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Corte costituzionale - Sentenza N. 31 del 22.02.1983
Sostanze stupefacenti - Prevenzione e cura della tossicodipendenza.

Sentenza (28 gennaio) 22 febbraio 1983, n. 31; Pres. Elia – Rel. Ferrari
 
Ritenuto in fatto: 1. Con identici ricorsi in data 29 gennaio 1976, notificati lo stesso giorno, le province autonome di Trento e di Bolzano hanno impugnato gli artt. 1, 2, 3, 4, 8, 10, 13, 15, 27, 29,32, 36, 39, 84, 90, 91, 92, 94, 103 e 107 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, recante "Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza", assumendone il contrasto con gli artt. 8, n. 25, 9, n.10, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
Secondo le province ricorrenti, la legge impugnata, nel conferire una serie di attribuzioni alle regioni, avrebbe tenuto presente la competenza delle sole regioni a statuto ordinario in materia di "beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera" (art. 117 Cost.),omettendo di considerare le diverse e maggiori attribuzioni che competono alle regioni a Statuto speciale e, soprattutto, che tali attribuzioni, in base allo statuto del Trentino-AltoAdige, sono di spettanza non già della regione, bensì delle province.
La legge n. 685 del 1975 violerebbe dunque la sfera delle rispettive competenze amministrative per un triplice ordine di ragioni:
a) perché alcune disposizioni della legge attribuiscono poteri amministrativi alle regioni senza tenere conto che nel territorio della regione Trentino-Alto Adige la competenza nelle materie della "assistenza e beneficenza pubblica" nonché di "igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera" spetta non già alla regione, bensì alle due province che, nella legge, non sono neppure menzionate;
b) perché altre disposizioni della medesima legge "consentono al Governo di intervenire, dettando disposizioni di indirizzo e coordinamento al di là dei limiti entro i quali ciò sarebbe ammissibile (norme di principio), tenuto presente il tipo di competenza (primaria in materia di assistenza e beneficenza, secondaria in materia di igiene e sanità)costituzionalmente riconosciuta alle province trentine" (artt. 8, n. 25, e 9, n. 10, del d.P.R.n. 670 del 1972);
c) perché, infine, alcune disposizioni della legge impugnata attribuiscono ad organi dello Stato poteri di autorizzazione, ovvero di controllo e di vigilanza che, invece, spetterebbero alle province (in particolare: gli artt. 1, 3, 4, 15, 27, 29, 32 e 36).
2. Il Presidente del Consiglio dei ministri, costituitosi in entrambi i giudizi con la rappresentanza dell'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che i ricorsi vengano respinti.
Quanto alla prima censura, si osserva in particolare che con la legge impugnata fu anche approvato un ordine del giorno (presentato dall'on. Boffardi ed altri), con il quale il Governo veniva impegnato a tener conto che le funzioni attribuite alle regioni dovevano intendersi riferite, per quanto concerneva il Trentino-Alto Adige, alle province autonome di Trento e Bolzano, in relazione alle competenze loro spettanti ai sensi del d.P.R. n. 670 del 1972.Talché può ritenersi che l'individuazione dell'ente cui spettano le attribuzioni che la legge -e non solo quella impugnata - assegna alle regioni possa, nella regione trentina, compiersi sulla base dello speciale ordinamento costituzionale del Trentino-Alto Adige, anche in difetto di disposizioni che facciano espresso riferimento alle province. In ogni caso, essendo il Governo certamente impegnato all'osservanza di detto criterio interpretativo per quanto riguarda la legge in esame, i provvedimenti che, in sede di attuazione, fossero lesivi della competenza propria delle due province, non solo potrebbero essere impugnati innanzi alla "Corte costituzionale, ma sarebbero anche soggetti a censura politica da parte del Parlamento".
Quanto al secondo ordine di censure, l'Avvocatura afferma che il d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474,nel dettare le norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità, ha, con l'art. 3, n. 6, tenuto ferma la competenza degli organi dello Stato in ordine alla coltivazione, alla produzione, all'impiego, al commercio all'ingrosso, alla detenzione ed alla somministrazione di sostanze stupefacenti e psicotrope; e ciò, nella scia diquanto previsto dall'art. 6, n. 12, del d.P.R. n. 4 del 1972 per le regioni a statuto ordinario e dall'art. 2 del d.P.R. n. 869 del 1966 per il Friuli - Venezia Giulia. Onde deve ritenersi che la competenza riservata allo Stato non concerne solo l'emanazione di mere norme di principio, ma comprenda anche il "potere di coordinamento delle attività regionali - e, specie nel Trentino - Alto Adige, provinciali - relative alla cura ed alla riabilitazione da stati di tossico dipendenza (art. 1, secondo comma), con le modalità indicate nei titoli X e XII della legge (precisamente negli artt. 90, 91, 92, 94, 103, e 107)".
Del tutto ovvia, in relazione alla riserva contenuta nell'art. 3, n. 6, del d.P.R. n. 474 del1975, é infine, ad avviso dell'Avvocatura, la spettanza agli organi statali dei poteri di autorizzazione, vigilanza e controllo, in materia di produzione, commercio, impiego, detenzione e somministrazione delle sostanze predette (artt. 1, 3, 4, 15, 27, 29, 32 e 36 della legge impugnata).
3. Con due identiche memorie depositate il 22 aprile 1982, la difesa delle province di Trento e Bolzano ha replicato agli argomenti dell'Avvocatura dello Stato, osservando in primo luogo che un ordine del giorno ha valore di mera raccomandazione non vincolante per il Governo, per cui é malsicuro e, quindi, inaccettabile il criterio ermeneutico proposto; tanto più che, se la sentenza di questa Corte n. 190 del 1976 afferma doversi nella menzione delle "regioni a statuto speciale" intendere implicitamente incluse le province di Trento e Bolzano, l'anteriore sentenza n. 17 del 1956 ha statuito non potersi dubitare che "le province di Bolzano e Trento non sono in tutto e per tutto assimilabili alle regioni, ma fanno parte di una regione". La denunzia di illegittimità costituzionale - prosegue la difesa delle province - é rivolta al secondo comma dell'art. 1 della impugnata legge n. 685 del 1975, il quale sottopone "alle direttive, all'indirizzo e al coordinamento del Ministero della sanità" attività del tutto estranee alle competenze riservate agli organi dello Stato, quali sono appunto "la prevenzione, la cura e la riabilitazione" dei tossicodipendenti; tanto é vero ciò, che la provincia di Bolzano, con propria legge 7 dicembre 1978, n. 69, emanata in pendenza del ricorso, ha istituito un servizio di prevenzione, cura e riabilitazione delle forme di devianza sociale, compresa la tossicodipendenza, senza incontrare alcun ostacolo negli organi di vigilanza. Inoltre, in materia sanitaria ed assistenziale, gli artt. 4, n. 7, e 5, n. 2, del d.P.R. n. 670del 1972 attribuiscono alle province la competenza operativa concernente l'assistenza in se stessa, mentre spetta alla regione quella a livello di struttura; ebbene, la legge impugnata, non solo omette di distinguere fra i poteri delle province e quelli della regione, ma attribuisce allo Stato la potestà di intervenire direttamente, "sia attraverso la funzione di indirizzo e coordinamento" (art. 2), sia per mezzo "dei poteri sostitutivi nella formazione del Comitato dei centri contemplati negli artt. 91 e 92, sia infine con la presenza di rappresentanti statali negli altri organismi istituiti dalla legge". Da ultimo - conclude la difesa delle province - va rilevato che, prevedendo l'art. 103, quinto comma, il potere sostitutivo dello Stato alla regione nell'utilizzo dei fondi di provenienza statale, ove l'ente sia al riguardo ritenuto "inadempiente", appare lampante la lesione dell'autonomia delle province, come di tutte le regioni, dato che il giudizio dello Stato "prima ancora che tecnico, sarà sicuramente politico".
4. Alla pubblica udienza del 5 maggio 1982, la difesa dello Stato, in persona dell' Avvocato Giorgio Azzariti, e la difesa delle province, in persona dell'avv. Celestino Biagini, hanno ampiamente sviluppato i motivi già dedotti, insistendo nelle rispettive conclusioni.
 
Considerato in diritto: 1. I due ricorsi, proposti rispettivamente dalle province autonome di Trento e Bolzano, vanno riuniti e decisi con unica sentenza, in quanto entrambi investono la medesima normativa – venti articoli della legge 22 dicembre 1975, n. 685 - e formulano le medesime censure, lamentando chela legge de qua: ha omesso di precisare che le competenze da essa conferite in materia alle regioni spettano, nel Trentino-Alto Adige, alle due province ricorrenti; ha facoltizzato il Governo della Repubblica a dettare in materia disposizioni di indirizzo e coordinamento oltre i limiti consentiti dallo Statuto speciale; ha devoluto ad organi dello Stato poteri amministrativi - di autorizzazione, di vigilanza, di controllo - spettanti statutariamente alle ricorrenti.
2. La prima censura, con la quale vengono chiamati in causa ben tredici dei venti articoli impugnati, appare fondata. É un dato obiettivo, infatti, che la legge n. 685 del 1975 non indica mai nominatim le province di Trento e Bolzano quali attributarie delle competenze di che trattasi, bensì sempre e soltanto le "regioni" (artt. 2, 13, primo comma, 90, secondo, terzo e quarto comma 94, ultimo comma), i "consigli regionali" (artt. 92, primo comma, 94, primo e secondo comma, 107, secondo, terzo e quarto comma), la "giunta regionale" (art.92, secondo comma), i "comitati regionali" (artt. 10, primo e secondo comma, 90, terzo comma, punto 1, e quarto comma, 91, epigrafe e tutti i sei commi che lo compongono), gli "organi regionali" (art.13, capoverso), gli "uffici regionali" (art. 13, capoverso), i "centri regionali medici" (art.107, terzo comma), la "autorità sanitaria regionale" (art. 39, ultimo comma), le "statistiche... regionali" (art. 8, secondo comma, punto 4), etc. Ed é un dato obiettivo altresì che i già menzionati artt. 90, secondo comma, e 92, primo comma, dispongono rispettivamente che la regione delega taluni servizi alle "province" e che il consiglio regionale deve sentire le "amministrazioni provinciali".
Rileva al riguardo la difesa dello Stato che non v'è motivo di doglianza giacché in sede di approvazione della legge impugnata venne proposto - ed accolto dal Governo - l'ordine del giorno Boffardi ed altri, col quale esso Governo veniva impegnato, "ai fini dell'esercizio di funzioni da parte delle regioni o di loro organi, a tener conto che le stesse s'intendono riferite, per quanto attiene al Trentino-Alto Adige, alle province autonome di Trento e Bolzano". Senonché, pur prescindendo da qualsiasi cenno alla problematica degli ordini del giorno in sé e del loro effettivo e durevole valore vincolante nei confronti del potere governativo, deve negarsi validità, soprattutto in sede giurisdizionale, alla concezione secondo cui ad un ordine del giorno - atto mono camerale, interno, per di più approvato non nel plenum, ma in commissione, e perciò non soggetto alle medesime forme di pubblicità delle leggi- andrebbe riconosciuta addirittura funzione surrogatoria rispetto a queste ultime. E proprio una simile concezione si configura, infatti, ancorché enunciata questa volta limitatamente all'ordinamento regionale, quando si sostiene che, poiché l'ordine del giorno in parola offrirebbe "il criterio di interpretazione... senz'altro applicabile a tutte le leggi dello Stato", non sarebbe perciò "necessaria alcuna espressa disposizione di legge". A parte, tuttavia, ogni questione teorica, la possibilità dell'insorgenza di qualche dubbiezza in sede applicativa e, quindi, di qualche contestazione in sede giurisdizionale, risulta documentalmente avvertita già in sede legislativa. Proprio per questo motivo, infatti, venne proposto un apposito articolo aggiuntivo; ancora per questo motivo, secondo il Presidente delle due commissioni riunite (Giustizia ed Igiene e sanità), sul proposto articolo aggiuntivo, poiritirato e trasformato nel suddetto ordine del giorno, occorreva "il parere della I commissione affari costituzionali"; sempre per questo motivo, la legge 23 dicembre 1978, n. 833, sulla "istituzione del servizio sanitario nazionale" ha espressamente statuito (art. 80, primo comma)che "restano ferme altresì le competenze spettanti alle province autonome di Trento e di Bolzano".
La chiarezza del dettato legislativo contribuisce alla certezza del diritto e riduce le occasioni di controversie, mentre formulazioni disputabili favoriscono la crescita del contenzioso, che in materia regionale é già pesante in conseguenza anche del fatto che illegislatore statale sembra talvolta non tenere presente il sistema delle autonomie territoriali. Apparendo pertanto nella specie ingiustificata l'omessa indicazione nella legge de qua delle province di Trento e Bolzano quali attributarie, in luogo della regione Trentino-Alto Adige, dei poteri conferiti dalla predetta legge agli organi regionali, si deve dichiarare fondata la questione sollevata sul punto dalle ricorrenti province. Con tale conclusione non contrasta la sentenza n. 190 del 1976, in quanto la norma allora impugnata(art. 3 della legge 18 dicembre 1973, n. 880) conteneva l'inciso "fatti salvi i poteri delle regioni a statuto speciale", che non risulta, viceversa, riprodotto nella legge n. 685 del1975, oggetto del presente giudizio.
3. La legge 22 dicembre 1975, n. 685, abrogando esplicitamente l'anteriore legge 22 ottobre1954, n. 1041, ha inteso sostituire ad una normativa rivelatasi inadeguata a combattere il fenomeno dell'uso non terapeutico della droga un sistema quanto più possibile coerente, aggiornato e, quindi, maggiormente idoneo ad affrontare il fenomeno stesso nella complessità dei suoi aspetti, delle sue fasi, delle sue conseguenze. Ne é prova la considerazione che, mentre la legge abrogata aveva per oggetto esclusivamente la "disciplina della produzione, del commercio e dell'impiego degli stupefacenti", cui dedicava solo 26 articoli, la legge in vigore, viceversa, ha per oggetto, oltre che la "disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope", anche la "prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza", cui dedica ben 128 articoli.
Nel dare vita al sistema in discorso, il legislatore statale ha mirato ad eliminare le condizioni che favoriscono il diffondersi del fenomeno, ponendo in pericolo alcuni di quei valori che, per espresso dettato della Costituzione, la Repubblica italiana é tenuta a tutelare, e che risultano espressamente evocati nel dibattito parlamentare conclusosi con la legge de qua. L'art. 31 cpv., Cost., prescrive di proteggere "la gioventù", oltre che la maternità e l'infanzia, e l'art. 32, primo comma, Cost., dispone che "la salute" va tutelata, in quanto é non solo "fondamentale diritto dell'individuo", ma anche "interesse della collettività". Ora, poiché il fenomeno droga attenta ai suddetti valori, ne discende che le singole disposizioni contenute nella legge in vigore non sono correttamente valutate, se non in relazione all'ineludibile e preminente dovere costituzionale di salvaguardare quei valori.
4. Ma l'impugnata legge é anche l'attuazione nel nostro ordinamento della strategia globale, concordata in sede internazionale, contro il sempre più diffuso ed allarmante uso non terapeutico della droga. Ne é prova il fatto che essa é stata emanata poco più di un anno dopo la pubblicazione nella "Gazzetta Ufficiale" (30 settembre 1974) della legge (5 giugno 1974, n.412) che contiene appunto la "ratifica ed esecuzione della Convenzione unica sugli stupefacenti, adottata a New York il 30 marzo 1961 e del protocollo di emendamento, adottato a Ginevra il 25 marzo 1971"; ne offre conferma definitiva l'art. 4, lett. a), di tale Convenzione, il quale stabilisce testualmente che "le Parti adotteranno le misure legislative e amministrative che si renderanno necessarie per dare attuazione alle disposizioni della presente Convenzione nei loro territori". Stante allora il rilevato legame, la legge n. 685 del1975 non può a sua volta essere intesa ed applicata rettamente, se non tenendo presenti la Convenzione, i motivi che l'hanno promossa ed i principi cui si é ispirata, la strategia e gli strumenti da essa delineati e, soprattutto, i valori che intende salvare.
Nel preambolo di tale Convenzione si legge che le Parti hanno concordato in materia un'azione comune, perché "preoccupate della salute fisica e morale dell'umanità"; perché riconoscono che "la tossicomania é un flagello per l'individuo e costituisce un pericolo economico e sociale per l'umanità"; perché sono "coscienti del dovere che loro incombe di prevenire e combattere tale flagello", E, ritenendo di conseguenza necessario limitare "l'uso degli stupefacenti a fini medici e scientifici", le Parti hanno convenuto - dice ancora il suddetto preambolo – che "per essere efficaci, le misure prese contro l'abuso degli stupefacenti devono essere coordinate ed universali", ma che "un'azione universale di questo genere richiede una cooperazione internazionale guidata dagli stessi principi e mirante a fini comuni", anzi, "una costante cooperazione internazionale per rendere operanti tali principi e raggiungere tali fini", e per questo riconoscono "la competenza dell'Organizzazione delle Nazioni Unite in materia di controllo degli stupefacenti", procurando che "gli organi internazionali interessati siano raggruppati nel quadro di questa Organizzazione".
Nel testo articolato, poi, che é una compiuta e minuziosa regolamentazione della materia, risulta, tra l'altro, fatto obbligo alle Parti: di inviare al Segretario generale, non solo "unrapporto annuale relativo all'esecuzione della Convenzione in ogni suo territorio", ma anche "i testi di tutte le leggi e di tutti i regolamenti promulgati al fine di dare applicazione alla(presente) Convenzione" e persino "i nomi ed indirizzi delle autorità amministrative autorizzate a rilasciare le autorizzazioni od i certificati d'esportazione ed importazione"(art. 18, paragrafo 1), nonché di fornire all'Organo internazionale di controllo degli stupefacenti stime, statistiche annuali e trimestrali, informazioni, etc. (artt. 12, 13, 14,20); di esigere che le persone "che occupano posti direttivi o di sorveglianza... abbiano le qualità necessarie per applicare concretamente e fedelmente le disposizioni delle leggi e regolamenti emanati in esecuzione della (presente) Convenzione" (art. 34, lett. a); di assicurare "sul piano nazionale un coordinamento dell'azione preventiva e repressiva contro il traffico illecito", creando all'uopo "un servizio adeguato incaricato di tale coordinamento"(art. 35, lett. a); di consentire che sul proprio territorio "l'Organo internazionale di controllo degli stupefacenti" faccia "intraprendere uno studio", quando abbia "ragioni obiettive di credere che gli scopi della (presente) Convenzione siano seriamente compromessi dal fatto" che le autorità del posto "non attuino le disposizioni della Convenzione" (art. 14,paragrafo 1, come modificato con l'art. 6 del protocollo di emendamento); di punire con adeguata pena detentiva ogni infrazione dolosa e grave, anche se solo allo stato preparatorio(art. 36, paragrafi 1 e 2, come modificati dall'art. 14 del protocollo di emendamento), etc.
5. Con le ricordate disposizioni, lo Stato italiano risulta convenzionalmente vincolato, nei confronti della comunità internazionale e, per essa, nei confronti degli "organi internazionali di controllo", indicati nominatim nell'art. 5 della Convenzione - nonché della "Organizzazione mondiale della sanità", indicata nell'art. 3 - , ad assicurare sul piano nazionale il felice esito dell'"azione universale" intesa a "prevenire e combattere" il "flagello" rappresentato dal consumo di stupefacenti a scopo voluttuario. Tra gli impegni miranti a tal fine sono compresi quelli di coordinare ogni misura, non solo repressiva, ma anche preventiva, adottata per applicare fedelmente la Convenzione, e di esercitare un effettivo controllo, non solo sull'intera vicenda degli stupefacenti, dalla coltivazione al consumo, e sugli operatori in materia (art. 30), ma anche sull'affidabilità del personale statale con compiti di direzione e di sorveglianza (art. 34).
Si tratta di reagire contro un fenomeno di dimensione ormai mondiale, qual é diventato appunto il fenomeno-droga, che ha effetti devastanti, non solo su quei valori espressamente richiamati dalla Convenzione, come l'"individuo" e la "salute fisica e morale dell'umanità", ma anche sugli altri valori che, come più sopra già rilevato, la nostra Costituzione non si limita a proclamare, ma impegna la Repubblica a tutelare, quali appunto la "gioventù" e la "collettività". Contro questa minaccia l'umanità ha reagito, concordando "un'azione universale", "una costante cooperazione nazionale" ed imponendo agli Stati, mediante la Convenzione unica sulla droga, adempimenti che, per la loro dovizia, intensità e specificità, non sono certo consueti, e che trovano giustificazione nella consapevolezza, anche da parte degli Stati più gelosi della loro sovranità, che il flagello della droga, alleato su scala mondiale con organizzazioni antigiuridiche, non può essere vittoriosamente combattuto con guerre locali. Da quanto precede é congruente dedurre che questi obblighi, approvati dal Parlamento e, del resto, assunti per tutelare valori riconosciuti dalla Costituzione, rappresentano la guida più sicura nell'opera di interpretazione ed applicazione della disciplina nazionale che ha attuato la Convenzione, segnando la fine della superata legge dio ltre vent'anni prima (22 ottobre 1954, n. 1041 ). Ed al riguardo valgono altresì le considerazioni svolte nella sentenza n. 30 del 1981, le quali indussero questa Corte a dichiarare inammissibile la richiesta di referendum popolare per la parziale abrogazione della legge de qua.
6. Alla stregua delle suesposte considerazioni, appare non fondata la censura formulata contro quelle disposizioni della legge n. 685 del 1975, le quali, per quanto riguarda la prevenzione, la cura, la riabilitazione degli stati di tossicodipendenza, hanno assoggettato le regioni - e, quindi, le ricorrenti province - "alle direttive, all'indirizzo e al coordinamento del Ministero della sanità", cioé dello Stato, (art. 1, secondo comma) ed attribuito a questo la potestà di stabilire "i criteri di indirizzo e di coordinamento" (art. 2). Le due province di Trento e Bolzano - osserva la loro difesa - godono di autonomia speciale, hanno potestà legislativa esclusiva in materia di "assistenza e beneficenza pubblica, ai sensi dell'art. 8,n. 25, del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), e, pur se in materia di "igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera", hanno, invece, competenza legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 9, n. 10, stesso d.P.R. n. 670 del 1972, la loro competenza in tale settore é più ampia di quella delle regioni a statuto ordinario, perché "comprende l'intero campo dell'igiene e sanità". Ne deriva che sarebbe precluso allo Stato qualsiasi intervento nelle suddette materie, sia pur soltanto sotto le forme di direttive, di indirizzo e di coordinamento.
L'opinione non può essere condivisa. A parte le ragioni più sopra illustrate, l'attività di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza non può farsi rientrare nella materia "assistenza (e beneficenza) pubblica"; del resto, se é pur vero che tale materia é compresa nella competenza legislativa esclusiva delle due province, é altrettanto vero chequesta non é illimitata perché, attraverso il rinvio dell'art. 8 all'art. 4 del menzionato d.P.R. n. 670 del 1972, incontra precisi e invalicabili limiti, tra i quali si annovera anche quello del "rispetto degli obblighi internazionali". Ciò vale a maggior ragione in ordine alla materia "igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera" giacché la competenza legislativa concorrente, attraverso il rinvio dell'art. 9 all'art. 5 e di questo all'art. 4, si imbatte anch'essa nel principio del "rispetto degli obblighi internazionali". Uno dei quali é appunto quello di "prevenzione ed intervento contro l'uso non terapeutico delle sostanze stupefacenti o psicotrope", previsto dall'impugnato art. 2 della legge n. 685 del1975, il quale, a ben guardare, é la trascrizione dell'art. 38, paragrafo 1, della Convenzione(come modificato dall'art. 15 del protocollo di emendamento), secondo cui gli Stati "adotteranno tutte le misure possibili" per prevenire l'abuso degli stupefacenti e "per assicurare la pronta diagnosi, cura, correzione, post - cura, riabilitazione e re inserimento sociale delle persone interessate". Non può al riguardo non convenirsi che, in un ordinamento nel quale tale compito spetti, secondo Costituzione, a poteri locali dotati di autonomia legislativa, é pur sempre il potere centrale responsabile, dinanzi agli organi internazionali, dello scrupoloso adempimento dell'obbligo su tutto il territorio nazionale e, per ciò stesso, legittimato ad impartire le necessarie direttive, a stabilire i criteri di indirizzo e coordinamento. Oltre tutto, é attraverso questi strumenti che, in uno Stato delle autonomie, il potere centrale può assicurare la fedele ed uniforme osservanza, da parte dei poteri locali, delle raccomandazioni, delle decisioni e misure correttive, dei pareri tecnici, che gli organi internazionali formulano, adottano, esprimono ai sensi rispettivamente, degli artt. 8, lett.c), 14 e 38 bis della Convenzione. Ne offre definitiva conferma l'art. 5, primo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, recante "Istituzione del servizio sanitario nazionale", a sensi del quale "la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle regioni in materia sanitaria, attinente ad esigenze di carattere unitario... nonché agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari, spetta allo Stato".
7. Non vanno poi trascurati altri argomenti, che integrano quanto più sopra già esposto.
La crescente diffusione del consumo di droga a scopo non terapeutico e l'opera di prevenzione e cura costituiscono un problema, che, secondo l'indirizzo ormai prevalente, interessa la scienza- non solo medica - con i suoi continui aggiornamenti e perfezionamenti. E riconoscendo questo carattere peculiare del fenomeno, che gli Stati hanno convenuto di coordinare "i loro sforzi" ,non solo nella repressione, ma anche nella prevenzione e terapia, mediante comuni "programmi di ricerche scientifiche e (gli) scambi di informazioni di carattere scientifico e tecnico" (art.8, lett. c), della Convenzione), e di far capo in materia agli organi internazionali appositamente creati (art. 5 Convenzione) - oltre che a quelli preesistenti, come l'Organizzazione mondiale della sanità (art. 3 Convenzione) - o anche ad altre "istituzioni specializzate" (art. 38 bis della Convenzione), nonché di istituire nuovi organismi, quali appunto sono i "centri regionali di ricerca scientifica e di correzione al fine di lottare contro i problemi derivanti dall'uso (e dal traffico illecito) degli stupefacenti" (art. 38 bis Convenzione). Se così é, allora direttive, indirizzo e coordinamento dello Stato ai sensi della Convenzione sono per esso Stato attività dovuta, e perciò indeclinabile.
Ancora: constatato che la tossicomania, la quale ha perduto la dimensione individuale dei tempi andati, si é dappertutto rivelata, per la raggiunta dimensione sociale, uno dei più preoccupanti problemi del tempo presente, se ne é inferito che il fenomeno é una malattia sociale e che, quindi, come tale va trattata. Sono nella logica di questa concezione quelle norme della Convenzione che prevedono, per le "persone utilizzanti in modo abusivo stupefacenti", in luogo di una sanzione penale o in aggiunta ad essa, la sotto posizione "a misura di cura, correzione, post - cura, riabilitazione e reinserimento sociale" (art. 36, paragrafo 1 emendato) e la "formazione di un personale" capace di assolvere un così arduo compito (art. 38, paragrafo 2 emendato). La legge n. 685 del 1975, disponendo "interventi" non solo "informativi ed educativi" (artt. 85 - 89), ma anche "preventivi, curativi eri abilitativi" (artt. 95 - 102), e creando appositi "centri medici e di assistenza sociale"(artt. 90 - 94), mostra di avere pienamente accolto quella concezione. Ma una malattia sociale, per di più in paurosa crescita, che pone in gioco il presente e l'avvenire dell'intera comunità nazionale, non si contiene e, meno ancora, si debella, combattendola in ordine sparso, bensì mediante un'azione organica e coerente. In una siffatta contingenza, insomma, ricorrono quelle "esigenze di carattere unitario", già affermate da questa Corte (sentenza n. 39 del 1971) -anche con riferimento "agli impegni derivanti dagli obblighi internazionali" - e quella necessità di "tutela di interessi unitari" (sentenza n. 142 del 1972), che concorrono a far ritenere del tutto legittimo in materia l'esercizio da parte dello Stato del potere di indirizzo e coordinamento, esplicitamente ribadito nel già menzionato art. 6 della legge n. 833del 1978.
Né possono essere sottovalutati, in questo senso, gli astratti collegamenti che il Titolo XI della legge in esame stabilisce fra i "centri medici e di assistenza sociale" e le autorità giudiziarie competenti in materia: il che conferma che la materia stessa non attiene alla sola sanità di competenza provinciale, bensì coinvolge interessi e competenze di sicura spettanza dello Stato.
8. Tale conclusione non viene inficiata, contrariamente a quanto ritiene la difesa delle province, per il fatto che, in pendenza del ricorso, la provincia di Bolzano ha istituito un servizio di prevenzione, cura e riabilitazione delle forme di devianza sociale, compresa la tossicodipendenza, e che il Governo nessun rilievo ha mosso alla relativa legge provinciale (7dicembre 1978, n. 69). Nel presente giudizio, infatti, non é in contestazione la competenza legislativa delle due province ricorrenti in materia bensì la legittimità del potere statale di direzione e coordinamento, che non é certo preclusivo dell'esercizio delle funzioni, anche legislative, spettanti alle ricorrenti.
9. Le province stesse lamentano altresì che la legge n. 685 del 1975 ha attribuito allo Stato, nella materia disciplinata dalla suddetta legge, potere autorizzatorio, di controllo edi vigilanza, così violando gli artt. 8, n. 25, e 9, n. 10, dello statuto del Trentino-AltoAdige. E denunciano l'illegittimità degli artt. 1, quarto comma, n. 1 (erroneamente indicato come punto 7), 15, 27, 32, e 36, per quanto concerne la potestà di emanare atti di autorizzazione; gli artt. 1, primo comma, 3, 4 e 29, per quanto concerne la potestà di vigilanza e controllo.
La questione va dichiarata non fondata. Basta volgere lo sguardo anche solo alle epigrafi di tutti gli articoli denunciati, per avvedersi che tutte le disposizioni ivi contenute hanno per oggetto la coltivazione, la produzione, la fabbricazione, l'impiego, il commercio, l'esportazione, l'importazione, il transito, l'acquisto, la vendita, la detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, cioè una materia in ordine alla quale le province non hanno alcun potere. Del resto, ciò non é contestato dalle stesse province di Trento e Bolzano, quando nelle memorie presentate in vista dell'udienza di discussione dei ricorsi riconoscono esplicitamente che l'art. 3, n. 6, delle "norme di attuazione dello statuto per il Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità" riserva allo Stato tutte le competenze e, quindi, ogni forma di controllo in materia di sostanze stupefacenti. Vale la pena di aggiungere che non può al riguardo prescindersi dalle molte peculiarità che contrassegnano la materia, quale, per esempio, il fatto che la preparazione dei farmaci per il trattamento dei tossico dipendenti possa richiedere l'impiego di sostanze stupefacenti. E che siano di competenza dello Stato le funzioni concernenti "i prodotti chimici usati in medicina" ed "i preparati farmaceutici", risulta testualmente stabilito nell'art. 6, lett. c), della legge n. 833 del 1978.
10. Deve egualmente dichiararsi infondata anche la residua censura, quale precisata nelle memorie di cui sopra: le due province denunciano l'illegittimità costituzionale degli artt. 103e 107 della legge de qua, in quanto facoltizzano il Ministro della sanità ad utilizzare direttamente, "in caso di carenza degli organi regionali", i fondi assegnati alle regioni per l'attività di prevenzione, cura e riabilitazione (art. 103, quinto comma) e ad istituire "con proprio decreto", "qualora i Consigli regionali non provvedano nel termine" stabilito, "i centri regionali medici e di assistenza sociale" (art.107, terzo comma). Così disponendo, la legge avrebbe riservato allo Stato poteri sostitutivi in violazione degli artt. 4, n. 7, e 5,n. 2 del più volte menzionato statuto (d.P.R. n. 670 del 1972), che riservano alla regione Trentino-Alto Adige "la competenza a livello di strutture, vale a dire di ordinamento delle istituzioni di assistenza e beneficenza e degli enti sanitari ed ospedalieri".
La creazione dei "centri regionali medici e di assistenza sociale" rientra indubbiamente nell'obbligo, che lo Stato ha assunto con la Convenzione unica sugli stupefacenti, di adottare in materia misure per la prevenzione, cura e riabilitazione, e può pertanto considerarsi un'attività dovuta, che legittima l'intervento dello Stato nel caso in cui gli enti titolari della relativa competenza tardino a provvedere, compromettendo così l'esito della lotta che lo Stato ha l'impegno di combattere contro la droga per la salvezza dei valori costituzionalmente garantiti, di cui più sopra si é detto. Non sembra pertanto che si ravvisi la denunciata illegittimità costituzionale; tanto più che l'art. 107, terzo comma, statuisce che "qualora i consigli regionali non provvedano nel termine sopra indicato, il Ministro per la sanità istituisce con proprio decreto in via provvisoria, i centri regionali medici e di assistenza sociale".
Quanto, infine, alla ultima doglianza - quella concernente l'utilizzazione dei fondi da parte del Ministro della sanità - , non può accogliersi la motivaz1one addotta dalla difesa delle province a sostegno della censura secondo cui il giudizio sull'inadempienza "prim'ancora che tecnico, sarà sicuramente politico". Se l'argomento avesse pregio, la censura si estenderebbe oltre il caso in esame, investendo il potere stesso di vigilanza e controllo dello Stato nei confronti di tutti gli enti autonomi.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1. dichiara l'illegittimità costituzionale della legge 22 dicembre 1975, n. 685 ("Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza") nelle parti concernenti le attribuzioni delle regioni, in cui, relativamente all'ambito territoriale del Trentino-Alto Adige, non statuisce che dette attribuzioni spettano alle province di Trento e Bolzano;
2. dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 8,10, 13, 15, 27, 29, 32, 36, 39, 84, 90, 91, 92, 94, 103 e 107 della summenzionata legge n. 685del 1975, sollevate con i ricorsi in epigrafe dalle province di Trento e Bolzano, in riferimento agli artt. 8, n. 25, 9, n. 10, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670("Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige").