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In vigore al: 28/02/2015

Verfassungsgerichtshof - Urteil vom 3. Juni 2013, Nr. 133
Regionales Familiengeld – fünfjährige Ansässigkeit in der Region – Einschränkung dieser Voraussetzung auf Nicht-EU-Bürger - Gesetzeswidrigkeit

Verfassungsgerichtshof: Urteil vom 3. Juni 2013, Nr. 133 (deutsche Fassung)

 

Sentenza 3 giugno 2013 (7 giugno 2013), n. 133; Pres. Mazzella; Red. Frigo

 

Ritenuto in fatto 1 .– Con ricorso spedito per la notificazione il 17 febbraio 2012, notificato il 22 febbraio 2012 e depositato il successivo 23 febbraio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale in via principale:

a) dell’articolo 3, comma 3, della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/ Südtirol 14 dicembre 2011, n. 8 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol – Legge finanziaria), in riferimento agli articoli 3 e 117, secondo comma, lettera b), della Costituzione;

b) dell’articolo 7, commi 1 e 2, della medesima legge regionale, in riferimento all’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, della Costituzione.

1.1.– Il ricorrente rileva come l’art. 3, comma 3, della citata legge regionale, modificando l’art. 3, comma 1, della legge reg. 18 febbraio 2005, n. 1 (Pacchetto famiglia e previdenza sociale), introduca una distinzione tra i cittadini italiani e gli stranieri extracomunitari ai fini dell’erogazione dell’«assegno regionale al nucleo familiare per i figli ed equiparati», disciplinato dalla norma novellata. Mentre, infatti, ai cittadini italiani è richiesta la semplice residenza nella Regione, la corresponsione dell’assegno ai cittadini extracomunitari è condizionata al «possesso della residenza in regione da almeno cinque anni».

Ad avviso della difesa dello Stato, tale ultima previsione non sarebbe in linea con il disposto dell’art. 41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), che, ai fini della fruizione delle prestazioni e delle provvidenze, anche economiche, di assistenza sociale, equiparano ai cittadini italiani gli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno. Inoltre, l’art. 9 del citato decreto legislativo richiede, ai fini del rilascio del permesso CE per soggiornanti di lungo periodo, il possesso di un permesso di soggiorno per almeno cinque anni. Il quinquennio si riferisce, dunque, non alla residenza, ma solo alla regolare presenza nel territorio dello Stato.

La norma regionale censurata, nel subordinare l’attribuzione delle prestazioni assistenziali considerate al possesso, da parte dei cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, dell’ulteriore requisito della residenza in Regione per un periodo minimo ininterrotto di cinque anni, introdurrebbe una discriminazione tra cittadini italiani e cittadini extracomunitari lesiva dell’art. 3 Cost.

Come già rilevato dalla Corte costituzionale in rapporto ad analoghe norme regionali (sentenza n. 40 del 2011), non vi sarebbe, infatti, alcuna ragionevole correlazione tra il requisito di accesso ai benefici individuato dal legislatore regionale («il possesso della residenza in regione da almeno cinque anni») e le situazioni di bisogno e di disagio che le provvidenze in questione mirano a fronteggiare. La stessa Corte costituzionale ha, inoltre, precisato come, una volta che il diritto a soggiornare nel territorio nazionale non sia in discussione, non si possano «discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini» (sentenza n. 61 del 2011).

La disposizione censurata violerebbe anche la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di immigrazione (art. 117, secondo comma, lettera b, Cost.). La disparità di trattamento da essa introdotta inciderebbe, infatti, sullo «status economico-sociale dell’immigrato e del suo nucleo familiare, pregiudicandone l’uniformità sul territorio nazionale».

1.2.– Il Governo censura, in secondo luogo, l’art. 7 della legge reg. n. 8 del 2011, recante norme in materia di personale, con particolare riguardo alle previsioni dei commi 1 e 2. Il comma 1 stabilisce che, «a decorrere dal 1° luglio 2012, ai fini del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, ai sensi dell’articolo 79 dello Statuto di autonomia, i trattamenti economici conseguenti ai passaggi all’interno dell’area sono corrisposti nei limiti delle risorse del Fondo per il finanziamento del sistema di classificazione del personale». Il comma 2 dispone, a sua volta, che «il comma 1 si applica anche al personale delle Camere di Commercio, Industria, Artigiano e Agricoltura di Trento e di Bolzano».

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tali disposizioni si porrebbero in contrasto con quanto previsto dall’art. 9, comma 21, del decreto- legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in base al quale «per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte per gli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». Le norme censurate violerebbero, di conseguenza, l’art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento ai limiti della potestà legislativa regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Sarebbe violato, altresì, l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva allo Stato la competenza legislativa in materia di ordinamento civile, alla quale andrebbe ricondotta la disciplina dell’inquadramento dei lavoratori contrattualizzati e delle relative conseguenze economiche.

2.– Nel giudizio non si è costituita la Regione autonoma Trentino-Alto Adige.

3.– Con atto depositato il 4 settembre 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato al ricorso, limitatamente all’impugnazione dell’art. 7, commi 1 e 2, evidenziando come l’art. 1 della sopravvenuta legge reg. 18 giugno 2012, n. 3 (Disposizioni urgenti in materia di personale regionale, di Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, di ordinamento delle aziende pubbliche di servizi alla persona e di previdenza integrativa) abbia modificato le norme impugnate in modo da renderle conformi a Costituzione.

Considerato in diritto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale in via principale di alcune disposizioni della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol 14 dicembre 2011, n. 8 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol – Legge finanziaria).

2.– Il ricorrente impugna, in primo luogo, l’articolo 3, comma 3, di tale legge regionale, nella parte in cui – modificando l’art. 3, comma 1, della legge reg. 18 febbraio 2005, n. 1 (Pacchetto famiglia e previdenza sociale) – richiede, quale condizione per l’erogazione ai «cittadini stranieri extracomunitari» dell’«assegno regionale al nucleo familiare per i figli ed equiparati», il «possesso della residenza in regione da almeno cinque anni».

Ad avviso del ricorrente, la norma impugnata violerebbe l’articolo 3 della Costituzione, introducendo una discriminazione tra i cittadini extracomunitari e i cittadini italiani (ai quali è richiesta la semplice residenza in Regione) che apparirebbe arbitraria, stante l’assenza di ogni ragionevole correlazione tra il requisito di accesso legato a una particolare tipologia di residenza e le condizioni di bisogno e disagio della persona che le provvidenze in questione mirano ad affrontare.

Sarebbe violato, altresì, l’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost., che attribuisce alla competenza statale esclusiva la legislazione in materia di immigrazione, in quanto la durata minima della residenza in Regione richiesta allo straniero ai fini dell’accesso alle prestazioni di assistenza sociale atterrebbe «allo status economico-sociale dell’immigrato e del suo nucleo familiare, pregiudicandone l’uniformità sul territorio nazionale».

2.1.– In riferimento all’art. 3 Cost., la questione è fondata.

L’impugnato art. 3, comma 3, della legge reg. n. 8 del 2011, novellando l’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 1 del 2005, modifica i requisiti necessari per ottenere l’erogazione dell’«assegno regionale al nucleo familiare per i figli ed equiparati», disciplinato dalla norma novellata, con particolare riguardo alla condizione della residenza del richiedente nella Regione. Come precisato dal comma 4-bis dell’art. 3 della legge reg. n. 1 del 2005, l’assegno in questione è istituto allo scopo di integrare, nell’ambito delle competenze della Regione, le provvidenze previste dalla legislazione statale in materia previdenziale e di istituire «forme di tutela e di sostegno della famiglia nello svolgimento della sua funzione sociale». L’entità dell’assegno – che spetta a un solo richiedente per ogni nucleo familiare la cui condizione economica non superi i limiti stabiliti con regolamento regionale (art. 3, commi 1 e 4, della legge reg. n. 1 del 2005) – varia in funzione della composizione di detto nucleo (presenza o meno di entrambi i genitori, numero dei figli ed equiparati, presenza o meno di figli o equiparati disabili: tabelle A, B e C allegate alla legge reg. n. 1 del 2005).

Nel testo anteriore alla modifica operata dalla norma impugnata, l’art. 3, comma 1, della legge reg. n. 1 del 2005 prevedeva, in via generale, come condizione per l’ottenimento dell’assegno, che il richiedente fosse residente da almeno cinque anni nella Regione Trentino-Alto Adige o coniugato con persona in possesso di tale requisito.

La norma impugnata ha, per converso, operato una distinzione a seconda dalla nazionalità dell’interessato. La provvidenza è, infatti, riconosciuta ai cittadini italiani a condizione che risiedano in Regione (non importa da quanto tempo) o che siano coniugati con persona in possesso di tale requisito; ai cittadini comunitari, «entro i limiti e secondo criteri previsti dalla normativa europea in materia di coordinamento dei sistemi nazionali di sicurezza sociale»; ai cittadini extracomunitari, solo ove «in possesso della residenza in regione da almeno cinque anni». Ed è su tale requisito di “residenza qualificata” – attualmente previsto per i soli cittadini extracomunitari e tale, dunque, da attuare una disciplina differenziata e meno favorevole nei loro confronti – che si appuntano le censure del ricorrente.

2.2.– In proposito, questa Corte ha già avuto modo di affermare che al legislatore, sia statale che regionale, è consentito introdurre una disciplina differenziata per l’accesso alle prestazioni eccedenti i limiti dell’essenziale – tra le quali va inclusa quella qui considerata – al fine di conciliare la massima fruibilità dei benefici previsti con la limitatezza delle risorse finanziarie disponibili. La legittimità di una simile scelta non esclude, tuttavia, che i canoni selettivi adottati debbano comunque rispondere al principio di ragionevolezza, in quanto «è consentito […] introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria». Lo scrutinio va operato all’interno della specifica disposizione, al fine di verificare se vi sia una ragionevole correlazione tra la condizione prevista per l’ammissibilità al beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio (sentenza n. 432 del 2005).

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte ha già in più occasioni ritenuto costituzionalmente illegittime, per contrasto con l’art. 3 Cost., norme legislative regionali o provinciali che, come quella oggetto dell’odierno scrutinio, subordinavano il riconoscimento di determinate prestazioni assistenziali, nei confronti dei soli stranieri, alla residenza nella Regione o nella Provincia autonoma per un certo periodo minimo di tempo.

Al riguardo, si è in particolare rilevato che, in tema di accesso degli stranieri alle prestazioni di assistenza sociale, mentre la residenza costituisce, rispetto ad una provvidenza regionale, «un criterio non irragionevole per l’attribuzione del beneficio» (sentenza n. 432 del 2005), non altrettanto può dirsi quanto alla previsione di un requisito differenziale basato sulla residenza protratta per un predeterminato e significativo periodo minimo di tempo (nella specie, quinquennale). La previsione di un simile requisito, infatti, non risulta rispettosa dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto «introduce nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari», non essendovi alcuna ragionevole correlazione tra la durata della residenza e le situazioni di bisogno o di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità delle provvidenze in questione (sentenza n. 40 del 2011). Non è, infatti, possibile presumere, in termini assoluti, che gli stranieri immigrati nel territorio regionale o provinciale «da meno di cinque anni, ma pur sempre ivi stabilmente residenti o dimoranti, versino in stato di bisogno minore rispetto a chi vi risiede o dimora da più anni» (sentenza n. 2 del 2013; in prospettiva similare, sentenza n. 4 del 2013).

Le medesime considerazioni valgono evidentemente in rapporto alla norma oggi impugnata, che presenta un’analoga struttura. L’art. 3, comma 1, secondo periodo, della legge reg. n. 1 del 2005, nel testo risultante a seguito delle modifiche operate dal censurato art. 3, comma 3, della legge reg. n. 8 del 2011, va dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo, limitatamente alle parole – che in esso compaiono, con riferimento al requisito della residenza in Regione dei cittadini extracomunitari – «da almeno cinque anni».

Le censure riferite all’art. 117, secondo comma, lettera b), Cost. restano assorbite.

3.– Con riguardo alla concorrente impugnazione dell’art. 7, commi 1 e 2, della legge reg. n. 8 del 2011, di cui era stato denunciato il contrasto con l’art. 117, commi secondo, lettera l), e terzo, Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato atto di rinuncia al ricorso.

Per tale parte, il processo va dichiarato dunque estinto, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, stante la mancata costituzione in giudizio della Regione (ex plurimis, ordinanze n. 283, n. 282, n. 122 e n. 98 del 2012).

 

 

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, secondo periodo, della legge della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol 18 febbraio 2005, n. 1 (Pacchetto famiglia e previdenza sociale), come modificato dall’articolo 3, comma 3, della legge regionale 14 dicembre 2011, n. 8 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2012 e pluriennale 2012-2014 della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol – Legge finanziaria), limitatamente alle parole «da almeno cinque anni»;

2) dichiara estinto il processo quanto alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, commi 1 e 2, della medesima legge regionale n. 8 del 2011.

 

 

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