopo constatazione delle diverse attitudini e dei differenti livelli di impegno esplicati in tema di vigilanza da parte delle Regioni. Vale a dire che, accanto alla preordinazione di sistemi di vigilanza presenti soltanto in alcune Regioni, sussisterebbe una serie di realtà regionali molto differenziate, comprendenti situazioni nelle quali è riscontrabile assoluta carenza nella previsione e nella realizzazione di forme di controllo, tanto che, in almeno due casi, le Regioni avrebbero chiesto esplicitamente di potersi avvalere dell'ausilio dell'Ispettorato del lavoro onde sopperire ai compiti predetti.
5. Nell'imminenza dell'udienza hanno depositato memorie aggiuntive le Regioni Veneto e Umbria, insistendo sulle argomentazioni svolte nei rispettivi ricorsi.
 
Considerato in diritto: 1. Le Regioni Emilia-Romagna, Veneto. Toscana, Lombardia e Umbria sollevano conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine alla circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 32/90 del 2 aprile 1990 — avente ad oggetto: « Vigilanza sulle attività formative. Istruzioni sulle verifiche e controlli del Ministero del lavoro effettuate attraverso gli Ispettorati del lavoro » — in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., nonché alla normativa interposta di cui al d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 (artt. 6 e 35-41) e alla l. 21 dicembre 1978 n. 845 (legge-quadro in materia di formazione professionale).
Poiché i conflitti concernono il medesimo atto e si fondano su censure sostanzialmente identiche, i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
2. Le ricorrenti sostengono, in sintesi, che la circolare impugnata — sulla infondata premessa secondo cui la visione integrata della operatività dei fondi comunitari a finalità strutturale avrebbe attribuito un più marcato rilievo all'obiettivo della promozione dell'occupazione e sulla base anche di uno strumentale richiamo alla sent. n. 216 del 1987 di questa Corte — opera, in sostanza, una ridefinizione del riparto delle competenze tra Stato e Regioni in materia di formazione professionale. In particolare, ad avviso delle Regioni, la circolare illegittimamente assegna al Ministero del lavoro — e per esso agli Ispettorati provinciali — compiti di verifica e di controllo su ogni azione di formazione professionale (anche di portata esclusivamente regionale), ogni qualvolta vi sia un finanziamento o un cofinanziamento da parte dello Stato o della Comunità europea.
Le ricorrenti, pertanto, censurano la circolare nella sua interezza, per violazione delle competenze ad esse riconosciute in materia dall'anzidetta normativa costituzionale e interposta; ed alcune anche sotto il più radicale profilo dell'uso dello strumento amministrativo per finalità che semmai avrebbero richiesto l'intervento del legislatore (la Regione Veneto, in particolare, denuncia il vizio di eccesso di potere). Pur nella globalità delle censure (al limite, a volte, della genericità), le ricorrenti sottolineano poi alcune affermazioni dell'atto impugnato ritenute particolarmente lesive, vale a dire quella che assegna agli Ispettorati regionali un'azione di « coordinamento e di indirizzo » dell'attività di controllo in questione e quella che qualifica l'azione dell'Ispettorato del lavoro « di natura meramente di polizia amministrativa ».
Va detto, da ultimo, che le Regioni non contestano, nella sostanza, i due allegati della circolare, contenenti gli elenchi delle disposizioni di legge in base alle quali andrebbe distinta, rispettivamente, una competenza « concorrente » e una « esclusiva » del Ministero nella materia de qua, non contestano, cioè, le singole « voci » dei due elenchi, anche se non condividono le conseguenze che sul piano dell'attività di controllo la circolare fa derivare dall'anzidetta ripartizione.
3.1. Va preliminarmente osservato che, come esattamente rileva l'Avvocatura dello Stato, il dedotto vizio di eccesso di potere, sotto il profilo dell'uso, nel caso di specie, di uno strumento amministrativo (circolare) laddove sarebbe stato semmai necessario, per modificare il riparto di competenze tra Stato e Regioni, l'intervento di una legge (e di un eventuale successivo atto di indirizzo e coordinamento nelle forme prescritte), non può assumere di per sé autonomo rilievo, disgiuntamente dall'esame del concreto contenuto dell'atto impugnato, cui occorre pertanto procedere.
Da un'attenta lettura dell'atto stesso (lettura non facile in quanto la circolare non costituisce certamente un esempio di chiarezza e precisione), possono trarsi le seguenti considerazioni.
La circolare si rivolge essenzialmente agli Ispettorati regionali e provinciali del lavoro, al fine di impartire agli stessi una serie di istruzioni in materia di vigilanza e di controllo sulle attività di formazione professionale attuate da operatori pubblici o privati ed ammesse al finanziamento statale, con o senza il concorso del Fondo sociale europeo.
Occorre subito chiarire che l'ambito applicativo della circolare è delineato dalle norme di legge elencate nei due allegati: a dette norme va fatto diretto riferimento al fine di individuare la misura della competenza attribuita allo Stato. Ne consegue che la ripartizione effettuata negli allegati stessi, in buona parte tecnicamente inesatta oltre che terminologicamente impropria, non assume, di per sé, alcun rilievo ai fini della decisione.
Ciò posto, occorre prendere in considerazione la circolare innanzitutto  nella parte in cui essa si riferisce alle ipotesi di cosiddetta competenza « concorrente », poiché è entro tale ambito che sono essenzialmente dirette le doglianze di tutte le ricorrenti.
3.2. I ricorsi non sono fondati.
Come afferma la stessa circolare (e non è contestato nei ricorsi), le ipotesi normative di cui all'allegato I si riferiscono agli interventi formativi cofinanziati dal Fondo sociale europeo. Quest'ultimo (come già si sottolineò nella sent. n. 216 del 1987) costituisce essenzialmente uno strumento di promozione dell'occupazione (cfr. art. 123 del Trattato CEE e decisione del Consiglio n. 83/516/CEE); ciò è stato ribadito dalla più recente normativa comunitaria — richiamata nell'atto impugnato — secondo la quale compiti prioritari del Fondo sono la lotta contro la disoccupazione di lunga durata e l'inserimento professionale dei giovani (cfr. reg. n. 2052 del 1988, 10° « considerando » e art. 3, par. 2; reg. n. 4255 del 1988, art. 2, lett. a).
Per quanto qui interessa, assumono poi particolare rilievo gli artt. 23 e 25 del regolamento n. 4253 del 1988 (anch'essi richiamati nella circolare). Il primo impone, tra l'altro, agli Stati membri di adottare le « misure necessarie per: verificare periodicamente che le azioni finanziate dalla Comunità siano state attuate correttamente; prevenire e sanzionare le irregolarità; ricuperare i fondi persi a causa di un abuso o di una negligenza »; aggiunge altresì che « tranne nel caso in cui lo Stato membro e/o l'intermediario e/o il promotore apportano la prova che l'abuso o la negligenza non è loro imputabile, lo Stato membro è sussidiariamente responsabile per il rimborso delle somme indebitamente versate ». E anche previsto che gli Stati mèmbri informino la Commissione delle misure adottate e in particolare dell'evoluzione dei procedimenti amministrativi e giudiziari. L'art. 25 dispone, poi, che « nel quadro della compartecipazione la Commissione e gli Stati membri assicurano una sorveglianza efficace dell'attuazione del contributo dei Fondi a livello di quadro comunitario di sostegno e di azioni specifiche (programmi, ecc.). Questa sorveglianza è attuata per mezzo di relazioni elaborate secondo procedure adottate di comune accordo, di controlli per sondaggio e di comitati costituiti a tal fine ».
Dalle citate disposizioni deriva chiaramente che sussiste una responsabilità dello Stato verso la Comunità in ordine alla corretta utilizzazione dei contributi comunitari.
Va, poi, rilevato che nella circolare impugnata, e precisamente nella parte intitolata « Coordinamento della vigilanza », è previsto che, nei casi in esame, « verrà ricercata e realizzata preliminarmente l'intesa con i competenti servizi regionali in modo da procedere sul piano operativo all'effettuazione delle verifiche »: ciò vuoi dire che i controlli andranno effettuati con la diretta e paritaria partecipazione degli organi regionali, secondo la forma di attuazione più autentica del principio di cooperazione, più volte richiamato da questa Corte (cfr., da ultimo, la sent. n. 448 del 1990 e precedenti ivi indicate).
Può anche ritenersi, infine, che i suddetti controlli non escludono che le Regioni possano procedere a loro volta ad autonome operazioni di verifica.
Deve pertanto concludersi, sulla base delle considerazioni sin qui svolte, che la circolare impugnata non lede le competenze delle ricorrenti nel prevedere che, in ordine ad azioni di formazione professionale cofinanziate dal Fondo sociale europeo, lo Stato svolga, d'intesa con le Regioni interessate, un'attività di controllo e vigilanza sugli operatori, al fine di assicurare il rispetto della normativa comunitaria relativamente alla corretta utilizzazione dei contributi del Fondo stesso (cfr., per analoghe conclusioni, la citata sent. n. 448 del 1990, in tema di controlli sulle aziende beneficiarle di aiuti comunitari nel settore agricolo).
3.3. Per quanto concerne l'affermazione contenuta nella circolare (ed oggetto di specifica censura da parte di alcune delle ricorrenti), secondo la quale « gli Ispettorati regionali eserciteranno quell'azione di coordinamento e di indirizzo sull'attività di controllo in questione, evitando che nell'azione di vigilanza sugli operatori si verifichino situazioni di concorrenza o, peggio, di contrasto tra Stato e Regioni », essa non viola la competenza regionale, in quanto i destinatari di tale azione di coordinamento ed indirizzo svolta dagli Ispettorati regionali del lavoro (secondo quanto previsto, del resto, in linea generale, dall'art. 3 comma 5 l. 22 luglio 1961 n. 628) vanno chiaramente individuati negli Ispettorati provinciali, ai quali direttamente spetta, secondo la circolare stessa, effettuare la vigilanza.
In ordine, infine, alla frase dell'atto impugnato, secondo cui l'azione dell'Ispettorato del lavoro è « di natura meramente di polizia amministrativa », pur prescindendo dal rilievo che non può attribuirsi di per sé capacità lesiva alle mere qualificazioni giuridiche, va escluso che essa leda le competenze regionali, alla luce di quanto affermato in merito alla responsabilità dello Stato verso la Comunità e alle modalità di svolgimento — sul piano paritario tra Stato e Regioni — della funzione in questione.
4. Occorre a questo punto passare ad esaminare le censure che alcune delle ricorrenti sollevano in ordine a talune delle funzioni che la circolare include nell'allegato 2 (cosiddetta competenza « esclusiva » del Ministero). In particolare, la Regione Umbria osserva che quelle di cui all'art 18, lett. h e i, l.-quadro n. 845 del 1978 sono svolte d'intesa con le Regioni e tramite esse, o su loro iniziativa, con la conseguenza che l'attività di vigilanza e controllo rientrerebbe nell'ambito delle funzioni attribuite alle Regioni stesse. La Regione Emilia-Romagna, a sua volta, rileva, in ordine alla sola lett. h dell'art. 18, che il ruolo di finanziatore svolto in tal caso dallo Stato non vale ad attribuirgli la relativa funzione di controllo.
Anche sotto gli indicati profili i ricorsi, nei termini di cui appresso, non sono fondati.
Ai sensi dell'art. 18, lett. h, della citata l.-quadro, spettano al Ministro del lavoro, per quanto qui interessa, « l'assistenza tecnica e il finanziamento delle iniziative di formazione professionale, d'intesa con le Regioni e tramite esse, nei casi di rilevante squilibrio locale tra domanda e offerta di lavoro, secondo quanto previsto dall'ari. 36 comma 2 d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616 ». La successiva lett. i prevede che spetta allo stesso Ministro « l'organizzazione e il finanziamento, d'intesa con le Regioni e su loro iniziativa, di corsi di aggiornamento del personale impiegato nelle iniziative di formazione professionale secondo quanto previsto dall'art. 4, lett. h) ».
Quanto alla prima delle norme in esame, va osservato, da un lato, che l'elemento del « rilevante squilibrio locale tra domanda e offerta di lavoro » giustifica, per l'evidente nesso con la politica dell'occupazione, l'intervento statale nella relativa funzione di vigilanza e, dall'altro, che tale funzione non può tuttavia non svolgersi anch'essa — come le altre previste nella stessa norma — d'intesa con le Regioni interessate. Analogamente, quanto alla lett. i dell'art. 18, la previsione di una procedura d'intesa relativamente alle attività indicate in detta disposizione non può non comportare che identico meccanismo debba seguirsi in ordine all'accessoria funzione di controllo.
Ciò posto — e premesso, come già sopra osservato, che la mera qualificazione delle funzioni in esame come « esclusive » è impropria, quando non tecnicamente errata, e che alla stessa non può attribuirsi di per sé alcun preciso rilievo sostanziale in assenza di conseguenze concretamente lesive delle competenze regionali tratte nella parte dispositiva della circolare — deve ritenersi che la necessità della procedura d'intesa per lo svolgimento dell'attività di vigilanza relativamente alle ipotesi normative in questione discende con evidenza dalle norme richiamate dalla circolare stessa, la quale, quindi, non può che essere interpretata conformemente alla l.-quadro ed alla Costituzione.
5. Una volta escluso che l'atto impugnato — inteso nella sua reale portata e nei suoi esatti termini — abbia comunque inciso sul riparto costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni nella materia de qua, viene chiaramente a cadere anche il denunciato vizio di eccesso di potere.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a.) dichiara che spetta allo Stato, e per esso agli Ispettorati del lavoro, svolgere, in relazione ad azioni di formazione professionale cofinanziate dal Fondo sociale europeo, d'intesa con le Regioni interessate, l'attività di vigilanza e di controllo sugli operatori di cui alla impugnata circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 32 del 2 aprile 1990, alfine di assicurare il rispetto della normativa comunitaria in ordine alla corretta utilizzazione dei contributi del Fondo stesso
b) dichiara che spetta allo Stato, e per esso agli Ispettorati del lavoro, svolgere, in ordine alle attività di formazione professionale di cui all'art. 18, lett. h e i, l. 21 dicembre 1978 n. 845, d'intesa con le Regioni interessate, l'attività di vigilanza e controllo di cui alla citata circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
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