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Corte costituzionale - sentenza 11 ottobre 2018, n. 247
Legge 12 agosto 2016, n. 164, art. 1, comma 1, lett b) – bilancio e contabilità pubblica – pareggio di bilancio – riserva di legge rinforzata – non fondatezza del ricorso

Sentenza 11 ottobre 2017 (29 novembre 2017), n. 247; Pres. Grossi; Red. Carosi

 

Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso notificato il 27 ottobre – 2 novembre 2016 e depositato il successivo 31 ottobre (reg. ric. n. 68 del 2016), la Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), in riferimento agli artt. 16, 79, 80, 81, 83, 84 e 104 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol), agli artt. 16, 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché agli artt. 81, 97, secondo comma, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

La ricorrente premette il contenuto della legge impugnata e, in particolare, dell’art. 1, comma 1, lettera b), con il quale viene introdotto, nell’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), il comma 1-bis.

Nel delineare il quadro normativo delle proprie prerogative e competenze, la Provincia autonoma di Bolzano evidenzia che sia la legge n. 243 del 2012 che la legge oggetto dell’impugnativa, che la modifica, sarebbero state emanate ai sensi dell’art. 81, sesto comma, Cost., come sostituito dall’art. 1 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), che, tra l’altro, demanda a una legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale, l’attuazione del principio del pareggio di bilancio.

Con la riforma attuata dalla legge cost. n. 1 del 2012 sarebbe stato, difatti, conferito il valore di principi costituzionali alle regole relative alla copertura finanziaria delle leggi ed alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, in modo da garantire comunque l’equilibrio tra le entrate e le spese.

Tuttavia, diverse disposizioni della legge n. 164 del 2016 presenterebbero profili di contrasto con la disciplina statutaria in materia di equilibrio dei bilanci e di concorso alla sostenibilità del debito pubblico da parte della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, oltre a ledere specifiche competenze della Provincia ricorrente, e comprimerebbero fortemente l’autonomia, anche finanziaria, concessa alla stessa in forza dello statuto speciale e delle relative norme di attuazione; essa colliderebbero inoltre con le leggi costituzionali 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) e n. 1 del 2012, oltre a contrastare con i principi di cui agli artt. 3, 81, 97, secondo comma, 117, commi terzo, quinto e sesto, 119 e 120 Cost., nonché con il «principio pattizio/consensualistico» e quello della leale collaborazione.

Le norme statutarie, difatti, attribuirebbero alla Provincia autonoma di Bolzano la potestà legislativa esclusiva (artt. 8 e 9), e la corrispondente potestà amministrativa, in materia di finanza locale, nonché il coordinamento della finanza pubblica provinciale che comprende quella locale (artt. 16, 79, 80 e 81, commi 3 e 4, dello statuto speciale e artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992).

Inoltre, ai sensi dell’art. 54, numeri 2) e 5) dello statuto speciale, spetterebbe alla Giunta provinciale la deliberazione dei regolamenti sulle materie devolute alla potestà regolamentare delle Province, nonché la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorzi e sugli altri enti o istituti locali, compresa la facoltà di sospensione e scioglimento dei loro organi in base alla legge, nonché la nomina di commissari in detti casi ed in quelli in cui le amministrazioni non sono in grado per qualsiasi motivo di funzionare.

Detto sistema, fondato sullo statuto speciale, continua ad operare nonostante la riforma costituzionale del 2001, dal momento che la suddetta riforma non restringe la sfera di autonomia già spettante alle Province autonome per statuto. L’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 stabilisce, difatti, che le disposizioni in essa contenute si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle Province autonome di Trento e di Bolzano per le sole parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle ad esse già attribuite.

In forza del Titolo VI dello statuto speciale, la Provincia autonoma di Bolzano godrebbe di una particolare autonomia in materia finanziaria, rafforzata dalla previsione di un meccanismo peculiare per la modifica delle disposizioni recate dal medesimo Titolo VI, che ammette l’intervento del legislatore statale con legge ordinaria solo in presenza di una preventiva intesa con la Regione autonoma e le Province autonome, in applicazione dell’art. 104 dello stesso statuto speciale. Con il cosiddetto “Accordo di Milano” del 30 novembre 2009, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno concordato con il Governo la modificazione del Titolo VI dello statuto di autonomia, secondo la menzionata procedura rinforzata. La predetta intesa avrebbe introdotto, ai sensi dell’art. 2, commi da 106 a 126, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», un nuovo sistema di relazioni finanziarie con lo Stato, anche in attuazione del processo di riforma in senso federalista contenuto nella legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione).

Successivamente sarebbe intervenuto l’accordo del 15 ottobre 2014, cosiddetto “patto di garanzia”, tra lo Stato, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il quale avrebbe portato all’ulteriore modificazione del Titolo VI dello statuto di autonomia, stipulato secondo la procedura rinforzata prevista dal menzionato art. 104. Tale ultima intesa, recepita con legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», avrebbe ulteriormente rinnovato, ai sensi dell’art. l, commi da 407 a 413, della medesima legge, il sistema di relazioni finanziarie con lo Stato.

Sarebbe espressamente previsto che nei confronti della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, delle Province autonome di Trento e di Bolzano, e degli enti appartenenti al sistema territoriale regionale integrato, non sarebbero applicabili disposizioni statali che prevedono obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti al patto di stabilità interno, diversi da quelli previsti dal Titolo VI dello statuto speciale di autonomia; che sarebbero la Regione e le Province autonome sopra indicate a provvedere, per sé e per gli enti del sistema territoriale regionale integrato di rispettiva competenza, alle finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni statali, adeguando, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), la propria legislazione ai principi dello statuto di autonomia, nelle materie individuate dal medesimo statuto; che, conseguentemente, dovrebbero essere adottate autonome misure di razionalizzazione e contenimento della spesa, anche orientate alla riduzione del debito pubblico, idonee ad assicurare il rispetto delle dinamiche della spesa aggregata delle amministrazioni pubbliche del territorio nazionale, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, e, per converso, non dovrebbero essere applicate le misure adottate per le Regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale.

In particolare, l’art. 79 dello statuto speciale, nel definire i termini e le modalità del concorso, da parte del sistema territoriale regionale integrato – costituito dalla Regione, dalle Province autonome e dagli enti locali, dai propri enti e organismi strumentali pubblici e privati e da quelli degli enti locali, dalle aziende sanitarie, dalle università, incluse quelle non statali di cui all’art. 17, comma 120, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e dagli altri enti od organismi a ordinamento regionale o provinciale finanziati dalle stesse in via ordinaria − al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, di perequazione e di solidarietà e all’esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti, nonché all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, stabilirebbe che detto concorso avvenga nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci ai sensi della legge n. 243 del 2012, con la precisazione che tali misure possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall’art. l04 dello stesso statuto speciale, e che fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica (comma 2). Fermo restando il coordinamento della finanza pubblica da parte dello Stato ai sensi dell’art. 117 Cost., il comma 3 dell’art. 79 indicato stabilirebbe inoltre che sono le Province autonome a provvedere al coordinamento della finanza pubblica provinciale, nei confronti degli enti del loro territorio facenti parte del sistema territoriale regionale integrato; e che, al fine di conseguire gli obiettivi in termini di saldo netto da finanziare previsti in capo alla Regione autonoma e alle Province autonome ai sensi dello stesso articolo, spetterebbe a queste ultime definire i concorsi e gli obblighi nei confronti degli enti del sistema territoriale integrato di rispettiva competenza; che sarebbero sempre le Province autonome a vigilare sul raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti del sistema territoriale integrato di rispettiva competenza; e che, ai soli fini del monitoraggio dei saldi di finanza pubblica, comunicherebbero al Ministero dell’economia e delle finanze gli obiettivi fissati e i risultati conseguiti.

L’art. 80, comma 1, del medesimo statuto speciale, da ultimo sostituito dall’art. 1, comma 518, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», attribuirebbe, poi, alle Province autonome la potestà legislativa primaria, anziché concorrente, in materia di finanza locale, potestà da esercitarsi, secondo il comma 4, nel rispetto dell’art. 4 dello stesso statuto e dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

L’art. 81, comma 2, dello statuto speciale prevedrebbe inoltre che, allo scopo di adeguare le finanze dei Comuni al raggiungimento delle finalità ed all’esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, le Province autonome corrispondono ai Comuni stessi idonei mezzi finanziari da concordare tra il Presidente della relativa Provincia autonoma ed una rappresentanza unitaria dei rispettivi Comuni.

Infine, l’art. 83 del medesimo statuto prevedrebbe che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, le Province autonome di Trento e di Bolzano ed i Comuni hanno un proprio bilancio per l’esercizio finanziario e che la medesima Regione e le medesime Province adeguano la propria normativa alla legislazione dello Stato in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici. Nella normativa di attuazione statutaria, alle Province autonome sarebbe attribuita la potestà di emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti delle medesime e degli enti da esse dipendenti (art. 16 del d.lgs. n. 268 del 1992); dette norme di attuazione conterrebbero inoltre specifiche disposizioni per quanto attiene all’attribuzione e all’esercizio delle funzioni in materia di finanza locale da parte delle Province autonome (artt. 17, 18, e 19).

Nel contesto normativo così descritto, si collocherebbe il regime dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali, dominato dal principio dell’accordo e dal principio di consensualità (sono richiamate, da ultimo, le sentenze n. 28 del 2016 e n. 133 del 2010, nonché le sentenze n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 98 del 2000 e n. 39 del 1984), definito, per quanto riguarda la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, dagli artt. 103, 104 e 107 dello statuto di autonomia.

La ricorrente ha, infine, richiamato gli artt. 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992 che disciplinano, rispettivamente, i rapporti tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, la potestà statale di indirizzo e coordinamento e l’attribuzione di funzioni amministrative ad organi statali.

1.1.– Ciò premesso, nell’ambito delle norme che definiscono l’equilibrio dei bilanci, ai fini dell’applicazione del nuovo obiettivo di saldo non negativo in termini di competenza, l’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, che introduce nell’art. 9 della legge n. 243 del 2012 il comma 1-bis, identifica le entrate finali come quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal d.lgs. 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), e le spese finali come quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio; inoltre esso prevederebbe, per gli anni 2017-2019, l’introduzione del fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, con la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale; nonché, a decorrere dall’esercizio 2020, l’inclusione del medesimo fondo, finanziato dalle entrate finali, tra le entrate e le spese finali.

A tale riguardo, argomenta la Provincia ricorrente, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» aveva già previsto il fondo pluriennale vincolato limitatamente all’anno 2016 (art. 1, comma 711, secondo periodo), con conseguente esclusione per gli anni successivi.

La disposizione impugnata consente, invece, anche per il triennio 2017-2019 l’inclusione del fondo pluriennale vincolato, subordinandone tuttavia la possibilità alle previsioni della legge di bilancio ed alla sua compatibilità con gli obiettivi di finanza pubblica.

Peraltro, la nuova formulazione non sarebbe risolutiva della questione di legittimità costituzionale già sollevata dalla medesima Provincia autonoma avverso il predetto comma 711 dell’art. 1 della legge di stabilità 2016.

Premesse le motivazioni che avevano reso necessario impugnare con altro ricorso pendente presso la Corte, tra gli altri, l’evocato art. 1, comma 709, della legge di stabilità 2016 ‒ che prescrive anche alle Province autonome il rispetto di tutte le disposizioni contenute nei commi da 707 a 734 della stessa legge, anziché solamente dei principi desumibili dai predetti commi, nonché delle disposizioni che si riferiscono espressamente alle province autonome (contenute nei commi 723, lettera a, terzo periodo, e 730) − nonché il comma 711, secondo periodo – il quale, limitatamente all’anno 2016, considera nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza il fondo pluriennale vincolato –; e tenuto conto di esse, la Provincia ricorrente svolge le seguenti osservazioni.

Il fondo pluriennale vincolato è una posta di bilancio introdotta dalla nuova disciplina in materia di armonizzazione dei sistemi contabili di cui al d.lgs. n. 118 del 2011, che trova applicazione anche nella Provincia autonoma di Bolzano nel 2016. Esso rappresenta lo strumento per reimputare su esercizi successivi spese già impegnate ma non ancora giunte a scadenza. Trattandosi di spese già impegnate su esercizi precedenti, esse risultano finanziariamente già coperte con le entrate di detti esercizi, anche in considerazione del fatto che il bilancio della Provincia autonoma di Bolzano è sempre stato approvato in equilibrio.

L’introduzione di restrizioni all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato per il periodo 2017-2019, nonché la possibilità, dal 2020, di iscrivere il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa solo per la parte finanziata da entrate finali, si sostanzierebbe nella limitazione o nella impossibilità, a decorrere dal 2017, di utilizzare fondi già destinati negli esercizi precedenti al finanziamento di spese oggetto di riprogrammazione, con conseguente necessità di utilizzare a loro copertura nuove entrate dell’anno sul quale vengono riprogrammate le spese, che diversamente avrebbero potuto essere altrimenti impiegate per nuovi interventi.

Sarebbe dunque evidente che attraverso un meccanismo contabile si concretizza una violazione dei principi di autonomia finanziaria e di bilancio contenuti nel Titolo VI dello statuto speciale e, in particolare, del principio di autonomia finanziaria dal lato della spesa.

Questo principio, espressamente enunciato dall’art. 119, primo comma, Cost., è implicito nello statuto di autonomia, dal momento che le risorse di cui agli artt. 69 e seguenti di detto statuto sono assegnate alle Province autonome, senza vincolo di destinazione, per far fronte alle funzioni alla stessa attribuite, e in cui le limitazioni possibili sono esaustivamente disciplinate dal successivo art. 79.

Risulterebbero inoltre violati i principi statutari che riconoscono una particolare autonomia di bilancio (artt. 83 e 84) e la normativa di attuazione statutaria che attribuisce alle Province autonome la potestà di emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti (art. 16 del d.lgs. n. 268 del 1992).

Per quanto attiene inoltre al rapporto tra la Provincia autonoma di Bolzano e gli enti locali, la nuova previsione statale incide anche sulla potestà legislativa esclusiva e sulla corrispondente potestà amministrativa, in materia di finanza locale; nonché interferisce con la funzione attribuita alla medesima di coordinamento della finanza pubblica provinciale, che comprende la finanza locale (artt. 16, 79, 80 e 81 dello statuto speciale; artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992).

Peraltro, la norma censurata approvata con legge rinforzata, contiene una previsione che rinvia ad una successiva legge ordinaria (legge di bilancio per gli anni dal 2017 al 2019), che non richiederebbe una maggioranza qualificata per essere approvata, in violazione dell’art. 81 Cost. e della legge cost. n. 1 del 2012.

Risulterebbe infine leso il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, comma secondo, Cost., in quanto verrebbe preclusa la realizzazione dei programmi di investimento per i quali i fondi vengono accantonati nel fondo vincolato di entrata.

2.− Con memoria depositata il 9 dicembre 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito nel presente giudizio, concludendo per il rigetto del ricorso.

2.1.− Con specifico riferimento all’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, l’Avvocatura generale dello Stato chiarisce che, nello specificare al primo periodo quali sono le entrate finali e le spese finali che rientrano nel computo del saldo di finanza pubblica indicato nell’art. 9, comma 1, della legge n. 243 del 2012, la norma censurata prevederebbe una iniziale fase transitoria per gli anni 2017-2019, durante la quale spetta alla legge di bilancio disporre l’introduzione del fondo pluriennale vincolato nel calcolo del citato saldo, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale. A decorrere dall’esercizio finanziario 2020 è prevista quindi l’inclusione strutturale nel saldo di finanza pubblica del fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa.

Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il testo originario dell’art. 9, comma l, della legge 243 del 2012 – in base al quale i bilanci delle Regioni, dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Province autonome di Trento e di Bolzano si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che di rendiconto, registrano: a) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate finali e le spese finali; b) un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti – delineava un sistema di vincoli di finanza pubblica più stringente di quello risultante a seguito della norma impugnata, in quanto non comprendeva l’utilizzo del fondo pluriennale vincolato tra le voci di entrata e di spesa che costituivano l’equilibrio di bilancio.

Con l’Accordo sottoscritto il 15 ottobre 2014 fra il Governo, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, recepito dall’art. l, comma 407, della legge n. 190 del 2014, i suddetti enti si sono impegnati a conseguire il riequilibrio di bilancio previsto dall’art. 9 della legge n. 243 del 2012, recepito mediante la modifica dell’art. 79 del d.P.R. n. 670 del 1972. Per effetto di detta modifica, il comma 4-quater dell’art. 79 dello statuto di autonomia dispone, infatti, che, a decorrere dal 2016, la Regione autonoma e le Province autonome conseguono il pareggio di bilancio come definito dall’art. 9 citato.

Il medesimo comma 407 ha introdotto il comma 4-octies nell’art. 79 dello statuto speciale che ha obbligato la Regione e le Province autonome «a recepire con propria legge da emanare entro il 31 dicembre 2014, mediante rinvio formale recettizio, le disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle regioni, degli enti locali e dei loro organismi, previste dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118», che disciplina anche il fondo pluriennale.

Sarebbe pertanto evidente come la normativa impugnata, semplificando la definizione di equilibrio di bilancio e consentendo l’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, abbia reso il sistema dei vincoli di finanza pubblica più favorevole agli enti territoriali.

2.2.− Peraltro, con riferimento alla disciplina transitoria per il triennio 2017-2019, andrebbe evidenziato che la legge n. 243 del 2012, allo scopo di attuare il principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, Cost., detta disposizioni programmatiche e di principio che, per loro natura, non incidono in maniera diretta sulle situazioni giuridiche soggettive, essendo a tal fine richiesta l’intermediazione di una successiva norma per la regolazione degli aspetti finanziari ed operativi direttamente connessi alla loro applicazione. Al momento della stesura della legge impugnata, tra l’altro, non si disponeva di elementi informativi puntuali che consentissero di valutare il reale impatto sulla finanza pubblica, in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, dell’inserimento a regime del fondo pluriennale vincolato negli equilibri di bilancio; pertanto il rinvio alla legge di bilancio deve essere interpretato, sul piano sostanziale, come impegno del legislatore a individuare la copertura di detto fondo nel triennio 2017-2019, fermo restando l’inserimento di tale strumento contabile ai fini del pareggio di bilancio, mentre, sul piano formale, è stato necessario, in un’ottica prudenziale, provvedere a rinviare alla legge di bilancio 2017-2019 la gestione del periodo transitorio nel quale si sarebbero potuti valutare e coprire gli effetti dell’inclusione del fondo in parola negli equilibri di bilancio.

In particolare, al fine di valutare in concreto gli effetti sui saldi di finanza pubblica della predetta inclusione e di provvedere alla relativa copertura, si sarebbe reso necessario acquisire sia i dati definitivi del monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica di cui all’art.1, comma 719, della legge n. 208 del 2015, che i dati del monitoraggio degli andamenti dei bandi di gara completi delle informazioni riferite allo sviluppo teorico delle opere (stato di avanzamento dei lavori) e degli andamenti delle entrate finali: l’acquisizione di tali informazioni, avvenuta solo a decorrere del mese di agosto 2016, avrebbe difatti consentito di avere un quadro più preciso della operatività del fondo pluriennale vincolato e delle dinamiche del comportamento aggregato degli enti.

Alla luce delle precedenti considerazioni, sarebbe ragionevole, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, che l’interazione di tali fattori e il loro bilanciamento trovino composizione con la legge di bilancio che provvede a recepirne gli effetti coordinandoli con gli obiettivi di finanza pubblica, in funzione del rispetto degli impegni assunti in sede comunitaria.

2.3.− Tanto premesso, andrebbe ancora valutata l’ammissibilità del ricorso in considerazione dell’impatto, asseritamente peggiorativo, sul regime previgente.

In realtà, come dianzi illustrato, il vincolo del pareggio di bilancio, secondo la precedente versione dell’art. 9, richiamata nello statuto speciale, oltre ad essere più complesso (prevedendo, come illustrato, obblighi di pareggio anche in termini di cassa e in termini di saldo corrente), sarebbe stato più stringente rispetto a quello risultante in seguito alla modifica operata con la norma impugnata, dal momento che l’inclusione del fondo pluriennale vincolato tra gli aggregati rilevanti ai fini dell’unico saldo finale di competenza – operata con legge di bilancio per il primo triennio di applicazione della legge n. 243 del 2012, stante la necessità di rinvenire idonea copertura finanziaria; e a regime a decorrere dal 2020 − favorisce la programmazione degli investimenti e, in generale, la gestione di tutte le spese a valenza pluriennale.

Peraltro, andrebbe considerato che il disegno di legge di bilancio 2017 prevedrebbe, per il triennio 2017-2019, la copertura finanziaria degli effetti connessi all’inserimento del fondo, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente da indebitamento, ai fini della determinazione dell’equilibrio finale di competenza di cui all’art. 9 della legge n. 243 del 2012. Inoltre, specificatamente per la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e per le Province autonome di Trento e Bolzano, il medesimo disegno di legge di bilancio prevede che il predetto fondo, come sopra determinato, rilevi anche ai fini della determinazione del saldo di competenza mista «eurocompatibile» di cui all’art. l, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013», tenuto conto che per gli anni 2017 e 2018, per i predetti enti, permangono i vincoli del patto di stabilità interno (ed il correlato regime sanzionatorio) in attuazione del citato Accordo sottoscritto con lo Stato il 5 ottobre 2014.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tali circostanze determinerebbero la cessazione della materia del contendere una volta che la legge di bilancio per il 2017 entrerà in vigore.

Quanto sin qui esposto, inoltre, determinerebbe l’inammissibilità del ricorso, per assenza del requisito della necessaria lesività della norma impugnata.

2.4.− Infine, riguardo alla lamentata violazione dei principi di autonomia finanziaria e di bilancio contenuti nello statuto speciale (ed, in particolare, del principio di autonomia finanziaria dal lato della spesa), l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che la sentenza n. 88 del 2014 ha affermato la legittimità costituzionale delle norme che limitano i margini di manovra finanziaria degli enti territoriali, ivi comprese le autonomie speciali, in attuazione delle disposizioni costituzionali sul principio di equilibrio di bilancio e sulle relative norme attuative esplicitate nella legge n. 243 del 2012, proprio in forza del diretto legame tra legge rinforzata e legge cost. n. 1 del 2012.

L’introduzione nella Costituzione del principio dell’equilibrio di bilancio rappresenterebbe difatti lo strumento per assicurare, tenendo conto dell’andamento ciclico dell’economia, il pareggio del conto economico delle pubbliche amministrazioni, rilevante al fine del rispetto dei livelli di indebitamento e di debito pubblico indicati dal Patto di stabilità e crescita in attuazione dell’ordinamento comunitario.

Detta riforma − che impone vincoli non solo allo Stato, ma anche a tutte le pubbliche amministrazioni che concorrono al bilancio consolidato, nel rispetto degli impegni assunti in sede sovranazionale − poggia pertanto anche sui principi di solidarietà e di uguaglianza nonché sugli artt. 5, 11, 117, primo comma, 119 e 120 Cost.

3.− Con distinti ricorsi, notificati il 28 ottobre 2016 e depositati il successivo 4 novembre, anche la Provincia autonoma di Trento (r. ric. n. 69 del 2016) e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol (r. ric. n. 70 del 2016), hanno impugnato, tra gli altri, l’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016.

La Provincia autonoma di Trento ha dedotto la violazione degli artt. 8, 16, 79, 104, dello statuto speciale nonché degli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119, 120 Cost., anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

La Regione autonoma Trentino-Alto Adige ha, a sua volta, dedotto la lesione degli artt. 4, 16, 79 e 84 dello statuto speciale, nonché degli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120, anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Premesso il contenuto della legge impugnata e, in particolare, della disposizione in esame, le ricorrenti precisano di censurarne esclusivamente il secondo e terzo periodo, nella parte in cui pongono limiti temporali, procedurali e materiali per l’utilizzo del fondo pluriennale di bilancio con motivazioni analoghe a quelle svolte nel ricorso della Provincia autonoma di Bolzano.

Rammentano, a riguardo, che il fondo pluriennale vincolato è una posta di bilancio che è stata introdotta in esecuzione dei principi statali di armonizzazione dei bilanci pubblici dettati dal d.lgs. n. 118 del 2011 ed è costituito da risorse già accertate e già impegnate in esercizi precedenti, ma destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell’ente che diventeranno esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l’entrata: esso, dunque, rappresenta un saldo finanziario a garanzia della copertura di spese imputate ad esercizi successivi a quello in corso e configura lo strumento tecnico per ricollocare su tali esercizi spese già impegnate, relativamente alle quali sussiste un’obbligazione giuridicamente perfezionata (e quindi un vincolo ad effettuare i relativi pagamenti), che, tuttavia, giungeranno a scadenza negli esercizi sui quali vengono reimputate le spese. Tale reimputazione sarebbe obbligatoria ai sensi del d.lgs. n. 118 del 2011.

Trattandosi di spese già impegnate su esercizi precedenti, esse risulterebbero finanziariamente già coperte con le entrate di detti esercizi. Al riguardo, andrebbe tenuto conto anche del fatto che, in particolare, il bilancio della Provincia autonoma di Trento è sempre stato approvato in equilibrio.

Proprio per questa ragione, le regole dell’armonizzazione prevederebbero che l’operazione di reimputazione delle spese sia accompagnata da quella delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse degli anni in cui erano state impegnate le spese.

Già la legge n. 208 del 2015, ad avviso della ricorrente, aveva previsto il fondo pluriennale vincolato limitatamente all’anno 2016 (art. 1, comma 711, secondo periodo), con conseguente esclusione per gli anni successivi: tale esclusione è stata impugnata dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso iscritto al n. 20 del 2016.

La nuova norma consente ora anche per il triennio 2017-2019 l’inclusione del fondo pluriennale vincolato ai fini dell’equilibrio di bilancio, subordinando però questa eventualità a successive previsioni della legge di bilancio, e dunque ad una decisione unilaterale dello Stato, e comunque alla sua compatibilità con gli obiettivi di finanza pubblica. A partire dall’esercizio 2020, la norma impugnata consente l’inclusione di tale fondo tra le entrate e le spese finali, ma solo nella parte in cui il fondo è finanziato con le entrate finali.

Tali limitazioni si tradurrebbero nel condizionamento della possibilità di utilizzare i fondi già destinati negli esercizi precedenti al finanziamento delle spese programmate, e ciò determinerebbe, secondo la ricorrente, la necessità che per la copertura di tali spese debbano essere utilizzate nuove entrate dell’anno sul quale vengono sostenute le spese: nuove entrate che diversamente avrebbero potuto essere impiegate per diversi interventi.

Dette restrizioni, a partire dal 2017, determinerebbero un congelamento delle risorse pur disponibili, la cui utilizzazione era già stata programmata, al di fuori delle limitazioni imposte dalla regola del saldo non negativo di cui all’art. 9 della legge n. 243 del 2012, comportando innanzitutto una lesione della autonomia finanziaria della Provincia autonoma e della Regione autonoma ricorrente sul versante della spesa.

Tale principio sarebbe, difatti, immanente nello statuto speciale, dal momento che le risorse di cui agli artt. 70 e seguenti sono attribuite alla Regione autonoma e alle Province autonome per far fronte alle funzioni loro assegnate e le possibili limitazioni sono disciplinate esclusivamente dal successivo art. 79. In ogni caso, l’autonomia sul versante della spesa è espressamente enunciata dall’art. 119, primo comma, Cost., che viene in rilievo nel presente giudizio in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in quanto più favorevole.

D’altronde, la disposizione in esame non potrebbe essere giustificata dalle esigenze dell’equilibrio di bilancio.

Infatti, sebbene il medesimo art. 119, primo comma, Cost., faccia salvo il «rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci» e impegni le Regioni a concorrere «ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea», detti valori non sono messi a rischio dall’utilizzo delle proprie risorse programmate per le spese pluriennali.

Al contrario, sarebbe proprio la limitazione all’utilizzazione del fondo appositamente programmato per spese già impegnate, e che diventeranno esigibili negli esercizi successivi, a determinare un rischio per l’equilibrio del bilancio, giacché tale ostacolo comporterebbe la necessità di trovare altrove una copertura per tali spese, corrispondente ad obbligazioni giuridicamente vincolanti già assunte.

Sotto tale profilo, risulterebbe poi violato il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, secondo comma, Cost., in quanto, se non si rinvenisse anno per anno una nuova idonea copertura per le obbligazioni già assunte, verrebbe preclusa la realizzazione dei programmi di investimento per i quali i fondi sono accantonati nel fondo vincolato di entrata.

Parimenti leso sarebbe il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3, primo comma, Cost., dal momento che le ricorrenti − che pur disporrebbero delle risorse necessarie al finanziamento di un investimento pluriennale – non potrebbero avere la certezza di poterlo onorare negli anni successivi, poiché è loro precluso contare sulle somme appositamente accantonate; la Provincia autonoma, inoltre, sarebbe indotta, in virtù di una disposizione legislativa, a rendersi inadempiente a fronte di obbligazioni legittimamente assunte e in origine dotate di piena copertura finanziaria.

Sarebbe inoltre evidente la ridondanza di tale violazione sull’esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla Regione autonoma e alla Provincia autonoma ricorrenti come, ad esempio, le funzioni legislative ed amministrative che richiedono l’adozione di programmi di spesa, quali, per la Provincia autonoma: a) tra le competenze primarie, (art. 8, numeri 10, 17, 19, 25, 26, 27, 28 e art. 16, o se più favorevoli le analoghe competenze residuali ex art. 117, quarto comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001), l’edilizia pubblica; la viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciali; l’assunzione diretta di servizi pubblici e loro gestione a mezzo di aziende speciali; l’assistenza e beneficenza pubblica; la scuola materna e l’assistenza scolastica; l’edilizia scolastica; b) per le competenze legislative concorrenti, l’igiene e sanità (o, se più favorevole, la tutela della salute ex art.117, terzo comma, Cost., combinato con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001); per la Regione autonoma: a) tra le competenze primarie (artt. 4, numeri 1,4,6,10 e, per le competenze amministrative, art. 16 dello statuto speciale), il personale regionale, le espropriazioni per pubblica utilità non riguardanti opere a carico prevalente e diretto dello Stato o materie di competenza provinciale, i servizi antincendi, i contributi di miglioria in relazione ad opere pubbliche eseguite dagli altri enti pubblici compresi nell’ambito del territorio regionale; b) tra le competenze integrative (art. 6 dello statuto speciale), la previdenza e le assicurazioni sociali.

Peraltro, ad avviso delle ricorrenti, tali limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato sarebbero incostituzionali anche laddove dovessero ritenersi funzionali e strumentali alla sostenibilità del debito pubblico, sia sulla base dei parametri costituzionali (art. 5, comma 2, lettera c, della legge cost. n. 1 del 2012; principi di eguaglianza, ragionevolezza e leale collaborazione), sia di quelli statutari.

4.‒ Con memorie depositate il 7 dicembre 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito svolgendo le medesime argomentazioni di cui al ricorso n. 68 del 2016.

5.− Con ricorso notificato il 28 ottobre 2016 e depositato il 4 novembre 2016, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato il medesimo art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, per violazione degli artt. 4, 8, 48, 49, 51, 63 e 65 dello statuto speciale approvato con legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) nonché delle relative norme di attuazione; degli artt. 3, 81, 97, primo comma, 117, terzo e quarto comma, e 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., anche in riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; nonché dell’art. 5, comma 2, lettera c) della legge cost. n. 1 del 2012.

5.1.− Dopo aver premesso il contenuto della legge censurata e, in particolare, dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, che ha introdotto l’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012, la Regione autonoma ne impugna, innanzitutto il primo periodo.

Esso individua, ai fini dell’equilibrio di bilancio, le entrate finali come quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal d.lgs. n.118 del 2011, vale a dire le entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa (Titolo 1); trasferimenti correnti (Titolo 2); entrate extratributarie (Titolo 3); entrate in conto capitale (Titolo 4); entrate da riduzione di attività finanziarie (Titolo 5).

La ricorrente osserva che tra le entrate finali che possono essere prese in considerazione ai fini dell’equilibrio di bilancio non è menzionato l’eventuale avanzo dell’esercizio precedente.

L’omessa menzione di tale posta di bilancio è oggetto della odierna impugnazione.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dubita, difatti, che la mancata espressa menzione dell’eventuale avanzo di amministrazione possa essere intesa nel senso di divieto di utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente. Tale ipotesi interpretativa potrebbe ritenersi confermata, sul piano sistematico, da quanto dispone l’art. 2, comma 1, lettera a), della medesima legge n. 164 del 2015 – parimenti impugnato dalla ricorrente con diversa censura – che parrebbe consentire l’utilizzo degli avanzi di amministrazione soltanto sulla base di intese concluse in ambito regionale.

Nel caso venisse fornita un’interpretazione in tal senso, la Regione ricorrente lamenta ingenti effetti negativi, dal momento che essa vanta la presenza di grandi gruppi societari e, di conseguenza, un’estrema variabilità dell’entrate, costituite, principalmente, dalla compartecipazione ai tributi erariali.

Detta variabilità non sarebbe prevedibile dalla Regione, né programmabile ex ante, dal momento che essa ha contezza della entità della compartecipazione di sua spettanza solo a versamento avvenuto, secondo quanto previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale.

La combinazione delle regole costituzionali sulla finanza regionale con la particolare composizione dei soggetti passivi d’imposta, che rende mutevole la massa imponibile, e con i meccanismi di trasmissioni dei dati normativamente previsti comporta la fisiologica formazione di avanzi di bilancio (o disavanzi), i quali dovrebbero trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata dell’anno seguente utili ai fini del pareggio di bilancio. Diversamente, la disposizione sarebbe, ad avviso della Regione ricorrente, lesiva della propria autonomia finanziaria ed illegittima sotto diversi profili.

In primo luogo, l’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, una volta che sia stato accertato e rappresentato nei rendiconti, costituisce un elemento patrimoniale della Regione autonoma, che la norma impugnata renderebbe indisponibile − se non e alle condizioni di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, oggetto di separata impugnazione − generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale.

La disposizione sarebbe dunque lesiva delle norme dello statuto speciale nelle quali è fondata la sua autonomia finanziaria, e dunque delle norme contenute nel Titolo IV, e, in particolare, dell’art. 48, che costruisce la finanza dell’ente come una finanza propria della Regione autonoma; dell’art. 49, che attribuisce alla Regione autonoma quote dei tributi erariali; dell’art. 51, che individua le altre entrate della Regione autonoma; dell’art. 63, ultimo comma, che consente modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto.

Sarebbero inoltre violate anche le corrispondenti norme sull’autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione autonoma contenute nell’art. 119, commi primo, secondo e sesto, Cost., anche in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, ove più favorevole.

La sottrazione materiale di risorse risulterebbe lesiva anche del principio dell’accordo, in applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia: principio sotteso agli artt. 63 e 65 (in tema di procedura negoziata per l’approvazione delle norme di attuazione) dello statuto speciale, nonché alle norme di attuazione contenute nel d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), nel decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale); nel decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), e ribadito, con riferimento a tutte le Regioni a statuto speciale, dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009.

D’altro canto, la disposizione impugnata non potrebbe essere nemmeno giustificata con le esigenze della solidarietà nazionale menzionate dall’art. 48 dello statuto, o con le esigenze di concorso della Regione autonoma alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, menzionate dagli artt. 81, sesto comma, e 97, primo comma, Cost., nonché dall’art. 5, comma 2, della legge cost. n. 1 del 2012.

Qualora, difatti, l’avanzo di amministrazione venisse «sterilizzato» ai fini dell’equilibrio del bilancio regionale allo scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche, ai fini della rendicontazione europea, ciò violerebbe molteplici parametri costituzionali.

Sarebbe violato, anzitutto, il principio per cui l’equilibrio complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in disavanzo e bilanci in attivo: la possibilità di compensazioni, del resto, è consentita soltanto nei limiti di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, in relazione alle operazioni di investimento.

Tale principio si ricava dagli artt. 81, primo comma, 119, primo comma, Cost., e 97, primo comma, Cost., che la Regione autonoma sarebbe legittimata a far valere sia perché l’equilibrio dei rispettivi bilanci è considerato una sorta di garanzia reciproca che tutti i livelli di Governo mutuamente si prestano, sia perché la considerazione dell’equilibrio di bilancio come un equilibrio complessivo, creato anche attraverso la sterilizzazione degli avanzi di amministrazione, ha un ovvio impatto sull’autonomia finanziaria della medesima Regione, la quale si vede impossibilitata ad utilizzare ai fini del pareggio il saldo favorevole realizzato a consuntivo dell’esercizio precedente.

In secondo luogo, sarebbe violato anche il principio di veridicità e di trasparenza dei bilanci e di responsabilità politica per gli stessi, implicito, oltre che nel richiamato art. 81 Cost., nelle norme statutarie che riservano al Consiglio regionale l’approvazione dei bilanci (artt. 7 e 25, commi primo e quarto). Ed infatti, l’organo rappresentativo, che risponde al corpo elettorale, si troverebbe a dover approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perché l’avanzo degli esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della Regione autonoma, non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, ma imputato al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione.

L’elettore verrebbe così privato della possibilità di comprendere l’effettivo andamento della finanza regionale e di valutare corrispondentemente l’operato degli amministratori e dei rappresentanti eletti, in base a quanto già statuito da questa Corte nella sentenza n. 188 del 2016.

In terzo luogo, sarebbe violato anche il principio sotteso all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. 1 del 2012, che vuole appositamente regolate le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, in quanto non potrebbe considerarsi regolazione quello che è solo un effetto indiretto di una regola contabile, non a caso contenuta in una disposizione che non si occupa del concorso degli enti territoriali alla sostenibilità del debito pubblico.

Sotto tale profilo risulterebbero inoltre violati il principio di ragionevolezza ed il principio di eguaglianza, poiché la norma produce effetti del tutto casuali e non correlati da un’autentica “capacità contributiva” dell’ente, dal momento che la presenza di un avanzo di amministrazione non è di per sé sintomatica di una situazione finanziaria dell’ente realmente buona, né significa che l’avanzo possa essere contabilizzato a servizio del debito consolidato delle amministrazioni pubbliche.

Questo rilievo di irragionevolezza sarebbe confermato dal fatto che la norma impugnata si pone in contrasto con la logica interna del sistema delineato dalla legge rinforzata n. 243 del 2012, che configura, all’art. 3, comma 2, il pareggio di bilancio come un obiettivo di medio termine.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sarebbe, difatti, ostacolata nel raggiungimento di questo obiettivo dalla permanente sottrazione alla propria disponibilità delle risorse che pure statutariamente le spettano, ma che non potrebbe ragionevolmente riuscire a impiegare nell’anno di riscossione per la struttura stessa del meccanismo della riscossione.

Sarebbe infine evidente la ridondanza di detta violazione sull’esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla Regione ricorrente, quali, ad esempio, le funzioni legislative ed amministrative che richiedono l’approvazione di spese e l’erogazione di fondi; quali: a) tra le competenze primarie (artt. 4 e 8 dello statuto speciale, o se più favorevoli le analoghe competenze residuali ex art. 117, quarto comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001), agricoltura e foreste, bonifiche, ordinamento delle minime unità culturali e ricomposizione fondiaria, irrigazione, opere di miglioramento agrario e fondiario, zootecnia, ittica, economia montana, corpo forestale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse locale e regionale; turismo e industria alberghiera; trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse regionale; acque minerali e termali; istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche di interesse locale e regionale; b) per le competenze legislative concorrenti, l’igiene e sanità (o, se più favorevole, la tutela della salute ex articoli 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001).

5.2.− Vengono, inoltre, impugnati il secondo ed il terzo periodo della disposizione in esame, concernenti la limitazione all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, con motivazioni analoghe ai precedenti ricorsi.

Riguardo ai parametri propri della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia è dedotta, in particolare, la violazione degli artt. 48 (sul carattere proprio della finanza regionale), 49 (sulla spettanza delle quote di tributi erariali) e 51 (sulle altre entrate regionali) dello statuto speciale, dal momento che l’attribuzione alla Regione autonoma di determinate entrate implica che di esse l’ente possa disporne; nonché la violazione dell’art. 119, primo comma, Cost., che espressamente sancisce l’autonomia di spesa, invocato in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, se più favorevole.

Quanto alla ridondanza sull’esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla Regione autonoma, richiamato quanto dedotto al punto che precede, e in particolare, in relazione alle competenze che normalmente richiedono l’adozione di programmi di spesa, verrebbero, specificamente, in rilievo le competenze in materia di viabilità o di lavori pubblici di interesse locale e regionale, di trasporti di interesse regionale e di sanità.

6.− Con memoria depositata il 7 dicembre 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito nel presente giudizio, concludendo per l’inammissibilità o comunque per l’infondatezza del ricorso.

6.1.− Per quanto concerne specificamente la censura attinente l’omessa menzione dell’avanzo di amministrazione tra le entrate finali rilevanti nell’equilibrio di bilancio e nella conseguente impossibilità di utilizzare il proprio avanzo di amministrazione ai fini del pareggio di bilancio, rammenta che già il testo originario della legge n. 243 del 2012, emanata nell’esercizio della delega contenuta nella legge costituzionale n. l del 2012, avente ad oggetto la declinazione delle «norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci», aveva provveduto ad individuare i saldi rilevanti ai fini dell’equilibrio di bilancio.

Le voci di bilancio che concorrono alla formazione delle entrate finali e delle spese finali risultano dagli schemi di contabilità regionale previsti dal d.lgs. n. 118 del 2011; in particolare gli allegati 9 e 10 di tale decreto riportano gli schemi, rispettivamente, del bilancio di previsione e del rendiconto di gestione.

In tale ambito, il quadro generale riassuntivo evidenzia che le entrate finali sono la somma dei Titoli I, II, III, IV e V, mentre le spese finali sono la somma dei Titoli I, II, e III.

Dal combinato disposto dell’originario art. 9, comma 1, della legge n. 243 del 2012, che definiva l’equilibrio di bilancio, e degli allegati 9 e 10 al d.lgs. n. 118 del 2011, risulterebbe che l’avanzo di amministrazione non risultava ricompreso fra le voci di entrata che costituivano gli equilibri di bilancio, declinati attraverso il rispetto dei quattro saldi.

Tale articolazione del vincolo previsto dalla legge n. 243 del 2012 – che non include né il risultato d’amministrazione dell’anno precedente né il fondo pluriennale vincolato – risponderebbe all’esigenza di coordinare le regole di finanza pubblica cui sono sottoposti gli enti territoriali con le regole europee della competenza economica, secondo cui gli avanzi di amministrazione realizzati in esercizi precedenti non sono conteggiati ai fini del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche utilizzato per la verifica del rispetto dei vincoli europei.

Ne consegue che l’eventuale avanzo non può essere imputato al consolidamento dei conti delle amministrazioni pubbliche pur restando nella piena disponibilità degli enti.

Le censure sarebbero, dunque, innanzitutto inammissibili, in quanto l’esclusione dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente dalle poste utili ai fini dell’equilibrio di bilancio non è un effetto della norma impugnata, che si limita a ribadire tale disciplina, ma discende dalle previgenti disposizioni.

Sarebbero comunque infondate le doglianze concernenti la compressione dell’autonomia finanziaria sollevate in relazione agli artt. 48, 49, 51 e 63 dello statuto speciale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dal momento che le regole di finanza pubblica sono connotate da una generalità non derogabile in favore di singoli enti.

Le segnalate difficoltà della Regione autonoma nel raggiungimento dell’equilibrio, dovute alla variabilità delle proprie entrate compartecipate, non potrebbero, difatti, trovare soluzione nell’ambito delle regole generali di finanza pubblica, bensì attraverso l’introduzione di meccanismi correttivi nell’attribuzione alla Regione autonoma del gettito da compartecipazione ai tributi erariali, ovvero attraverso una modifica statutaria che sancisca il passaggio dal gettito riscosso al gettito maturato, vale a dire all’attribuzione del gettito il cui presupposto di imposta si verifica nel territorio della Regione autonoma, come già avvenuto per le altre Regioni a statuto speciale.

Peraltro, andrebbe evidenziato che le nuove regole di finanza pubblica introdotte con la legge n. 164 del 2016 avrebbero un effetto migliorativo del quadro previgente in quanto ampliano, attraverso gli strumenti di flessibilità previsti dalla nuova versione dell’art. 10 della legge n. 243 del 2012, le facoltà di spesa degli enti territoriali consentendo agli stessi l’utilizzo del risultato di amministrazione degli esercizi precedenti per finanziare operazioni di investimento non solo nel rispetto del proprio saldo, ma anche attraverso le intese concluse in ambito regionale (comma 3) o mediante la partecipazione ai patti di solidarietà nazionali (comma 4).

Ciò al fine di incentivare le spese di investimento favorendo il pieno utilizzo della capacita di spesa degli enti.

Anche sotto tale profilo parrebbe mancare il requisito della sostanziale lesività.

6.2.− In relazione al secondo e al terzo periodo della disposizione impugnata, concernenti la limitazione all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, sono svolte le medesime difese dei ricorsi n. 68, 69 e 70.

7.− Infine, con ricorso notificato il 28 ottobre - 2 novembre 2016 e depositato il successivo 7 novembre la Regione Veneto ha impugnato, in riferimento agli artt. 5 e 114 Cost. «e mediatamente» agli artt. 117-120 Cost., l’art. 1, comma 1, lettera e), della legge n. 164 del 2016, che attribuisce alla legge dello Stato la determinazione di premi e di sanzioni da applicare alle Regioni, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, in relazione alle disposizioni di cui all’art. 9 della legge n. 243 del 2012, dirette a disciplinare l’equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti locali.

Secondo la Regione Veneto, nel rinnovato quadro costituzionale che prevede a carico di tutti gli enti l’obbligo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico, la competenza esclusiva dello Stato in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, nonché l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea, il rapporto tra lo Stato e le autonomie territoriali costituzionalmente riconosciute, non potrebbe reputarsi alterato al punto tale da ritenere che le Regioni e gli altri enti locali «siano sottoposti ad una disciplina pedagogica da parte dello Stato, legittimato a castigare e ricompensare la loro condotta».

L’art. 114 Cost., difatti, disegnerebbe un’architettura istituzionale che riconosce pari dignità a tutte le articolazioni della Repubblica.

Al contrario, «la previsione di “premi” e “sanzioni”, dal sapore “paternalista”», si fonderebbe su un regime di relazioni tra l’amministrazione dello Stato e gli enti territoriali non paritetico, né rispettoso della autonoma responsabilità alla quale anche i secondi sono tenuti.

Inoltre, tale impostazione produrrebbe effetti in danno del cittadino, in ragione del solo fatto di risiedere in un dato ambito territoriale.

Se, difatti, come affermato da questa Corte, «i margini costituzionalmente tutelati dell’autonomia finanziaria e organizzativa della Regione si riducono, quando essa ha trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata» (sentenze n. 219 del 2013; nello stesso senso è richiamata la sentenza n. 155 del 2011), tuttavia, tale compressione dell’autonomia decisionale degli enti territoriali non giustificherebbe la previsione di un sistema premiale/sanzionatorio. Esso dovrebbe, invece, limitarsi esclusivamente a «contromisure compensative o sostitutive che non determinino un danno per il cittadino, ma scindano la sanzione sulla responsabilità politica e/o amministrativa dall’interesse che ha la collettività di beneficiare dello stesso trattamento e delle stesse risorse su tutto il territorio nazionale».

Infine, il richiamo al principio di proporzionalità, previsto, peraltro, impropriamente anche con riguardo al rapporto tra premi e sanzioni e non solo tra sanzioni e violazioni, non sarebbe in grado di modificare la natura di detto sistema premiale/sanzionatorio.

7.1.‒ Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito con memoria depositata il 7 dicembre 2016 e ha dedotto, a riguardo, l’infondatezza della censura in quanto sembra attribuire rilievo determinante alla terminologia utilizzata dal legislatore statale più che al contenuto sostanziale della nuova disposizione introdotta.

In particolare, la ricorrente non avrebbe considerato che la disposizione impugnata avrebbe, innanzitutto, una finalità di garanzia per gli enti territoriali, attraverso l’introduzione del principio di proporzionalità nella determinazione delle sanzioni e dei premi. Essa assolverebbe, inoltre, ad una finalità di miglioramento della situazione finanziaria degli enti territoriali, attraverso l’introduzione della lettera c), che destina i proventi delle sanzioni al finanziamento di premi a favore degli enti del medesimo comparto che hanno rispettato i propri obiettivi.

Ha quindi concluso quindi per il rigetto del ricorso.

8.‒ Con memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica tutte le ricorrenti hanno replicato alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri.

8.1.‒ In particolare, la Provincia autonoma di Bolzano evidenzia che, contrariamente all’assunto della difesa erariale, secondo il quale le nuove disposizioni favorirebbero la programmazione degli investimenti e, in generale, la gestione di tutte le spese a valenza pluriennale, le disposizioni impugnate avrebbero posto limiti per l’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, in virtù dei quali si verificherebbe, a partire dal 2017, un congelamento delle risorse pur disponibili, la cui utilizzazione era già stata programmata, al di fuori delle limitazioni imposte dalla regola del saldo non negativo di cui all’art. 9 della legge n. 243 del 2012.

8.2.‒ La Provincia autonoma di Trento e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, a loro volta, contestano innanzitutto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di lesività delle norme impugnate in quanto basata su due assunti entrambi non fondati: quello secondo il quale, prima delle modifiche introdotte dalla legge n. 164 del 2016, l’art. 9 della legge n. 243 del 2012 non consentiva l’utilizzazione del fondo pluriennale vincolato e quello per cui l’impugnazione della Provincia autonoma sarebbe diretta a contestare una norma favorevole che consentirebbe espressamente l’utilizzazione del fondo pluriennale vincolato.

Al contrario, l’art. 9 della legge n. 243 del 2012 non avrebbe impedito all’ente di utilizzare il proprio fondo pluriennale vincolato, in quanto, prima della sua modifica ad opera dell’art. l della legge n. 164 del 2016, esso non definiva le entrate finali e le uscite finali e, soprattutto, non poneva limiti all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato.

Peraltro, non sarebbe oggetto di contestazione la norma che prevede l’utilizzabilità del fondo ai fini dell’equilibrio di bilancio, bensì solamente le limitazioni di ordine materiale, temporale e procedurale che il legislatore ha apposto a tale utilizzo.

Le ricorrenti contestano inoltre l’assenza di interesse a ricorrere, secondo quanto ritiene l’Avvocatura generale dello Stato allegando una supposta “natura programmatica” o “di principio” delle disposizioni impugnate: al contrario le norme contenute nell’art. 9, comma l-bis, della legge n. 243 del 2012 avrebbero fin da subito inibito l’utilizzo ‒ ai fini dell’equilibrio di bilancio ‒ del predetto fondo, la cui considerazione (agli stessi fini) è stata possibile soltanto con l’approvazione della legge di bilancio 2017.

Osserva al riguardo che la norma impugnata consente alla legge di bilancio di compiere di volta e in volta la valutazione dell’utilizzabilità del fondo pluriennale vincolato: nulla escluderebbe, dunque, che nelle prossime leggi di bilancio, avvalendosi della autorizzazione ad esso conferita, il legislatore ordinario muti il proprio indirizzo ed escluda tale possibilità, anche con riferimento al 2018 o al 2019.

Diversamente, qualora fosse accolta la censura sollevata dalla Provincia autonoma sulla legge rinforzata, il fondo pluriennale vincolato cesserebbe di essere una posta di bilancio di cui il legislatore statale potrebbe liberamente disporre, includendola od escludendola dal computo degli aggregati significativi agli effetti dell’equilibrio di bilancio secondo valutazioni occasionali di politica finanziaria.

8.3.‒ Anche la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ritiene che l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di lesività delle norme impugnate sia infondata, in quanto si basa sull’erronea premessa per cui il testo previgente dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012 avrebbe precluso l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione ai fini dell’equilibrio di bilancio.

Osserva, inoltre, che, se anche le disposizioni censurate fossero ritenute migliorative dell’assetto precedente, ciò non farebbe venire meno l’interesse ad impugnare (è in proposito richiamata la sentenza n. 222 del 2013).

Nel merito, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia contesta l’argomento per cui le regole di finanza pubblica sarebbero necessariamente connotate da generalità, in quanto esso negherebbe un carattere essenziale della specialità regionale e, in particolare, per quanto concerne le regole sull’avanzo di amministrazione, esso sarebbe smentito proprio in relazione alle regole sugli usi dell’avanzo di amministrazione contenute nell’art. 10 della legge n. 243 del 2012, di cui la Regione ricorrente ha impugnato il novellato comma 3.

8.4.‒ La Regione Veneto ribadisce, infine, che la previsione di un mero sistema premiale-sanzionatorio non determinerebbe alcun effetto di garanzia né di miglioramento della situazione finanziaria degli enti territoriali ma aggraverebbe la condizione degli enti in difficoltà a vantaggio degli altri perché determinerebbe una penalizzazione destinata a risolversi a danno del cittadino.

Inoltre, la sanzione sarebbe ingiusta e irrazionale, in quanto colpirebbe gli enti che, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012, presentano un “saldo negativo” tra le entrate e le spese finali, a prescindere da una “colpa” e sul «semplice presupposto oggettivo del fatto di “inadempimento”». Le norme impugnate avrebbero invece dovuto prevedere misure compensative o sostitutive, idonee a garantire il ripianamento e non certo ad aggravare la «deficienza finanziario-contabile» degli enti inadempienti che finirebbe per accrescere il divario esistente tra enti territoriali.

Considerato in diritto 1.– La Provincia autonoma di Bolzano (r. ric. n. 68 del 2016) ha promosso questione di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), che introduce nell’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), il comma 1-bis, in riferimento agli artt. 16, 79, 80, 81, 83 e 84 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol), e all’art. 16 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché agli artt. 81, 97, secondo comma, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

La disposizione di nuova introduzione prevede che «Ai fini dell’applicazione del comma 1, le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio. Per gli anni 2017-2019, con la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale, è prevista l’introduzione del fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa. A decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali».

Le norme statutarie attribuirebbero alla Provincia autonoma di Bolzano la potestà legislativa esclusiva (artt. 8 e 9), e la corrispondente potestà amministrativa, in materia di finanza locale, nonché il coordinamento della finanza pubblica provinciale che comprende la finanza locale.

L’accordo del 15 ottobre 2014, cosiddetto “patto di garanzia”, tra lo Stato, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano prevederebbe che nei confronti della Regione e delle Province autonome e degli enti appartenenti al sistema territoriale regionale integrato non siano applicabili disposizioni statali che prevedono obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti al patto di stabilità interno, diversi da quelli previsti dal Titolo VI dello statuto speciale di autonomia.

Il fondo pluriennale vincolato sarebbe una posta di bilancio introdotta dalla nuova disciplina in materia di armonizzazione dei sistemi contabili di cui al decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42), che troverebbe applicazione anche nella Provincia autonoma di Bolzano nel 2016. Esso rappresenterebbe lo strumento per reimputare su esercizi successivi spese già impegnate ma non ancora giunte a scadenza. Trattandosi di spese già impegnate su esercizi precedenti, esse risulterebbero finanziariamente già coperte con le entrate di detti esercizi, anche in considerazione del fatto che il bilancio della Provincia autonoma di Bolzano è sempre stato approvato in equilibrio. Secondo la ricorrente, l’introduzione di restrizioni all’utilizzo del citato fondo per il periodo 2017-2019, nonché la possibilità, dal 2020, di iscrivere il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa solo per la parte finanziata da entrate finali, si sostanzierebbe nella limitazione o nell’impossibilità, a decorrere dal 2017, di utilizzare risorse già destinate negli esercizi precedenti al finanziamento di spese oggetto di riprogrammazione, con conseguente necessità di utilizzare a loro copertura nuove entrate dell’anno sul quale vengono riprogrammate le spese, che diversamente avrebbero potuto essere altrimenti impiegate per nuovi interventi, con conseguente lesione dei principi di cui agli artt. 81 e 119 Cost.

Attraverso il descritto meccanismo contabile si concretizzerebbe una violazione dei principi di autonomia finanziaria e di bilancio contenuti nel Titolo VI dello statuto e, in particolare, del principio di autonomia finanziaria dal lato della spesa.

Risulterebbe infine leso il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, secondo comma, Cost., in quanto verrebbe preclusa la realizzazione dei programmi di investimento per i quali le risorse vengono accantonati nel fondo pluriennale vincolato di entrata.

1.1.‒ Costituendosi in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che l’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, nello specificare al primo periodo quali sono le entrate finali e le spese finali che rientrano nel computo del saldo di finanza pubblica indicato nell’art. 9, comma 1, della legge n. 243 del 2012 prevederebbe un’iniziale fase transitoria per gli anni 2017-2019, durante la quale spetterebbe alla legge di bilancio disporre l’introduzione del fondo pluriennale vincolato nel calcolo del citato saldo, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale. A decorrere dall’esercizio finanziario 2020 sarebbe quindi prevista l’inclusione strutturale nel saldo di finanza pubblica del fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa.

Sarebbe pertanto evidente come la normativa impugnata, semplificando la definizione di equilibrio di bilancio e consentendo l’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, abbia reso il sistema dei vincoli di finanza pubblica più favorevole agli enti territoriali.

Al momento della stesura della legge impugnata, tra l’altro, non si disponeva di elementi informativi puntuali che consentissero di valutare il reale impatto sulla finanza pubblica, in termini di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni, dell’inserimento a regime del fondo pluriennale vincolato negli equilibri di bilancio; pertanto, il rinvio alla legge di bilancio dovrebbe essere interpretato, sul piano sostanziale, come impegno del legislatore a individuare la copertura di detto fondo nel triennio 2017-2019, fermo restando l’inserimento di tale strumento contabile ai fini del pareggio di bilancio, mentre, sul piano formale, sarebbe stato necessario, in un’ottica prudenziale, provvedere a rinviare alla legge di bilancio 2017-2019 la gestione del periodo transitorio nel quale si sarebbero potuti valutare e coprire gli effetti dell’inclusione del fondo in parola negli equilibri di bilancio.

2.– Anche la Provincia autonoma di Trento (r. ric. n. 69 del 2016) e la Regione autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol (r. ric. n. 70 del 2016) hanno promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, del medesimo art. 1, comma 1, lettera b), e, in particolare, del secondo e del terzo periodo, in riferimento, la prima ricorrente, agli artt. 8, 16, 79 e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, nonché agli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost., anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3; la seconda ricorrente in riferimento agli artt. 4, 16, 79 e 84 del medesimo statuto di autonomia, nonché agli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost., anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3.

Le ricorrenti precisano di censurare esclusivamente il secondo e il terzo periodo della disposizione, nella parte in cui pongono limiti temporali, procedurali e materiali per l’utilizzo del fondo pluriennale di bilancio, con motivazioni analoghe a quelle svolte dalla Provincia autonoma di Bolzano nel ricorso da essa proposto.

Rammentano, al riguardo, che il fondo pluriennale vincolato è una posta di bilancio che è stata introdotta in esecuzione dei principi statali di armonizzazione dei bilanci pubblici dettati dal d.lgs. n. 118 del 2011 e sarebbe costituito da risorse già accertate e già impegnate in esercizi precedenti, ma destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell’ente che diventeranno esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l’entrata: esso, dunque, rappresenterebbe un saldo finanziario a garanzia della copertura di spese imputate a esercizi successivi a quello in corso e configurerebbe lo strumento tecnico per ricollocare su tali esercizi spese già impegnate, relativamente alle quali sussiste un’obbligazione giuridicamente perfezionata (e quindi un vincolo a effettuare i relativi pagamenti), che, tuttavia, giungeranno a scadenza negli esercizi sui quali vengono reimputate le spese. Tale reimputazione sarebbe obbligatoria ai sensi del d.lgs. n. 118 del 2011.

Trattandosi di spese già impegnate su esercizi precedenti, esse risulterebbero finanziariamente già coperte con le entrate di detti esercizi. Al riguardo, andrebbe tenuto conto anche del fatto che, in particolare, il bilancio della Provincia autonoma di Trento sarebbe sempre stato approvato in equilibrio.

Proprio per questa ragione, le regole dell’armonizzazione prevederebbero che l’operazione di reimputazione delle spese sia accompagnata da quella delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse degli anni in cui sono state impegnate le spese.

Le esposte limitazioni si tradurrebbero nel condizionamento della possibilità di utilizzare le risorse già destinate negli esercizi precedenti al finanziamento delle spese programmate, e ciò determinerebbe, secondo la ricorrente, la necessità che per la copertura di tali spese debbano essere utilizzate nuove entrate dell’anno sul quale vengono sostenute le spese: nuove entrate che diversamente avrebbero potuto essere impiegate per diversi interventi.

Dette restrizioni, a partire dal 2017, determinerebbero un congelamento delle risorse pur disponibili, la cui utilizzazione sarebbe già stata programmata, al di fuori delle limitazioni imposte dalla regola del saldo non negativo di cui all’art. 9 della legge n. 243 del 2012, comportando innanzitutto una lesione della autonomia finanziaria della Provincia autonoma e della Regione autonoma sul versante della spesa. Tale principio sarebbe, difatti, immanente nello statuto, dal momento che le risorse di cui agli artt. 70 e seguenti sarebbero attribuite alla Regione autonoma e alle Province autonome per far fronte alle funzioni loro assegnate, e le possibili limitazioni sarebbero disciplinate esclusivamente dal successivo art. 79. In ogni caso, sarebbe lesa l’autonomia sul versante della spesa, che è espressamente enunciata dall’art. 119, primo comma, Cost., evocato a parametro in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Al contrario, sarebbe proprio la limitazione all’utilizzazione del fondo appositamente programmato per spese già impegnate – e che diventeranno esigibili negli esercizi successivi – a determinare un rischio per l’equilibrio del bilancio, giacché tale ostacolo comporterebbe la necessità di reperire altrove una copertura per tali spese, corrispondente a obbligazioni giuridicamente vincolanti già assunte.

Sotto tale profilo, risulterebbe poi violato il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97, secondo comma, Cost., in quanto, se non si rinvenisse anno per anno una nuova idonea copertura per le obbligazioni già insorte, verrebbe preclusa la realizzazione dei programmi di investimento per i quali le risorse sono accantonate nel fondo vincolato di entrata.

Parimenti leso sarebbe il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3, primo comma, Cost., dal momento che le ricorrenti − pur disponendo dei fondi necessari al finanziamento di un investimento pluriennale – non potrebbero avere la certezza di poterlo supportare negli anni successivi, poiché sarebbe loro precluso di disporre delle somme appositamente accantonate; la Provincia autonoma di Trento, inoltre, sarebbe indotta, in virtù di una disposizione legislativa, a rendersi inadempiente a fronte di obbligazioni legittimamente assunte e in origine dotate di piena copertura finanziaria.

Sarebbe inoltre evidente la ridondanza di tale violazione sull’esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla Regione autonoma e alla Provincia autonoma con riferimento ai parametri statutari e alle norme contenute nel titolo V della Costituzione richiamati nei ricorsi.

Peraltro, ad avviso delle ricorrenti, tali limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato sarebbero incostituzionali anche laddove dovessero ritenersi funzionali e strumentali alla sostenibilità del debito pubblico, sia sulla base dei parametri costituzionali (art. 5, comma 2, lettera c, della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»; principi di eguaglianza, ragionevolezza e leale collaborazione), sia di quelli statutari.

2.1.‒ Costituendosi in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha svolto argomentazioni difensive del medesimo tenore di quelle sviluppate nei confronti del ricorso iscritto al r. ric. n. 68 del 2016.

3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha promosso questioni di legittimità costituzionale, tra le altre, dello stesso art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, primo periodo, ove inteso nel senso di divieto di utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, nonché degli ulteriori periodi del medesimo articolo, in riferimento agli artt. 4, 8, 48, 49, 51, 63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), e agli artt. 3, 81, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., anche in riferimento all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Dopo aver premesso il contenuto della legge n. 164 del 2016 e, in particolare, dell’art. 1, comma 1, lettera b), ivi contenuto, la Regione autonoma ne impugna, innanzitutto, il primo periodo. Esso individuerebbe, ai fini dell’equilibrio di bilancio, le entrate finali come quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal d.lgs. n. 118 del 2011, vale a dire le entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa (titolo 1); i trasferimenti correnti (titolo 2); le entrate extratributarie (titolo 3); le entrate in conto capitale (titolo 4); le entrate da riduzione di attività finanziarie (titolo 5).

La ricorrente osserva che tra le entrate finali che possono essere prese in considerazione ai fini dell’equilibrio di bilancio non è menzionato l’eventuale avanzo dell’esercizio precedente. L’omessa menzione di tale posta di bilancio è oggetto di censura.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, infatti, dubita che la mancata espressa menzione dell’eventuale avanzo di amministrazione possa essere intesa nel senso di divieto di utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente. Tale ipotesi interpretativa potrebbe ritenersi confermata, sul piano sistematico, da quanto dispone l’art. 2, comma 1, lettera a), della medesima legge n. 164 del 2016 – parimenti impugnato dalla ricorrente con distinta e autonoma censura – che parrebbe consentire l’utilizzo degli avanzi di amministrazione soltanto sulla base di intese concluse in ambito regionale.

Nel caso di un’interpretazione in tal senso, la Regione autonoma lamenta ingenti effetti negativi, dal momento che essa vanta la presenza sul proprio territorio di grandi gruppi societari e, di conseguenza, un’estrema variabilità delle entrate, costituite, principalmente, dalla compartecipazione ai tributi erariali. Detta variabilità non sarebbe prevedibile dalla Regione autonoma, né programmabile ex ante, dal momento che essa avrebbe contezza dell’entità della compartecipazione di sua spettanza solo a versamento avvenuto, secondo quanto previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale.

La combinazione delle regole costituzionali sulla finanza regionale con la particolare composizione della platea dei soggettivi passivi d’imposta, che rende mutevole la massa imponibile, e con i meccanismi di trasmissione dei dati normativamente previsti, comporterebbe la fisiologica formazione di avanzi (o disavanzi) di bilancio, i quali dovrebbero trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata dell’anno seguente utili ai fini del pareggio.

Diversamente, la disposizione sarebbe, ad avviso della Regione autonoma, lesiva della propria autonomia finanziaria e illegittima sotto diversi profili.

In primo luogo, l’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, una volta accertato e rappresentato nei rendiconti, costituirebbe un elemento patrimoniale della Regione autonoma, che la norma impugnata renderebbe indisponibile − se non e alle condizioni di cui all’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 164 del 2016, oggetto di separata impugnazione − generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale. La disposizione sarebbe dunque lesiva delle norme dello statuto speciale nelle quali è fondata la sua autonomia finanziaria e, quindi, delle norme contenute nel Titolo IV dello statuto, contrastando con: l’art. 48, che definisce la finanza dell’ente come una finanza propria della Regione; l’art. 49, che le attribuisce quote dei tributi erariali; l’art. 51, che individua le altre entrate della Regione autonoma; l’art. 63, ultimo comma, che consente modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto.

Sarebbero, inoltre, violate anche le corrispondenti norme sull’autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione autonoma contenute nell’art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., anche in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, ove più favorevoli.

La sottrazione materiale di risorse risulterebbe inoltre lesiva del principio dell’accordo – sotteso agli artt. 63 e 65 dello statuto speciale – in applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Qualora, difatti, l’avanzo di amministrazione venisse “sterilizzato” ai fini dell’equilibrio del bilancio regionale allo scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea, ciò contrasterebbe con molteplici parametri costituzionali.

Sarebbe violato, anzitutto, il principio per cui l’equilibrio complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in disavanzo e bilanci in attivo: la possibilità di compensazioni, del resto, sarebbe consentita soltanto nei limiti di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, in relazione alle operazioni di investimento. Tale principio si ricaverebbe dagli artt. 81, primo comma, 119, primo comma, e 97, primo comma, Cost., che la Regione autonoma sarebbe legittimata a far valere sia perché l’equilibrio dei rispettivi bilanci sarebbe considerato una sorta di garanzia reciproca che tutti i livelli di governo mutuamente si prestano; sia perché la considerazione dell’equilibrio di bilancio come complessivo, creato anche attraverso la sterilizzazione degli avanzi di amministrazione, avrebbe un ovvio impatto sull’autonomia finanziaria della Regione, la quale si vedrebbe impossibilitata a utilizzare ai fini del pareggio il saldo favorevole realizzato a consuntivo dell’esercizio precedente.

In secondo luogo, sarebbe violato anche il principio di veridicità e di trasparenza dei bilanci e di responsabilità politica per gli stessi, implicito, oltre che nel richiamato art. 81 Cost., nelle norme statutarie che riservano al Consiglio regionale l’approvazione dei bilanci (artt. 7 e 25, commi primo e quarto, dello statuto speciale). E infatti, l’organo rappresentativo, che risponde al corpo elettorale, si troverebbe a dover approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perché l’avanzo degli esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della Regione, non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, ma imputato al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione. L’elettore verrebbe così privato della possibilità di comprendere l’effettivo andamento della finanza regionale e di valutare corrispondentemente l’operato degli amministratori e dei rappresentanti eletti, in base a quanto già statuito da questa Corte nella sentenza n. 188 del 2016.

In terzo luogo, sarebbe violato anche il principio sotteso all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, che vuole appositamente regolate le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, in quanto non potrebbe considerarsi regolazione quello che sarebbe solo un effetto indiretto di una regola contabile, non a caso contenuta in una disposizione che non si occuperebbe del concorso degli enti territoriali alla sostenibilità del debito pubblico.

Sotto tale profilo risulterebbero inoltre violati il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza, poiché la norma produrrebbe effetti del tutto casuali e non correlati a un’autentica “capacità contributiva” dell’ente, dal momento che la presenza di un avanzo di amministrazione non sarebbe di per sé sintomatica di una sana gestione finanziaria, ben potendo essere l’avanzo contabilizzato a servizio del debito consolidato delle amministrazioni pubbliche.

Vengono, inoltre, impugnati il secondo ed il terzo periodo dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016, concernenti la limitazione all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, con motivazioni analoghe a quelle dei ricorsi precedentemente descritti.

3.1.– Costituendosi in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, comunque, infondato.

Per quanto concerne specificamente la censura attinente all’omessa menzione dell’avanzo di amministrazione tra le entrate finali rilevanti nell’equilibrio di bilancio e alla conseguente impossibilità di utilizzare il proprio avanzo di amministrazione ai fini del pareggio di bilancio, il resistente rammenta che già il testo originario della legge n. 243 del 2012, adottata nell’esercizio della delega contenuta nella legge cost. n. l del 2012, avente ad oggetto la declinazione delle «norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci», aveva provveduto a individuare i saldi rilevanti ai fini dell’equilibrio di bilancio.

Dal combinato disposto dell’originario art. 9, comma 1, della legge n. 243 del 2012, che definiva l’equilibrio di bilancio, e degli allegati 9 e 10 al d.lgs. n. 118 del 2011, risulterebbe che l’avanzo di amministrazione non era ricompreso fra le voci di entrata che costituivano gli equilibri di bilancio, declinati attraverso il rispetto dei saldi.

Le segnalate difficoltà della Regione autonoma nel raggiungimento dell’equilibrio, dovute alla variabilità delle entrate da essa compartecipate, non potrebbero, difatti, trovare soluzione nell’ambito delle regole generali di finanza pubblica, bensì attraverso l’introduzione di meccanismi correttivi nell’attribuzione alla Regione autonoma del gettito da compartecipazione ai tributi erariali, ovvero attraverso una modifica statutaria che sancisca il passaggio dal gettito riscosso al gettito maturato nel territorio della Regione, come già avvenuto per le altre Regioni a statuto speciale.

Peraltro, le nuove regole di finanza pubblica introdotte con la legge n. 164 del 2016 in esame avrebbero un effetto migliorativo del quadro previgente, in quanto amplierebbero, attraverso gli strumenti di flessibilità previsti dalla nuova versione dell’art. 10 della legge n. 243 del 2012, le facoltà di spesa degli enti territoriali, consentendo agli stessi l’utilizzo del risultato di amministrazione degli esercizi precedenti per finanziare operazioni di investimento non solo nel rispetto del proprio saldo, ma anche attraverso le intese concluse in ambito regionale (comma 3) o mediante la partecipazione ai patti di solidarietà nazionali (comma 4). Ciò al fine di incentivare le spese di investimento, favorendo il pieno utilizzo della capacità di spesa degli enti. Anche sotto tale profilo parrebbe mancare il requisito della sostanziale lesività.

In relazione al secondo e al terzo periodo della disposizione impugnata, concernenti la limitazione all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, sono svolte le medesime difese articolate in riferimento ai ricorsi iscritti al r. ric. n. 68, n. 69 e n. 70 del 2016.

4.– Infine, la Regione Veneto (r. ric. n. 74 del 2016) ha promosso questione di legittimità costituzionale, tra le altre, dell’art. 1, comma 1, lettera e), della medesima legge n. 164 del 2016, in riferimento agli artt. 5 e 114 Cost. «e mediatamente» agli artt. Da 117 a 120 Cost.

Secondo la ricorrente – nel rinnovato quadro costituzionale, che prevede a carico di tutti gli enti l’obbligo di assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico, la competenza esclusiva dello Stato in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, nonché l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea – il rapporto tra lo Stato e le autonomie territoriali costituzionalmente riconosciute non potrebbe reputarsi alterato al punto tale da ritenere che le Regioni e gli enti locali «siano sottoposti ad una disciplina pedagogica da parte dello Stato, legittimato a castigare e ricompensare la loro condotta».

L’art. 114 Cost., difatti, disegnerebbe un’architettura istituzionale che riconosce pari dignità a tutte le articolazioni della Repubblica. Al contrario, «la previsione di “premi”e “sanzioni”, dal sapore “paternalista”», si fonderebbe su un regime di relazioni tra l’amministrazione dello Stato e gli enti territoriali non paritetico, né rispettoso della autonoma responsabilità alla quale anche i secondi sono tenuti.

Inoltre, tale impostazione produrrebbe effetti in danno del cittadino, in ragione del solo fatto di risiedere in un dato ambito territoriale. Se, difatti, «i margini costituzionalmente tutelati dell’autonomia finanziaria e organizzativa della Regione si riducono, quando essa ha trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata» (si citano le sentenze n. 219 del 2013 e n. 155 del 2011), tuttavia, tale compressione dell’autonomia decisionale degli enti territoriali non giustificherebbe la previsione di un sistema premiale/sanzionatorio. Esso dovrebbe, invece, limitarsi esclusivamente a «contromisure compensative o sostitutive che non determinino un danno per il cittadino, ma scindano la sanzione sulla responsabilità politica e/o amministrativa dall’interesse che ha la collettività di beneficiare dello stesso trattamento e delle stesse risorse su tutto il territorio nazionale».

Infine, il richiamo al principio di proporzionalità, previsto, peraltro, impropriamente anche con riguardo al rapporto tra premi e sanzioni e non solo tra sanzioni e violazioni, non sarebbe in grado di modificare la natura di detto sistema premiale/sanzionatorio.

4.1.– Costituendosi in giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto l’infondatezza della censura, che sembrerebbe attribuire rilievo determinante alla terminologia utilizzata dal legislatore statale più che al contenuto sostanziale della nuova disposizione introdotta.

5.− Deve essere rimessa a separata pronuncia la decisione sull’impugnazione di altre disposizioni della legge n. 164 del 2016, proposta nei medesimi ricorsi.

5.1.– Le questioni di legittimità costituzionale qui considerate hanno ad oggetto il medesimo articolo di legge e sono basate su censure in larga parte analoghe ed è quindi opportuna la riunione dei relativi giudizi ai fini di una decisione congiunta.

6.– Vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato nei confronti dei ricorsi presentati dalle Regioni a statuto speciale Trentino Aldo Adige/Südtirol e Friuli-Venezia Giulia e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. Secondo il resistente essi non metterebbero sufficientemente in luce la pretesa lesione e il nesso logico con i parametri costituzionali evocati. Al contrario, emerge dalla lettura dei ricorsi e dalla sostanziale coincidenza della maggior parte delle doglianze che le ricorrenti lamentano – alcune anche attraverso un’articolazione ipotetica delle censure – un effetto lesivo degli equilibri di bilancio dei singoli enti territoriali e della propria autonomia costituzionalmente garantita, che deriverebbe dallo strumentale collegamento di regole contabili realizzato dalle norme impugnate.

7.– Le questioni possono essere sintetizzate in relazione ai tre diversi periodi di cui si compone la norma impugnata: a) il primo periodo – secondo la prospettazione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – avrebbe l’effetto indiretto di “espropriare” l’avanzo di amministrazione all’ente territoriale che lo ha realizzato per acquisirlo a obiettivi di finanza pubblica da realizzare in ambito regionale; b) con argomentazioni sostanzialmente analoghe, tutte le autonomie speciali ricorrenti deducono poi che il secondo e il terzo periodo, attraverso uno strumentale collegamento con lo schema di bilancio armonizzato, impedirebbero la naturale utilizzazione del fondo pluriennale vincolato, trasformandolo di fatto in un indebito contributo dell’ente territoriale agli obiettivi di finanza pubblica. In tal modo, un istituto nato per la mera esposizione contabile delle diacronie inerenti alla gestione di competenza e di cassa dei programmi aventi valenza pluriennale sarebbe conformato dalle norme impugnate in un’indebita intrusione negli equilibri finanziari dell’ente territoriale, ponendo in essere una patente violazione della sua autonomia finanziaria e del correlato buon andamento della programmazione.

Avendo tutte le questioni sollevate l’intento di salvaguardare la disponibilità dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato secondo le rispettive discipline, una diversa interpretazione delle disposizioni impugnate che escluda il preteso significato ablativo le renderebbe, per ciò stesso, infondate.

8.– Tanto premesso, la questione sollevata dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia nei confronti del primo periodo dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016 non è fondata nei termini di seguito specificati.

Essa si basa, come detto, sul convincimento che la norma impugnata comporti la preclusione a utilizzare l’avanzo di amministrazione “libero”, al netto dei fondi vincolati, accantonati e destinati di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 118 del 2011, pur dopo il suo accertamento nelle forme di legge.

In vero, non si può disconoscere che detta interpretazione trovi un qualche supporto nell’oscura formulazione della norma e nelle stesse difese del Presidente del Consiglio dei ministri, che oscillano tra la rivendicazione della neutralità finanziaria delle disposizioni impugnate – e la conseguente carenza di interesse della ricorrente – e l’affermazione della doverosa sottoposizione delle autonomie agli obblighi di contribuzione al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

Tale soluzione esegetica risulta, per diversi motivi, non conforme ai parametri costituzionali invocati dalla ricorrente.

È tuttavia possibile un’interpretazione adeguatrice della disposizione in questione, in grado di escludere tale contrasto.

Nel caso di specie – per una molteplice serie di ragioni appresso indicate – l’interpretazione non può che essere quella secondo cui l’avanzo di amministrazione rimane nella disponibilità dell’ente che lo realizza. E ciò comporta l’infondatezza delle censure in riferimento a tutti i parametri invocati, poiché esse si basano sulla opposta soluzione ermeneutica.

8.1.– La doglianza della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si fonda su due elementi indiziari: da un lato, l’assenza dell’avanzo di amministrazione tra le cosiddette “entrate finali” enumerate nell’impugnato art. 1, comma 1, lettera b), della legge n. 164 del 2016; dall’altro, il collegamento della suddetta norma con il successivo art. 2, comma 1, lettera a) – oggetto di separata censura nel ricorso, ma non sottoposto a scrutinio nel presente giudizio – il quale sottrarrebbe agli enti territoriali la piena disponibilità dei risultati di amministrazione positivi.

L’art. 1, comma 1, lettera b), primo periodo, stabilisce che «Ai fini dell’applicazione del comma 1, le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio», non includendo in tali poste l’avanzo di amministrazione; mentre il citato art. 2, comma 1, lettera a), stabilendo che «le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 e le operazioni di investimento realizzate attraverso l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l’anno di riferimento, il rispetto del saldo di cui all’articolo 9, comma 1, del complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione», destinerebbe i risultati positivi di amministrazione a “spazi finanziari” diversi dalla diretta utilizzazione spettante all’amministrazione che li realizza.

Dal combinato delle richiamate disposizioni la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia deduce che anche l’avanzo “libero” di amministrazione sarebbe assoggettato a vincoli di spesa inerenti a obiettivi di finanza pubblica da realizzare su base regionale.

All’interpretazione letterale della ricorrente si deve preferire tuttavia una lettura conforme a Costituzione delle norme contestate, secondo cui gli enti territoriali in avanzo di amministrazione hanno la mera facoltà – e non l’obbligo – di mettere a disposizione delle politiche regionali di investimento una parte o l’intero avanzo. È infatti nella piena disponibilità dell’ente titolare dell’avanzo partecipare o meno alle intese in ambito regionale. Solo in caso di libero esercizio di tale opzione l’ente può destinare l’avanzo all’incremento degli spazi finanziari regionali.

Ove, viceversa, tale opzione solidaristica non sia ritenuta utile dall’ente titolare dell’avanzo, in capo allo stesso permane la disponibilità del suo impiego.

Diversi e concordanti elementi esegetici corroborano questa opzione interpretativa.

8.2.– Anzitutto, la mancata previsione dell’avanzo di amministrazione tra le entrate disponibili deriva dal fatto che la norma contestata è riferita al momento di redazione del bilancio di previsione, mentre l’accertamento del risultato di amministrazione dell’anno precedente avviene a esercizio inoltrato con l’approvazione del rendiconto. Solo dopo l’eventuale accertamento del risultato positivo, la risorsa può essere iscritta in bilancio con apposita variazione in entrata e in uscita (con destinazione che – salvo casi eccezionali – dovrebbe essere rivolta a spese di investimento).

È evidente che la mancata iscrizione dell’avanzo di amministrazione nel bilancio di previsione deriva dalla fisiologia temporale della gestione contabile e dal collegato principio di copertura della spesa, secondo cui qualsiasi intervento può essere realizzato solo dopo l’accertamento dell’esistenza della correlata risorsa.

Proprio in ossequio al principio della previa copertura, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima l’applicazione dell’avanzo presunto al bilancio di previsione regionale (sentenze n. 279 del 2016, n. 250 e n. 266 del 2013 e n. 192 del 2012). A ben vedere, di tale principio il primo periodo dell’art. 1 costituisce mero corollario, poiché all’inizio dell’esercizio finanziario il risultato di quello precedente non può essere accertato nelle forme di legge.

8.3.– Un’interpretazione vincolante del “conferimento” dell’avanzo verrebbe poi a costituire una contribuzione a carico del titolare dell’avanzo stesso in favore delle esigenze della finanza pubblica allargata, senza che ne sussistano gli estremi.

Sul punto, è da condividere l’assunto della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la quale osserva che «l’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, una volta che sia stato [correttamente] accertato e rappresentato nei rendiconti, [diventa] un elemento patrimoniale della Regione, che la norma impugnata, secondo quanto qui prospettato, renderebbe indisponibile da parte dell’ente […], generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale».

Ove si interpretasse la disposizione come imposizione di impiego dell’avanzo di amministrazione, l’operazione normativamente imposta si verrebbe a configurare come un contributo ai vincoli di finanza pubblica senza averne i necessari requisiti e presupposti tra i quali è opportuno ricordare: a) la previa quantificazione; b) la proporzionalità rispetto alle condizioni economico-finanziarie dell’ente assoggettato; c) il puntuale collegamento alla manovra di finanza pubblica realizzata dallo Stato (sentenze n. 188 del 2016, n. 155 e n. 19 del 2015).

Questa Corte ha ritenuto che una determinazione unilaterale dello Stato, comunque provvisoria, di tale contribuzione è ammissibile solo quando la tempistica della manovra di finanza pubblica non consenta un previo contraddittorio e una piena concertazione con le autonomie interessate (sentenza n. 19 del 2015). Tale straordinaria misura deve essere prevista in modo chiaro, trasparente, imparziale e proporzionato al fine di consentire che i sacrifici siano equamente ripartiti tra le comunità territoriali interessate e che gli amministratori di dette comunità abbiano riferimenti attendibili per l’ottimale impiego delle risorse effettivamente a disposizione dopo l’eventuale conferimento del contributo. Il principio risulta, tra l’altro, espresso nell’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, il quale dispone che «[l]a legge di cui al comma 1 disciplina altresì: […] le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni».

8.4.– A ben vedere, l’impiego dell’avanzo quale contributo ai vincoli di finanza pubblica come ipotizzato dalla Regione ricorrente sarebbe intrinsecamente contrario anche ai principi di eguaglianza e proporzionalità nella determinazione del sacrificio posto a carico dei singoli enti, poiché la sua dimensione sarebbe del tutto casuale e legata all’episodico concatenarsi delle varie dinamiche dei singoli bilanci. Sotto tale profilo sarebbe altresì irragionevole, perché verrebbe a costituire una immotivata penalizzazione finanziaria per le gestioni virtuose, atteso che la realizzazione di un risultato positivo – salvo il caso di gravi carenze nella prestazione dei servizi alla collettività – è di regola indice di una condotta virtuosa dell’ente territoriale.

8.5.– Vi è, infine, un ulteriore e decisivo elemento interpretativo che si ricava direttamente dalla vigente formulazione dell’art. 97 Cost., parametro evocato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Invero, la disposizione costituzionale prevede, dopo la riforma, che per tutte le pubbliche amministrazioni l’equilibrio dei rispettivi bilanci sia prodromico al buon andamento e all’imparzialità dell’azione amministrativa. La seconda parte del primo comma di tale articolo contempla poi la partecipazione delle amministrazioni stesse alla «sostenibilità del debito pubblico» (tra le altre, sentenza n. 60 del 2013).

In relazione alla fattispecie in esame non è possibile, per i motivi precedentemente esposti, configurare la norma impugnata come un contributo alla sostenibilità.

Rimane, invece, ai fini interpretativi di tale disposizione, un doveroso riferimento alla prima parte del primo comma dell’art. 97 Cost., poiché il risultato di amministrazione è parte integrante, anzi coefficiente necessario, della qualificazione del concetto di «equilibrio dei bilanci».

Nell’articolazione teleologica del precetto costituzionale, la quale può essere tradotta, sotto il profilo dinamico, nella continua ricerca degli equilibri – la materia finanziaria è “viva” e sottoposta a una notevole quantità di variabili che non consentono, se non casualmente, il raggiungimento e il mantenimento di una situazione stabile e definitiva –,quello che viene in rilievo nel presente ragionamento, cioè l’equilibrio di bilancio ex post, corrisponde all’assenza di un disavanzo al termine dell’esercizio finanziario. E tuttavia il buon andamento presuppone anche che al positivo risultato finanziario faccia riscontro una corretta e ottimale erogazione dei servizi e delle prestazioni sociali rese alla collettività.

Sotto tale profilo, il miglior rapporto tra equilibrio del bilancio e buon andamento dell’azione amministrativa risiede in un armonico perseguimento delle finalità pubbliche attraverso il minor impiego possibile delle risorse acquisite mediante i contributi e il prelievo fiscale; in sostanza, un ottimale rapporto tra efficienza ed equità.

8.6.– Alla luce di tali considerazioni, l’avanzo di amministrazione non può essere oggetto di “prelievo forzoso” attraverso indirette prescrizioni tecniche come quelle impugnate dalla ricorrente.

In definitiva, risulta con chiarezza dalle considerazioni precedenti che l’avanzo di amministrazione, una volta accertato nelle forme di legge, è nella disponibilità dell’ente che lo realizza, secondo quanto precedentemente precisato.

9.– Anche le questioni sollevate da tutte le autonomie speciali ricorrenti nei confronti dell’art. 1, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, della legge n. 164 del 2016, inerenti all’utilizzazione del fondo pluriennale vincolato, sono infondate nei termini di seguito precisati.

Le censure riguardano la pretesa illegittimità delle limitazioni previste dalla norma impugnata all’utilizzazione, a partire dall’esercizio 2017, delle risorse già destinate negli esercizi precedenti al finanziamento delle spese programmate e – a tal fine – inserite nel fondo pluriennale vincolato. Dette censure si basano su una lettura integrata dei commi 1 e 1-bis dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012, come modificati dall’art. 1, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 164 del 2016. Il comma 1-bis fisserebbe il contenuto delle entrate e delle spese finali del bilancio di previsione, precludendo per alcune annualità l’inclusione del fondo pluriennale vincolato, mentre il citato comma 1 stabilirebbe l’ancoraggio di tali titoli di entrata e di spesa al concetto di equilibrio di bilancio. Detta relazione verrebbe a sottrarre, in favore di pretesi vincoli di finanza pubblica assunti dallo Stato, alcune risorse già impegnate – in relazione a obbligazioni passive, indefettibili nei modi, nelle quantità e nei tempi già fissati – per programmi e investimenti approvati e finanziariamente coperti negli esercizi precedenti.

In tal modo il fondo pluriennale vincolato, anziché funzionare come garanzia conservativa di risorse non erogate ma vincolate nel fine, subirebbe un’eterogenesi strumentale agli equilibri della finanza pubblica allargata, al contempo provocando una scopertura sopravveniente di iniziative già approvate e, in ragione di ciò, un conseguente squilibrio per il bilancio dell’ente territoriale investito dalla contestata novella legislativa.

L’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012 stabilisce che, «[a]i fini dell’applicazione del comma 1, le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio. Per gli anni 2017-2019, con la legge di bilancio, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica e su base triennale, è prevista l’introduzione del fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa. A decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali». Il comma 1 dispone che «[i]I bilanci delle regioni, dei comuni, delle province, delle Città metropolitane e delle province autonome di Trento e di Bolzano si considerano in equilibrio quando, sia nella fase di previsione che di rendiconto, conseguono un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, come eventualmente modificato ai sensi dell’articolo 10».

Le censure, in buona parte coincidenti, possono essere così sintetizzate: a) violazione di specifiche norme statutarie; b) lesione degli equilibri dei propri bilanci e di quelli degli enti territoriali operanti sul proprio territorio; c) violazione del principio di copertura delle spese aventi valenza pluriennale, di cui all’art. 81 Cost.; d) violazione del principio di buon andamento, con particolare riferimento al principio di programmazione; e) necessità che per la copertura delle spese pluriennali debbano essere utilizzate nuove risorse inerenti all’esercizio sul quale ricadono le scadenze temporali dei relativi pagamenti; f) incisione della potestà legislativa esclusiva e della corrispondente potestà amministrativa in materia di finanza locale; g) lesione dei principi di ragionevolezza, di eguaglianza e di leale collaborazione; h) violazione del principio della riserva di legge sotto il profilo del rinvio alla legge ordinaria senza rispetto del procedimento previsto per quella rinforzata.

Così raggruppate, tutte le censure mirano a caducare le norme che inciderebbero sulla fisiologica gestione del fondo pluriennale vincolato. Le ricorrenti, infatti, non contestano le disposizioni del d.lgs. n. 118 del 2011 che disegnano una disciplina unitaria di detto fondo, bensì le varianti a loro dire imposte dalle disposizioni impugnate. Di tal che la non fondatezza di tale assunto interpretativo inficia tutte le predette censure.

In linea generale, occorre riconoscere che la complessa formulazione delle disposizioni impugnate e le difese svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri sono idonee a ingenerare il dubbio che esse si configurino effettivamente come prescrittive di contribuzioni vincolate alla realizzazione di obiettivi generali della finanza pubblica allargata. Per quanto in seguito specificato, le disposizioni impugnate sarebbero però in contrasto con i parametri costituzionali evocati dalle ricorrenti se non se ne offrisse una lettura alternativa, costituzionalmente orientata.

A quest’ultima soluzione si deve accedere, interpretando le norme nel senso che le disposizioni impugnate non alterano la struttura e la gestione temporale del fondo pluriennale vincolato. Ne consegue che – contrariamente a quanto lamentato dalle ricorrenti – accertamenti, impegni, obbligazioni attive e passive rimangono rappresentati e gestiti in bilancio secondo quanto programmato a suo tempo dall’ente territoriale. Pertanto, l’iscrizione o meno nei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei titoli 1, 2 e 3 della spesa deve essere intesa in senso meramente tecnico-contabile, quale criterio armonizzato per il consolidamento dei conti nazionali. Tale aggregazione contabile non incide né quantitativamente né temporalmente sulle risorse legittimamente accantonate per la copertura di programmi, impegni e obbligazioni passive concordate negli esercizi anteriori alle scadenze del fondo pluriennale vincolato.

Riportando la lettura di tali disposizioni alla loro finalità di aggregazione macroeconomica, vengono a cadere tutti i pretesi pregiudizi per le finanze delle autonomie ricorrenti. Queste ultime, unitamente agli altri enti territoriali, mantengono, infatti, la piena facoltà di gestire secundum legem il fondo pluriennale vincolato, indipendentemente dalla sua collocazione nei contestati titoli di bilancio.

Al contrario, pur non implausibile nella sua formulazione letterale, l’interpretazione della disposizione suggerita dalle ricorrenti – e sostanzialmente avallata dalla stessa Avvocatura generale dello Stato – risulta costituzionalmente non conforme per le molteplici ragioni di seguito specificate, che corroborano l’opzione ermeneutica adeguatrice precedentemente enunciata, atteso che, secondo quanto precisato, viene garantita l’utilizzazione del fondo pluriennale vincolato per gli obiettivi e le scadenze programmati nel tempo dai singoli enti territoriali.

9.1.– Anzitutto, l’interpretazione adeguatrice è conforme alla ratio dell’istituto del fondo pluriennale vincolato, il quale è finalizzato a gestire in modo coerente e funzionale l’introduzione, nella contabilità degli enti territoriali, della cosiddetta “competenza rinforzata”. Detto principio trova disciplina nel d.lgs. n. 118 del 2011, allegato 1, punto 16, il quale prescrive che «[t]utte le obbligazioni giuridicamente perfezionate attive e passive, che danno luogo a entrate e spese per l’ente, devono essere registrate nelle scritture contabili quando l’obbligazione è perfezionata, con imputazione all’esercizio in cui l’obbligazione viene a scadenza. È, in ogni caso, fatta salva la piena copertura finanziaria degli impegni di spesa giuridicamente assunti a prescindere dall’esercizio finanziario in cui gli stessi sono imputati. L’accertamento costituisce la fase dell’entrata con la quale si perfeziona un diritto di credito relativo ad una riscossione da realizzare e si imputa contabilmente all’esercizio finanziario nel quale il diritto di credito viene a scadenza».

Per assicurare tale impostazione diacronica degli accertamenti, degli impegni e delle correlate transazioni finanziarie, l’art. 3 del d.lgs. n. 118 del 2011 prevede che «[… a]l fine di dare attuazione al principio contabile generale della competenza finanziaria enunciato nell’allegato 1, gli enti di cui al comma 1 provvedono, annualmente, al riaccertamento dei residui attivi e passivi, verificando, ai fini del rendiconto, le ragioni del loro mantenimento. […] Le entrate e le spese accertate e impegnate non esigibili nell’esercizio considerato, sono immediatamente reimputate all’esercizio in cui sono esigibili. La reimputazione degli impegni è effettuata incrementando, di pari importo, il fondo pluriennale di spesa, al fine di consentire, nell’entrata degli esercizi successivi, l’iscrizione del fondo pluriennale vincolato a copertura delle spese reimputate. […] Al fine di dare attuazione al principio contabile generale della competenza finanziaria enunciato nell’allegato 1 al presente decreto, gli enti di cui al comma 1, a decorrere dall’anno 2015, iscrivono negli schemi di bilancio di cui all’art. 11, comma 1, lettere a) e b), il fondo per la copertura degli impegni pluriennali derivanti da obbligazioni sorte negli esercizi precedenti, di seguito denominato fondo pluriennale vincolato, costituito: a) in entrata, da due voci riguardanti la parte corrente e il conto capitale del fondo, per un importo corrispondente alla sommatoria degli impegni assunti negli esercizi precedenti ed imputati sia all’esercizio considerato sia agli esercizi successivi, finanziati da risorse accertate negli esercizi precedenti, determinato secondo le modalità indicate nel principio applicato della programmazione, di cui all’allegato 4/1; b) nella spesa, da una voce denominata “fondo pluriennale vincolato”, per ciascuna unità di voto riguardante spese a carattere pluriennale e distintamente per ciascun titolo di spesa. Il fondo è determinato per un importo pari alle spese che si prevede di impegnare nel corso del primo anno considerato nel bilancio, con imputazione agli esercizi successivi e alle spese già impegnate negli esercizi precedenti con imputazione agli esercizi successivi a quello considerato. La copertura della quota del fondo pluriennale vincolato riguardante le spese impegnate negli esercizi precedenti è costituita dal fondo pluriennale iscritto in entrata, mentre la copertura della quota del fondo pluriennale vincolato riguardante le spese che si prevede di impegnare nell’esercizio di riferimento con imputazione agli esercizi successivi, è costituita dalle entrate che si prevede di accertare nel corso dell’esercizio di riferimento».

Si può dire che, così espressa, la qualificazione normativa del fondo pluriennale vincolato costituisce una definizione identitaria univoca dell’istituto, la cui disciplina è assolutamente astretta dalla finalità di conservare la copertura delle spese pluriennali. Ciò comporta che nessuna disposizione – ancorché contenuta nella legge rinforzata – ne possa implicare un’eterogenesi semantica e funzionale senza violare l’art. 81 della Costituzione.

Pertanto, dall’analitica definizione normativa del fondo pluriennale vincolato, si ricava che la norma censurata non può essere interpretata come modificativa della copertura delle obbligazioni e degli impegni legittimamente assunti dall’ente territoriale cui corrisponde il vincolo del fondo pluriennale,“naturalmente” finalizzato a conservare le risorse necessarie per onorare le relative scadenze finanziarie.

L’esposta interpretazione adeguatrice viene confermata da ulteriori e convergenti elementi ermeneutici che depongono a contrario rispetto all’assunto delle ricorrenti.

9.2.– Occorre considerare, in riferimento all’ambito nazionale e a quello dell’Unione europea, che gli equilibri finanziari custoditi dallo Stato con riguardo al bilancio, inteso come documento espressivo dell’intera finanza pubblica allargata, sono ontologicamente diversi da quelli prescritti per le pubbliche amministrazioni uti singulae. Questi ultimi si configurano sostanzialmente come situazione dinamica di bilanciamento tra componenti attive e passive dei singoli bilanci, mentre i primi sono entità macroeconomiche alla cui equilibrata corrispondenza gli enti del settore pubblico allargato concorrono pro quota attraverso regole chiare e predefinite in relazione all’andamento dei cicli economici e alla situazione del debito pubblico. Deve essere condiviso l’assunto della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, secondo cui «l’equilibrio dei rispettivi bilanci [costituisce] una sorta di garanzia reciproca che tutti i livelli di governo mutualmente si prestano».

In proposito, è opportuno ricordare – come già precedentemente precisato – che la nuova formulazione del primo comma dell’art. 97 Cost. riguarda per la prima parte gli equilibri dei singoli enti, mentre la seconda afferisce alla doverosa contribuzione di questi ultimi al comune obiettivo macroeconomico di assicurare la sostenibilità del debito nazionale.

Il primo precetto si sostanzia nel divieto – per ciascun ente – di previsioni di disavanzo economico e nella continua ricerca dell’equilibrio tendenziale nella gestione finanziaria, in relazione alle dinamiche interne ed esterne che caratterizzano l’attuazione concreta delle politiche di bilancio. Il secondo comporta la contribuzione di ciascuna amministrazione al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionali ed europei, assicurando a tal fine risorse e specifici comportamenti finanziari. Oltre ai canoni di ragionevolezza, la contribuzione deve essere improntata a trasparenza, proporzionalità e previa quantificazione. Ciò con particolare riguardo agli enti territoriali la cui autonomia finanziaria può subire limitazioni, ma nel rispetto dei principi costituzionali e in particolare di quelli contenuti nel Titolo V della Costituzione.

Le disposizioni impugnate non possiedono connotati idonei alla loro qualificazione nei termini precedentemente precisati, dal momento che non contengono previsione, stima, quantificazione e modalità della pretesa contribuzione agli obiettivi di finanza pubblica.

9.3.– L’interpretazione delle ricorrenti non risulta neppure in linea con i precetti di copertura e di equilibrio contenuti nell’art. 81 Cost. Il bilancio non può considerarsi in equilibrio in assenza di copertura delle spese impegnate e degli oneri derivanti da obbligazioni già perfezionate. Tale copertura avviene attraverso l’accantonamento e il conseguente vincolo giuridico posto su cespiti appropriati.

La ventilata possibilità che il vincolo autorizzatorio all’esecuzione di tali spese – nella fattispecie contenuto nel fondo pluriennale vincolato – possa essere rimosso ex lege, costringendo l’ente territoriale a trovare nuove coperture o a rendersi inadempiente, è un’opzione ermeneutica che entra in diretta collisione con i precetti contenuti nell’art. 81 Cost. Neppure la legge rinforzata potrebbe introdurre una statuizione di tal genere: quest’ultima colliderebbe con il principio di previa e costante copertura della spesa dal momento dell’autorizzazione fino a quello dell’erogazione.

In definitiva, la disciplina degli equilibri economico-finanziari del bilancio di competenza non può prescindere dai profili giuridici inerenti alla gestione dei cespiti attivi e passivi e, di conseguenza, al risultato di amministrazione, nella cui determinazione non possono confluire partite contabili aleatorie o di incerta realizzazione. Ove fosse condivisa la lettura delle ricorrenti, il concetto di equilibrio dei singoli bilanci pubblici sarebbe sottomesso a una serie di potenziali variabili normative che metterebbero in crisi non solo l’equilibrio patrimoniale dell’ente, ma la sua stessa immagine di soggetto operante sul mercato in qualità di committente.

È evidente che per tutelare l’affidabilità di soggetto pagatore dell’amministrazione occorre assicurare che la previa copertura della relativa spesa sia “giuridicamente valida”, cioè sorretta da tutte le garanzie a favore dei crediti, ivi compresa l’intangibilità della provvista a suo tempo accantonata per onorarli. Anche in questo caso l’interpretazione adeguatrice è sorretta dal rilievo che le contestate disposizioni non contemplano né un blocco degli impegni e dei pagamenti contenuti nel fondo pluriennale vincolato né una loro copertura alternativa.

9.4.– Sotto il profilo ermeneutico è rilevante anche il richiamo dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e alle direttive europee del 29 giugno 2000, n. 2000/35/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) – recepita dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 (Attuazione della direttiva 2000/35/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) – e 16 febbraio 2011, n. 2011/7/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali-rifusione) – recepita dal decreto legislativo 9 novembre 2012, n. 192 (Modifiche al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, per l’integrale recepimento della direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, a norma dell’articolo 10, comma 1, della legge 11 novembre 2011, n. 180) – che ne hanno dato attuazione ai fini della garanzia del corretto svolgimento delle transazioni stesse.

Il principio contenuto nel richiamato art. 114 del TFUE e nelle direttive n. 2000/35/CE (che aveva dettato una rigorosa disciplina della decorrenza degli interessi moratori alla scadenza del termine pattuito o di quello legale) e n. 2011/7/UE (che ha stabilito in materia misure ancora più incisive) ha comportato un’azione di forte contrasto al fenomeno del ritardo nei pagamenti afferenti alle transazioni commerciali.

I ritardi nei pagamenti sono considerati dall’Unione europea come causa di gravi pregiudizi per la gestione finanziaria delle singole imprese, in quanto ne compromettono competitività e redditività.

Considerato che alle amministrazioni pubbliche fa capo un volume considerevole di tali transazioni e delle relative disfunzioni, che pregiudicano le imprese in quanto «il creditore deve ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di ritardi nei pagamenti [e che] il rischio di tali effetti negativi aumenta considerevolmente nei periodi di recessione economica, quando l’accesso al finanziamento diventa più difficile» (terzo considerando della direttiva n. 2011/7/UE), la Commissione europea ha fortemente incrementato negli ultimi anni la vigilanza sulle prassi nazionali non in linea con la cosiddetta “cultura dei pagamenti rapidi”.

Se, attraverso la puntuale attuazione delle richiamate direttive, l’Italia ha ottemperato all’adeguamento della propria legislazione, altrettanto non può dirsi in tema di gestione amministrativa dei pagamenti, nell’ambito della quale gli sforzi del legislatore nazionale sono stati costanti ma non ancora tali da raggiungere pienamente l’obiettivo europeo.

Ed è proprio sotto questo profilo che la non corretta interpretazione delle disposizioni impugnate costituirebbe un grave passo indietro nel tempestivo adempimento delle obbligazioni passive.

È opportuno a tal proposito ricordare che la Commissione europea, il 18 giugno 2014, ha notificato all’Italia una messa in mora ai sensi dell’art 258 del TFUE per violazione degli artt. 2, 4 e 7 della direttiva n. 2011/7/UE (Procedura di infrazione n. 2014/2143). Secondo la Commissione europea esisteva un’evidente discrepanza tra le disposizioni recepite e il concreto andamento delle attività contrattuali delle amministrazioni nazionali e, in particolare, degli enti territoriali.

Il legislatore nazionale, proprio per porre riparo alla perdurante prassi illegittima, aveva già adottato il decreto- legge 8 aprile 2013, n. 35 (Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, per consentire agli enti incapaci di provvedere tempestivamente ai pagamenti di usufruire delle liquidità necessarie per ovviare alle ricorrenti censure europee sui ritardi (sulla natura delle anticipazioni di liquidità, sentenze n. 89 del 2017 e 181 del 2015). Ad oggi, parte delle anticipazioni di liquidità stanziate con il suddetto d. legge n. 35 del 2013 sono ancora in corso di utilizzazione da parte degli enti locali in ritardo con i pagamenti.

Se l’art. 1, comma 1, lettera b) della legge n. 164 del 2016 fosse interpretato nel senso proposto dalle ricorrenti, il conseguente pregiudizio all’adempimento delle obbligazioni passive verrebbe a riprodurre i lamentati inconvenienti e a pregiudicare il piano di contrasto al richiamato fenomeno disfunzionale. Ciò senza considerare l’effetto negativo sulla coerenza della legislazione nazionale in materia, che diventerebbe particolarmente contraddittoria.

Al contrario, la già esposta interpretazione adeguatrice comporta l’assoluta neutralità delle disposizioni impugnate e la conseguente possibilità di utilizzare il fondo pluriennale vincolato alle scadenze e per gli importi programmati.

9.5.– Un ultimo conforto esegetico – in riferimento ai ricorsi della Regione autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol e delle Province autonome di Trento e di Bolzano – può essere ricavato dallo stesso Statuto speciale. Nel Titolo VI dello statuto speciale, dedicato alla finanza della Regione autonoma e delle Province autonome, modificato con le leggi 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato «8legge finanziaria 2010)», e 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», adottate sulla base di specifici accordi in virtù dell’art. 104 dello statuto speciale, è prevista una puntuale regolazione del concorso della Regione autonoma e delle Province autonome agli oneri del debito pubblico.

In particolare, poiché i commi 4-bis e 4-ter dell’art. 79 dello statuto speciale regolano specificamente il concorso della Regione autonoma e delle Province autonome al pagamento degli oneri del debito pubblico e sono stati introdotti dall’art. 1, comma 407, della legge n. 190 del 2014, in epoca successiva alla legge cost. n. 1 del 2012, «si deve ritenere che [la norma impugnata], non potendo discostarsi dalle prime in quanto di rango sottordinato, debba essere intes[a], in base al criterio dell’interpretazione adeguatrice, nel senso che ess[a] non incide, né sulla misura, né sulle modalità del concorso della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome alla riduzione del debito pubblico e parimenti nel senso che tale concorso resta quello stabilito dalle norme statutarie citate». (sentenza n. 237 del 2017).

Peraltro, l’art. 79, comma 4, primo periodo, dello Statuto speciale, così come modificato, «espressamente esclude l’applicabilità alla Regione, alle Province e gli enti appartenenti al sistema territoriale regionale di meccanismi di concorso alla riduzione del debito pubblico tramite versamenti a un fondo statale (segnatamente esclude che siano loro applicabili disposizioni statali che prevedono “obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti il patto di stabilità interno, diversi da quelli previsti dal presente titolo”)» (sentenza n. 237 del 2017).

9.6.– In definitiva, l’art. 1, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, della legge n. 164 del 2016, deve essere inteso nel senso che il fondo pluriennale vincolato continua a essere strutturato in modo tale che accertamenti, impegni, obbligazioni attive e passive sono rappresentate e gestite in bilancio secondo i richiamati canoni basilari dell’istituto. L’iscrizione o meno nei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei titoli 1, 2 e 3 della spesa deve essere intesa in senso tecnico-contabile, come criterio matematico armonizzato ai fini del consolidamento dei conti nazionali, mentre devono ritenersi inalterate e intangibili le risorse legittimamente accantonate per la copertura di programmi, impegni e obbligazioni passive concordate negli esercizi anteriori alla scadenza.

Gli aggregati in discussione – è bene ricordarlo – non esauriscono la consistenza del bilancio degli enti territoriali per cui, ove non specificamente ivi inserito, il fondo pluriennale vincolato può trovare allocazione e gestione conforme in diversa partita contabile. In proposito è utile considerare che, se gli schemi armonizzati sono attuazione di quel processo sincretico afferente all’interdipendenza dei parametri costituzionali di natura finanziaria (sentenza n. 184 del 2016), è implausibile che la loro mutevole articolazione possa indurre, ancorché attraverso una legge rinforzata, la novazione di tale complesso quadro costituzionale.

Come già specificato, se le disposizioni impugnate fossero interpretate come fonte di contribuzione ai vincoli di finanza pubblica, esse sarebbero illegittime in riferimento a entrambi i precetti dell’art. 97, primo comma, Cost.: da un lato, lederebbero l’equilibrio di bilancio del singolo ente attraverso la modifica ex lege di programmi ed obbligazioni già assunte; dall’altro, baserebbero la manovra di finanza pubblica su elementi incerti e aleatori, quali i risparmi fondati su entità economiche in fieri come il fondo pluriennale vincolato.

Al contrario, riportando la lettura di tali disposizioni alla mera specificazione di aggregati economico-finanziari senza alcun effetto precettivo sul quadro normativo di riferimento, non si verifica alcuno dei lamentati pregiudizi per gli enti territoriali. Questi ultimi mantengono, infatti, la piena facoltà di gestire, secondo l’art. 42 del d.lgs. n. 118 del 2011, il fondo pluriennale vincolato, indipendentemente dalla sua collocazione nei contestati titoli di bilancio.

10.– Questa Corte non ignora il pericolo che l’accentuarsi della complessità tecnica della legislazione in materia finanziaria possa determinare effetti non in linea con il dettato costituzionale e creare delle zone d’ombra in grado di rendere ardua la giustiziabilità di disposizioni non conformi a Costituzione. In ogni caso, è concreto il rischio che un tale modo di legiferare pregiudichi la trasparenza in riferimento al rapporto tra politiche di bilancio, responsabilità politica delle strategie finanziarie e accessibilità alle informazioni da parte delle collettività amministrate.

Proprio a tutela del corretto esercizio del mandato elettorale questa Corte ha affermato che «Occorre ricordare che il bilancio è un “bene pubblico” nel senso che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale, sia in ordine all’acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato. […] Il carattere funzionale del bilancio preventivo e di quello successivo, alla cui mancata approvazione, non a caso, l’ordinamento collega il venir meno del consenso della rappresentanza democratica, presuppone quali caratteri inscindibili la chiarezza, la significatività, la specificazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche. Sotto tale profilo, i moduli standardizzati dell’armonizzazione dei bilanci, i quali devono innanzitutto servire a rendere omogenee, ai fini del consolidamento dei conti e della loro reciproca confrontabilità, le contabilità dell’universo delle pubbliche amministrazioni, così articolato e variegato in relazione alle missioni perseguite, non sono idonei, di per sé, ad illustrare le peculiarità dei programmi, delle loro procedure attuative, dell’organizzazione con cui vengono perseguiti, della rendicontazione di quanto realizzato. Le sofisticate tecniche di standardizzazione, indispensabili per i controlli della finanza pubblica ma caratterizzate dalla difficile accessibilità informativa per il cittadino di media diligenza, devono essere pertanto integrate da esposizioni incisive e divulgative circa il rapporto tra il mandato elettorale e la gestione delle risorse destinate alle pubbliche finalità» (sentenza n. 184 del 2016).

La necessità di assicurare un profilo divulgativo delle finalità perseguite e dei contenuti normativi riguarda anche lo Stato e detto profilo deve sempre corredare la tecnicità degli enunciati in subiecta materia, per rappresentare in modo comprensibile «le qualità e le quantità di relazione tra le risorse disponibili e gli obiettivi in concreto programmati al fine di delineare un quadro omogeneo, puntuale, completo e trasparente della complessa interdipendenza tra i fattori economici e quelli socio-politici connaturati e conseguenti alle scelte effettuate» (ancora sentenza n. 184 del 2016).

In relazione al concreto pericolo di reiterazione di situazioni di problematica compatibilità della legislazione in materia finanziaria con il dettato costituzionale, è opportuno che il legislatore adotti una trasparenza divulgativa a corredo degli enunciati di più complessa interpretazione e attuazione, poiché non potrebbe ritenersi consentito un abuso della “tecnicità contabile” finalizzato a creare indiretti effetti novativi sulla disciplina specificativa dei principi costituzionali di natura finanziaria e di quelli ad essi legati da un rapporto di interdipendenza.

11.– La Regione Veneto, infine, impugna l’art. 1, comma 1, lettera e), della medesima legge n. 164 del 2016, che attribuisce alla legge dello Stato la determinazione di premi e di sanzioni da applicare alle Regioni, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, in riferimento agli artt. 5 e 114 Cost. «e mediatamente» agli artt. 117, 118, 119 e 120 Cost.

Secondo la Regione ricorrente, la previsione di «“premi” e “sanzioni”, dal sapore “paternalista”», si fonderebbe su una concezione delle relazioni tra l’amministrazione dello Stato e gli enti territoriali non paritetica, né rispettosa dell’autonomia costituzionalmente garantita e costituirebbe un grave pregiudizio anche per il cittadino, che sarebbe penalizzato per il solo fatto di risiedere in un dato ambito territoriale.

11.1.– La questione è inammissibile.

La disposizione impugnata, nel sostituire il previgente comma 4 dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012, demanda alla legge dello Stato la definizione dei premi e delle sanzioni da applicare alle Regioni, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, in attuazione delle disposizioni di cui al medesimo articolo. Prevede, inoltre, che detta legge si attenga ai princìpi di proporzionalità fra premi e sanzioni e tra queste ultime e le violazioni; e che i proventi delle sanzioni siano destinati a favore dei premi agli enti del medesimo comparto che hanno rispettato i propri obiettivi.

Parimenti, il testo originario dell’art. 9 della legge n. 243 del 2012 prevedeva che con legge dello Stato venissero definite le sanzioni da applicare nel caso di mancato conseguimento dell’equilibrio gestionale.

La legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), ha, quindi, dato attuazione alla disposizione summenzionata.

La censura non consente di comprendere l’effettiva lesione delle prerogative regionali, né risulta ancorata ai parametri evocati, risolvendosi la motivazione nella doglianza del “tono paternalista” della previsione e nella violazione della posizione paritaria degli enti stabilita dall’art. 114 Cost. Peraltro, la paventata incidenza pregiudizievole sulla propria autonomia sarebbe componente connaturata al carattere premiale-sanzionatorio delle misure adottate, in relazione alle quali non viene contestata la competenza dello Stato a disciplinare gli effetti del conseguimento o del mancato conseguimento dell’equilibrio di bilancio.

Neppure risulta adeguatamente sviluppata la censura in termini di equità fiscale, perché non viene spiegato per quale motivo il contribuente veneto sarebbe pregiudicato dal meccanismo premiale.

In definitiva, le censure contenute nel ricorso non raggiungono quella soglia minima – non emendabile nella memoria integrativa (ordinanza n. 168 del 2016) – di completezza e chiarezza a cui la giurisprudenza di questa Corte subordina l’ammissibilità delle impugnative in via principale (ex multis, sentenze n. 105 del 2017, n. 249 del 2016, n. 39 del 2014, n. 119 del 2010 e n. 139 del 2006).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali);

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), primo periodo, della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243 in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali), che introduce nell’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), il comma 1-bis, promossa, in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché in riferimento agli artt. 4, 8, 48, 49, 51, 63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, della medesima legge n. 164 del 2016, promosse, dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli artt. 81, 97, secondo comma, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, nonché agli artt. 16, 79, 80, 81, 83 e 84 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol), e all’art. 16 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), con il ricorso indicato in epigrafe; dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost., anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, agli artt. 8, 16, 79 e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, con il ricorso indicato in epigrafe; dalla Regione autonoma Trentino Alto Adige/Südtirol, in riferimento agli artt. 3, 97, secondo comma, 117, terzo comma, 119 e 120 Cost., anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, nonché agli artt. 4, 16, 79 e 84 del d.P.R. n. 670 del 1972, con il ricorso indicato in epigrafe; dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., anche in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, nonché agli artt. 4, 8, 48, 49, 51, 63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera e), della medesima legge n. 164 del 2016, promossa, in riferimento agli artt. 5 e 114 Cost., «e mediatamente» agli artt. 117-120 Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe indicato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 ottobre 2017.

 

 

 

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