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Corte costituzionale - sentenza 26 settembre 2017, n. 231
Legge 28 dicembre 2015, n. 208 - legge di stabilità 2016 - bilancio e contabilità pubblica - spesa sanitaria - medici e personale del Sistema sanitario provinciale - competenza provinciale

Sentenza 26 settembre 2017 (2 novembre 2017), n. 231; Pres. Grossi, Red. Cartabia

Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso depositato il 4 marzo 2016 (r.r. n. 10 del 2016), la Provincia autonoma di Bolzano ha chiesto che venga dichiarata l’illegittimità, fra gli altri, dei commi 541, 542, 543, 544 e 574, dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», per violazione degli artt. 4, n. 7), 8, n. 1), 9, n. 10), 16, 79, 80, 81, 87, 88, 99, 100, 103, 104 e 107 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e relative norme di attuazione, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché degli artt. 3, 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, 118, 119, quest’ultimo in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), 120 e 136 della Costituzione.

1.1.– La ricorrente ritiene che le norme impugnate sono state dettate al fine di adeguare la normativa nazionale agli obblighi imposti dall’Unione europea in materia di organizzazione dell’orario di lavoro del personale sanitario e di garantire, contestualmente, la continuità dei servizi sanitari.

A tale scopo il legislatore nazionale ha previsto che anche le Province autonome adottino un provvedimento di riduzione dei posti letto ospedalieri accreditati a carico del Servizio sanitario regionale e predispongano un piano concernente il fabbisogno di personale e le modalità operative per garantire il rispetto delle norme dell’Unione europea sull’orario di lavoro del personale sanitario, in coerenza con l’art. 14 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea (Legge europea 2013-bis)».

I predetti provvedimenti debbono essere trasmessi entro il 29 febbraio 2016 al Tavolo di verifica degli adempimenti e al Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) di cui, rispettivamente, agli artt. 12 e 9 dell’Intesa sancita il 23 marzo 2005 dalla Conferenza Stato-Regioni, nonché al Tavolo per il monitoraggio dell’attuazione del regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70.

L’impugnato art. 1, comma 542, prevede la possibilità, nelle more dell’adozione e della verifica dei piani di fabbisogno del personale, di ricorrere a forme di lavoro flessibile in deroga ai limiti fissati dall’art. 9, comma 28, del decreto- legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, oppure di prorogare i relativi contratti sino al 31 ottobre 2016, previa comunicazione ai Ministeri della salute nonché dell’economia e delle finanze.

Ai sensi dell’impugnato art. 1, commi 543 e 544, in caso di criticità emergenti dal piano per l’assunzione del personale, è consentita l’indizione di concorsi straordinari per l’assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, nel rispetto delle disposizioni in materia di contenimento del costo del personale e dei piani di rientro per i casi di disavanzo finanziario, di cui al comma 541 del medesimo art. 1.

Il successivo comma 574 dell’impugnato art. 1 introduce poi la possibilità, a partire dal 2016, nel rispetto di una serie di condizioni, di acquistare prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità, nonché prestazioni erogate da parte degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) a favore dei cittadini residenti in altre Regioni, con l’obbligo trimestrale di trasmettere ai Ministeri della salute nonché dell’economia e delle finanze i provvedimenti di compensazione della maggior spesa sanitaria regionale, e di pubblicare e comunicare alle Regioni di residenza il valore delle relative prestazioni.

1.2.– La ricorrente osserva che le norme di cui ai commi 541, 542, 543, 544 e 574 dell’impugnato art. 1 si applicano, per loro espressa previsione, anche alle Province autonome, così contrastando con l’ordinamento statutario, che le attribuisce potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti sanitari e ospedalieri (art. 4, n. 7, dello Statuto) e di ordinamento dei propri uffici e del relativo personale (art. 8, n. 1, dello Statuto); potestà legislativa concorrente in materia di igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera (art. 9, n. 10, dello Statuto); e la corrispondente potestà amministrativa (art. 16 dello Statuto).

La ricorrente ricorda che, in base a un orientamento costante della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 328 del 2006), con la riforma del titolo V della Costituzione, l’art. 117, secondo e quarto comma, in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, ha confermato ed esteso la potestà legislativa delle Province autonome alla materia più ampia della «tutela della salute». Più precisamente, si dovrebbe distinguere la materia di competenza regionale concorrente «tutela della salute», da considerarsi più ampia rispetto all’assistenza sanitaria e ospedaliera (sentenze n. 181 del 2006 e n. 270 del 2005), e la materia dell’organizzazione sanitaria, in cui è possibile una disciplina regionale anche sostitutiva di quella statale (sentenza n. 510 del 2002). Per quanto concerne la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, le norme di attuazione dello Statuto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello Statuto per la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol in materia di igiene e sanità), attribuiscono alla Regione la disciplina del modello di organizzazione delle istituzioni e degli enti sanitari, mentre alle Province autonome è attribuita la disciplina sul funzionamento e la gestione degli stessi enti e istituzioni. Le medesime norme di attuazione stabiliscono, poi, a carico delle Province autonome un obbligo di adeguamento della propria legislazione ai principi e alle norme costituenti limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello Statuto, senza che gli organi statali possano esercitare funzioni amministrative, anche di vigilanza, al di fuori di quelle loro attribuite dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione.

1.3.– Ad avviso della ricorrente, le disposizioni impugnate interferirebbero con le competenze in materia di «tutela della salute» e in materia di assistenza sanitaria, comprendente altresì l’organizzazione del servizio sanitario, e con le competenze in materia di autonomia finanziaria anche di spesa, nonché con il divieto di attribuire con legge ordinaria a organi dello Stato funzioni amministrative di vigilanza nelle predette materie di competenza delle Province autonome.

Più precisamente, la ricorrente ravvisa nell’art. 1, comma 541, lettera a), in tema di riduzione dei posti letto ospedalieri, una violazione del giudicato costituzionale, in riferimento alla sentenza n. 125 del 2015, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 13, lettera c), del decreto- legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui imponeva anche alle Province autonome l’adozione di provvedimenti volti a ridurre i posti letto ospedalieri.

In generale, secondo la ricorrente, tutte le disposizioni impugnate, in quanto norme di dettaglio immediatamente precettive anche nei confronti delle Province autonome, sarebbero in contrasto con la disciplina statutaria recante l’obbligo di adeguamento delle medesime Province autonome alle norme statali di principio, che sole potrebbero essere dettate in materia da parte dello Stato, senza possibilità di diretta applicazione di disposizioni statali di dettaglio, in coerenza con l’insegnamento della già citata sentenza n. 125 del 2015.

2.– Con atto depositato il 7 aprile 2016 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate infondate.

2.1.– In particolare, la difesa dello Stato ha posto l’accento sulla clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015, in forza della quale le disposizioni del provvedimento si applicano alle Regioni a speciale autonomia e alle Province autonome nella misura in cui siano compatibili con i rispettivi Statuti e le correlative norme di attuazione. Pertanto, ad avviso del resistente, in base alla giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 237 e n. 23 del 2014, n. 215 del 2013 e n. 241 del 2012), le questioni dovrebbero ritenersi infondate, in quanto, ove le disposizioni statali non contrastino con gli statuti, non sussiste alcuna violazione dei medesimi; ove la violazione, invece, sussista, le disposizioni medesime non sono applicabili.

Più precisamente, la citata clausola di salvaguardia – da valutare anche alla luce della gravità ed eccezionalità della situazione di crisi in cui l’intervento legislativo si è inserito, tale da richiedere di discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità di concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (viene citata la sentenza n. 193 del 2012) – rimuoverebbe ogni ostacolo all’applicazione della speciale procedura di adeguamento, prevista dallo Statuto e dalle relative norme di attuazione, ai principi generali stabiliti dalla legislazione statale in materia di potestà legislativa concorrente.

2.2.– Il resistente insiste, inoltre, sul fatto che le impugnate norme in materia sanitaria si sono rese necessarie per ovviare alle ricadute negative, in termini di erogazione dei servizi di assistenza sanitaria, conseguenti all’abrogazione delle deroghe previste per il personale sanitario in materia di orario di lavoro, segnatamente dall’art. 14 della Legge europea 2013-bis, che ha abrogato le disposizioni derogatorie contenute negli artt. 17, comma 6-bis, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), e 41, comma 13, del decreto- legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le quali sottraevano il personale dell’area dirigenziale e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale all’applicazione degli artt. 4 e 7 del d.lgs. n. 66 del 2003, in attuazione della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003, ciò al fine di adeguare la normativa italiana alle indicazioni fornite dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2011/4185.

Al fine di assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza sanitaria, il legislatore nazionale ha previsto il ricorso a forme di lavoro flessibile e ha consentito assunzioni straordinarie di personale – a completamento e integrazione del percorso intrapreso con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015 (Disciplina delle procedure concorsuali riservate per l’assunzione di personale precario del comparto sanità) – nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da conseguire attraverso il contenimento della spesa di cui all’art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2010) e all’art. 17, commi 3, 3-bis e 3-ter, del decreto- legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 11, e dei piani di rientro.

Sarebbero, dunque, state introdotte misure organizzative (art. 1, commi 541, 542 e 543 della legge impugnata), limiti alla spesa del settore sanitario (commi 542 e 544 del medesimo art. 1) e procedure di verifica e controllo, le quali, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non detterebbero una disciplina di dettaglio, ma conterrebbero principi generali ai quali le Regioni e le Province autonome devono adeguarsi, nell’esercizio della loro competenza in materia di «tutela della salute», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. (vengono citate le sentenze n. 162 del 2007, n. 134 e n. 51 del 2006, n. 249 del 2005 e n. 341 del 2001).

Ad avviso del resistente, la normativa impugnata si sarebbe dunque resa necessaria al fine di evitare che in alcune parti del territorio dello Stato l’assistenza sanitaria risultasse inferiore rispetto ai livelli qualitativi e quantitativi ritenuti intangibili dallo Stato medesimo (viene citata la sentenza n. 207 del 2010), fatta salva la possibilità di aumentare i livelli di prestazione nell’ambito della competenza concorrente (viene richiamata la sentenza n. 200 del 2009).

2.3.– D’altro canto, prosegue il resistente, poiché le misure introdotte dalle disposizioni censurate sono volte a razionalizzare la spesa sanitaria per far fronte a una particolare congiuntura economica, esse si configurerebbero quali misure di contenimento della spesa che lo Stato può imporre – quali principi di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost. – anche alle autonomie speciali, in forza del loro obbligo di partecipazione all’azione di risanamento, al fine di garantire l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva sia per il perseguimento di obiettivi nazionali di riduzione del debito sia per l’assolvimento di obblighi comunitari (vengono citate le sentenze n. 229 del 2011, n. 284 del 2009, n. 120 del 2008 e n. 169 del 2007). Tali norme di coordinamento della finanza pubblica, rimarca il resistente, ben possono comprendere, in base alla giurisprudenza costituzionale (vengono citate le sentenze n. 284 e n. 237 del 2009, n. 35 del 2005 e n. 376 del 2003), anche norme puntuali per realizzare in concreto il coordinamento finanziario che, per sua natura, eccede le possibilità di intervento dei livelli territoriali sub-statali.

Tali considerazioni, secondo il resistente, si estenderebbero anche alle norme in materia di stabilizzazione del personale, da qualificarsi quali disposizioni in materia di coordinamento della finanza pubblica in quanto ispirate alla finalità di contenimento della spesa nello specifico settore del personale (vengono citate le sentenze n. 310, n. 108, n. 69 e n. 68 del 2011).

In questo quadro, sempre secondo il resistente, la già ricordata clausola di salvaguardia, di cui al comma 992 dell’impugnato art. 1, avrebbe il significato di escludere l’immediata cogenza delle disposizioni censurate nei confronti delle Province autonome, le quali avrebbero invece l’obbligo di adeguarsi alla normativa statale secondo le procedure previste dallo Statuto e dalle norme di attuazione (si cita la sentenza n. 141 del 2015).

3.– Con ricorso depositato l’8 marzo 2016 (r.r. n. 17 del 2016), la Regione Veneto ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale, fra gli altri, del comma 574 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.

Secondo la ricorrente, la norma impugnata derogherebbe, a partire dall’anno 2016, al tetto di spesa fissato dall’art. 15, comma 14, del d. l. n. 95 del 2012 per l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità dagli IRCCS di natura privata, mentre per gli IRCCS di natura pubblica resterebbero in vigore le numerose disposizioni di spending review, tra cui in particolare i tetti di spesa che i residui commi dell’articolo impugnato hanno fissato in forma di percentuale sul finanziamento complessivo per la spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera, nonché tetti di spesa per il costo del personale.

In questo modo si realizzerebbe una disparità di trattamento tra situazioni parificabili, dirottando sugli IRCCS privati la mobilità interregionale, proprio in forza della rimozione di limiti valida solo per questi ultimi. Ciò determinerebbe un contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., che ricadrebbe sulle competenze regionali in materia di organizzazione e programmazione sanitaria di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.

4.– Con atto depositato il 7 aprile 2016, si è costituto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata infondata.

La difesa dello Stato osserva che la disposizione censurata è destinata a disciplinare la mobilità interregionale attraverso la possibilità di acquistare da IRCCS prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità da destinare a cittadini residenti in altre Regioni. Sotto questo profilo la norma rappresenterebbe, pertanto, una tipica disposizione statale di indirizzo e coordinamento che, come tale, sfugge alla competenza regionale.

Quanto poi alla denunciata discriminazione irragionevole tra IRCCS privati e pubblici, proprio la loro diversa natura giuridica dimostrerebbe l’infondatezza della censura, non potendosi ritenere omogenee le situazioni messe a confronto.

5.– Con ricorso depositato il 10 marzo 2016 (r.r. n. 20 del 2016), la Provincia autonoma di Trento ha promosso questioni di legittimità costituzionale, fra gli altri, dei commi 541, 542, 543, 544 e 574, dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015, per violazione degli artt. 8, n. 1), 9, n. 10), 16, 79 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, nonché degli artt. 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nonché dell’art. 136 Cost.

5.1.– In particolare, la ricorrente ritiene che l’impugnato art. 1, comma 541, contenga norme di dettaglio destinate ad applicarsi direttamente anche nelle Province autonome, in violazione delle regole generali sul riparto costituzionale delle competenze legislative nelle materie di potestà concorrente (art. 9, n. 10, dello Statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e delle regole specifiche sui rapporti tra fonti statali e provinciali dettate dall’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché con lesione dell’autonomia amministrativa della Provincia nelle materie di competenza provinciale (art. 16 dello Statuto).

Con particolare riguardo poi alla lettera a) dell’impugnato art. 1, comma 541, la ricorrente rimarca che tale disposizione riproduce la norma, in tema di riduzione dei posti letto ospedalieri, di cui all’art. 15, comma 13, lettera c), del d. l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, già dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 125 del 2015. Sotto questo profilo, dunque, la ricorrente denuncia anche la violazione del giudicato costituzionale e dell’art. 136 Cost.

5.2.– La Provincia ricorrente rimarca inoltre che l’impugnato art. 1, commi 542, 543 e 544, disciplina forme e modi di reperimento del personale sanitario necessario a far fronte alle eventuali carenze connesse all’osservanza degli obblighi europei sul riposo giornaliero, ritenuti dalla Commissione europea applicabili anche al personale medico. Le suddette disposizioni conterrebbero norme di dettaglio in violazione del riparto di competenze in materia di personale (art. 8, numero 1, dello Statuto, come interpretato dall’art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 474 del 1975) e in materia di sanità (art. 9, numero 10, dello Statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001). Inoltre, esse sarebbero incompatibili con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, nonché con l’autonomia amministrativa della Provincia garantita dall’art. 16 dello Statuto nelle materie di competenza provinciale (nella specie, del personale e della sanità).

Viene inoltre sottolineato che, ai sensi dell’art. 117, quinto comma, Cost., la Provincia autonoma di Trento è tenuta ad adempiere, nelle materie di sua competenza, agli obblighi imposti dall’Unione europea e in tal senso aveva già provveduto con la delibera 27 novembre 2015, n. 2168, recante «Disposizioni organizzative in ordine al Servizio ospedaliero provinciale (SOP)».

Secondo le argomentazioni della ricorrente, le disposizioni in parola neppure potrebbero giustificarsi quali norme di coordinamento della finanza pubblica in quanto, secondo la giurisprudenza costituzionale (vengono citate le sentenze n. 125 del 2015 e n. 341 del 2009), la legge statale non avrebbe titolo a dettare norme di contenimento di una spesa sanitaria che è interamente a carico della Provincia. Inoltre, il concorso della Provincia autonoma alla finanza pubblica potrebbe avvenire soltanto nelle forme e nei modi previsti dall’art. 79 dello Statuto e dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, cioè adeguando la legislazione provinciale alle leggi statali costituenti limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello Statuto.

5.3.– In ordine all’impugnato art. 1, comma 574, lettera b), primo, secondo e quarto periodo, la ricorrente rimarca che si tratta di norme di dettaglio dettate per far fronte alla riduzione dei posti letto ospedalieri di cui all’art. 1, comma 541, parimenti, impugnato, e che anch’esse determinerebbero una violazione del giudicato costituzionale di cui alla sentenza n. 125 del 2015. Né tali disposizioni di dettaglio potrebbero vincolare la spesa sanitaria, che è interamente a carico della Provincia, così da ritenersi stabilite sine titulo o, comunque, in violazione delle regole sul coordinamento finanziario di cui all’art. 79 dello Statuto.

6.– Con atto depositato il 7 aprile 2016, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto il rigetto del ricorso, per le medesime ragioni già esposte in relazione all’atto di costituzione nel giudizio promosso dalla Provincia autonoma di Bolzano (r.r. n. 10 del 2016).

7.– Con memorie depositate il 4 agosto 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha insistito perché le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate infondate. Premessa l’avvenuta modifica del comma 543 dell’impugnato art. 1 ad opera dall’art. 1, comma 10, lett. a) e b), del decreto- legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, il resistente rileva che le disposizioni di cui ai censurati commi 541, 542, 543 e 544 rientrerebbero «in un più ampio, organico e complesso disegno messo a punto dal legislatore nazionale», volto al superamento di «criticità derivanti dall’attuazione anche nel comparto sanità delle disposizioni comunitarie in materia di orario di lavoro». La difesa statale sottolinea che i commi 542 e 543 introdurrebbero, per le Regioni e le Province autonome, non un obbligo ma una mera facoltà di indire nuove procedure concorsuali in deroga alla vigente normativa; il comma 541 prevedrebbe adempimenti strettamente connessi alla eventuale successiva indizione delle procedure concorsuali; il comma 544, limitandosi a richiamare il rispetto della cornice finanziaria programmata per il Servizio sanitario nazionale, si rivolgerebbe alle sole Regioni, il cui servizio sanitario è finanziato dallo Stato, con la conseguenza che, per le Province autonome che intendessero avvalersi della suddetta facoltà di indire nuove procedure concorsuali, ciò dovrebbe avvenire nel rispetto degli equilibri complessivi del proprio bilancio; il comma 574 si limiterebbe a introdurre la facoltà di erogare prestazioni sanitarie a favore di cittadini residenti in altre Regioni. Il carattere facoltativo delle disposizioni, dunque, escluderebbe ogni lesione dell’autonomia provinciale. Inoltre, la difesa statale richiama quella giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 36 del 2004, n. 169 del 2007 e, da ultimo, 191 del 2017) secondo cui il legislatore statale può, per ragioni di coordinamento finanziario, imporre anche agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, e secondo cui permane in capo alla Provincia autonoma un obbligo di adeguamento della normativa provinciale ai principi fondamentali dettati dalla legge statale, contemperando così la cogenza dei principi di coordinamento della finanza pubblica con il necessario margine di apprezzamento riservato alle autonomie speciali. Analoghe argomentazioni sono riprese nella richiesta di dichiarazione di infondatezza della questione promossa nei confronti del comma 574 dalla Regione Veneto.

8.– Con memoria depositata il 30 agosto 2017, la Provincia autonoma di Bolzano ha insistito per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate.

In particolare, la ricorrente osserva che la generale clausola di salvaguardia di cui all’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015 deve considerarsi vanificata dalla presenza di specifiche disposizioni nelle quali sia prevista espressamente la loro applicazione nei confronti delle autonomie, come già chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (in particolare viene citata la sentenza n. 191 del 2017). Ciò è, appunto, quanto avvenuto con le disposizioni impugnate che prevedono la loro applicazione alle Province autonome e delle quali è stata denunciata l’illegittimità costituzionale, non risultando praticabile alcuna interpretazione adeguatrice delle medesime. Del resto, si insiste nella memoria, sarebbe lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri ad ascrivere le norme censurate tra i principi di coordinamento della finanza pubblica e a ritenerli perciò vincolanti per le medesime autonomie.

Peraltro, prosegue la ricorrente, anche le disposizioni di coordinamento della finanza pubblica, dominate dal principio consensualistico nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale e delle Province autonome, non potrebbero essere introdotte o modificate unilateralmente, specie dopo i limiti introdotti dall’Accordo del 15 ottobre 2014 stipulato tra lo Stato, la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano, recepito con la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2015). Inoltre, in base alla giurisprudenza costituzionale (vengono citate le sentenze n. 133 del 2010 e n. 341 del 2009), lo Stato non avrebbe titolo a dettare norme di coordinamento finanziario quando non concorre al finanziamento dell’ente autonomo, nella specie della spesa sanitaria. Infine, non è sufficiente l’autoqualificazione per ricondurre le disposizioni impugnate a principi di coordinamento della finanza pubblica, trattandosi viceversa di norme che incidono sulle competenze statutarie in materia di organizzazione e di spesa sanitaria.

La ricorrente contesta la tesi statale secondo cui le norme di cui all’impugnato comma 574 esulerebbero dalle competenze provinciali, in quanto finalizzate a valorizzare il ruolo dell’alta specialità all’interno del territorio nazionale; viceversa, la Provincia ritiene che si tratti di norme di estremo dettaglio volte a illegittimamente ridurre o mantenere invariata la spesa sanitaria.

Riportando per il resto le argomentazioni già esposte a sostegno del ricorso, la Provincia autonoma di Bolzano ha quindi ribadito la richiesta di accoglimento delle questioni promosse.

9.– Con memoria depositata il 5 settembre 2017, la Regione Veneto ha insistito per l’accoglimento del suo ricorso.

La disposizione impugnata non riguarderebbe esclusivamente le prestazioni di alta specialità, ma tutte le prestazioni rese dagli IRCCS, comprese quelle a bassa complessità per le quali non sussiste alcuna esigenza di razionalizzazione della spesa sanitaria che giustifichi il privilegio assicurato agli istituti privati.

In ordine alla ridondanza della ingiustificata disparità di trattamento sulle competenze regionali, la ricorrente ha osservato che le repliche statali hanno confermato che la Regione Veneto non è in condizione di evitare una forte migrazione dei residenti nella Regione verso altre Regioni dove insiste un maggior numero di IRCCS privati, senza poter organizzare e attrezzare i propri IRCCS pubblici in modo concorrenziale.

10.– Con memoria depositata il 5 settembre 2017 la Provincia autonoma di Trento ha insistito per l’accoglimento.

Nel ribadire le argomentazioni a sostegno delle questioni promosse, ha ricordato i principi esposti dalla recente sentenza n. 191 del 2017 in punto di rapporti tra clausola di salvaguardia e disposizioni specificamente dirette alle Province autonome, ritenendo che la loro applicazione nella specie dimostrerebbe l’infondatezza delle osservazioni sviluppate sul punto dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Inoltre, ad avviso della ricorrente, le disposizioni statali sarebbero solo apparentemente facoltizzanti, posto che la loro applicazione nei confronti delle autonomie avrebbe l’effetto di limitare il ricorso alla flessibilità o ad assunzioni straordinarie.

Considerato in diritto 1.– La Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso depositato il 4 marzo 2016 (r.r. n. 10 del 2016), ha promosso, fra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 541, 542, 543, 544 e 574, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2016), i quali contengono norme di dettaglio in una pluralità di materie: riduzione di posti letto ospedalieri (comma 541, lettera a); predisposizione e comunicazione di piani per il fabbisogno del personale (comma 541, lettere b e c); possibilità di ricorso a forme di lavoro flessibile in deroga alle disposizioni in materia (comma 542) e indizione di concorsi straordinari per l’assunzione di personale sanitario (commi 543 e 544); acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità da Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) (comma 574).

1.1.– La ricorrente ritiene che tali disposizioni violino gli artt. 4, n. 7), 8, n. 1), 9, n. 10), 16, 79, 80, 81, 87, 88, 99, 100, 103, 104 e 107 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e relative norme di attuazione, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché degli artt. 3, 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, 118, 119 (quest’ultimo in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»), 120 e 136 della Costituzione, in quanto incompatibili con l’ordinamento statutario che attribuisce alle autonomie potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti sanitari e ospedalieri (art. 4, n. 7, dello Statuto) e di ordinamento dei propri uffici e del relativo personale (art. 8, n. 1, dello Statuto); con la potestà legislativa concorrente in materia di igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera (art. 9, n. 10, dello Statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost.), e con la corrispondente potestà amministrativa (art. 16 dello Statuto).

1.2.– Limitatamente al comma 541, lettera a) – che riproduce l’art. 15, comma 14, del decreto- legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario», in materia di riduzione di posti letto ospedalieri, già dichiarato illegittimo dalla sentenza n. 125 del 2015 della Corte costituzionale nella parte in cui si applica alla Province autonome –, la ricorrente ritiene che tale disposizione sia lesiva del giudicato costituzionale ex art. 136 Cost.

2.– La Regione Veneto, con ricorso depositato l’8 marzo 2016 (r.r. n. 17 del 2016), ha promosso, fra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 574, della legge n. 208 del 2015, che deroga, a partire dall’anno 2016, al tetto di spesa fissato dall’art. 15, comma 14, del d. l. n. 95 del 2012 per l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità dagli IRCCS di natura privata, lasciando invece sussistere le limitazioni di spesa per gli IRCCS di natura pubblica.

La ricorrente ritiene che la disposizione impugnata determinerebbe una disparità di trattamento tra situazioni parificabili, dirottando, in forza della rimozione di limiti valida solo per gli IRCCS privati, la mobilità interregionale su questi ultimi, così violando gli artt. 3 e 97 Cost., con ricadute sulle competenze regionali in materia di organizzazione e programmazione sanitaria di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.

3.– La Provincia autonoma di Trento, con ricorso depositato il 10 marzo 2016 (r.r. n. 20 del 2016), ha promosso, fra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 541, 542, 543, 544 e 574, lettera b), della legge n. 208 del 2015.

3.1.– In primo luogo, ad avviso della ricorrente, l’art. 1, comma 541, riproducendo la norma, in tema di riduzione dei posti letto ospedalieri, di cui all’art. 15, comma 13, lettera c), del d. l. n. 95 del 2012, già dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 125 del 2015, violerebbe l’art. 136 Cost., in quanto lesiva del corrispondente giudicato costituzionale sul punto.

3.2.– In secondo luogo, la Provincia autonoma di Trento dubita che l’art. 1, comma 541, della legge n. 208 del 2015, contenendo norme di dettaglio destinate ad applicarsi direttamente anche nelle Province autonome, in materia di riduzione di posti letto ospedalieri e di predisposizione e comunicazione di piani per il fabbisogno del personale, violi il riparto costituzionale delle competenze legislative nelle materie di potestà concorrente della sanità (art. 9, n. 10, dello Statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e delle regole specifiche sui rapporti tra fonti statali e provinciali dettate dall’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), nonché l’autonomia amministrativa della Provincia nelle materie di competenza provinciale (art. 16 dello Statuto) e le regole sul coordinamento finanziario applicabile alle Province autonome (art. 79 dello Statuto).

3.3.– La ricorrente ritiene, altresì, che l’art. 1, commi 542, 543 e 544, della legge n. 208 del 2015, disciplinando forme e modi di reperimento del personale sanitario necessario a far fronte alle eventuali carenze connesse all’osservanza degli obblighi europei sul riposo giornaliero, ritenuti dalla Commissione europea applicabili anche al personale medico, violi il riparto di competenze legislative in punto di potestà primaria in materia di personale (art. 8, numero 1, dello Statuto, come interpretato dall’art. 2, comma 3, del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, recante «Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità») e di potestà concorrente in materia di sanità (art. 9, numero 10, dello Statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001). Inoltre, essi sarebbero incompatibili sia con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, sia con l’autonomia amministrativa della Provincia, garantita dall’art. 16 dello Statuto nelle materie di competenza provinciale, specificamente nelle materie del personale e della sanità.

3.4.– Infine, l’art. 1, comma 574, lettera b), della legge n. 208 del 2015, contenente disposizioni sull’acquisto di prestazioni ospedaliere di alta specialità dagli IRCCS privati al fine di far fronte alla riduzione dei posti letto ospedalieri di cui all’art. 1, comma 541, violerebbe il riparto costituzionale delle competenze legislative nelle materie, di potestà concorrente, della sanità (art. 9, n. 10, dello Statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e delle regole specifiche sui rapporti tra fonti statali e provinciali dettate dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, nonché l’autonomia amministrativa della Provincia nelle materie di competenza provinciale (art. 16 dello Statuto) e le regole sul coordinamento finanziario applicabile alle Province autonome (art. 79 dello Statuto)

4.– Riservate a separate pronunce le decisioni sulle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con i tre ricorsi, e considerata la parziale identità dell’oggetto e dei termini delle questioni qui esposte, i giudizi, così delimitati, possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia.

5.– In punto di ammissibilità, deve osservarsi che la Provincia autonoma di Bolzano, in relazione ad alcuni parametri statutari evocati (segnatamente quelli di cui agli artt. 80, 81, 87, 88, 99, 100, 103, 104 e 107 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol), non ha indicato le ragioni per le quali i medesimi sarebbero violati. A questo riguardo occorre ricordare che la costante giurisprudenza costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 154 del 2017; n. 141, n. 65, n. 40 e n. 3 del 2016; n. 273, n. 176 e n.131 del 2015) richiede, a pena di inammissibilità per genericità o insufficienza di motivazione, che i termini delle questioni di legittimità costituzionale siano ben identificati, dovendo il ricorrente individuare le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni delle violazioni prospettate, chiarendo altresì che l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale si pone in termini perfino più pregnanti nei giudizi proposti in via principale rispetto a quelli instaurati in via incidentale (sentenze n. 251, n. 233, n. 218, n. 142 e n. 82 del 2015).

Conseguentemente le questioni promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano con riferimento ai menzionati parametri statutari devono essere dichiarate inammissibili per genericità e insufficienza della motivazione.

6.– Passando al merito delle questioni, per comprenderne appieno la portata, è necessario inquadrare il contesto normativo nel quale sono state introdotte le disposizioni oggetto del dubbio di costituzionalità.

Le norme statali censurate si inseriscono nelle vicende normative che hanno interessato la disciplina applicabile all’orario di lavoro del personale delle aree dirigenziali e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, oggetto di una procedura di infrazione ex artt. 258 e 259 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (la procedura n. 2011/4185), nella quale la Commissione dell’Unione europea ha contestato all’Italia la non conformità alla normativa comunitaria in materia di orario di lavoro delle disposizioni relative al personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale (SSN) come previste dal comma 13 dell’art. 41 del decreto- legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, con la legge 6 agosto 2008, n. 133, e, per il personale del ruolo sanitario del SSN, dal comma 6-bis dell’art. 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), introdotto dall’art. 3, comma 85, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)».

Proprio a seguito della predetta procedura d’infrazione, l’art. 14 della legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante «Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea - Legge europea 2013-bis») ha abrogato le disposizioni derogatorie contenute negli artt. 17, comma 6-bis, del d.lgs. n. 66 del 2003, e 41, comma 13, del d. l. n. 112 del 2008, le quali sottraevano il personale dell’area dirigenziale e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale all’applicazione degli artt. 4 e 7 del d.lgs. n. 66 del 2003.

In considerazione delle ricadute sulla erogazione delle prestazioni sanitarie che sarebbero potute derivare dalla contrazione dell’orario di lavoro seguita alla suddetta abrogazione (già avvenuta con la citata legge n. 161 del 2014), sono state approvate le disposizioni legislative oggetto di impugnazione nel presente giudizio, che, pur nel quadro del rispetto dei limiti di spesa sanitaria da garantirsi anche tramite la riduzione dei posti letto, hanno introdotto una procedura attraverso la quale determinare e valutare il fabbisogno di personale sanitario, al fine di assicurare la garanzia dei livelli essenziali di assistenza già definiti, e consentire il ricorso, se del caso, a forme di lavoro flessibile, alla proroga dei contratti in corso o a nuove assunzioni mediante concorsi straordinari.

Più precisamente, il censurato art. 1, comma 541, ha previsto che anche le Province autonome adottino un provvedimento di riduzione dei posti letto ospedalieri accreditati a carico del Servizio sanitario regionale e predispongano un piano concernente il fabbisogno di personale e le modalità operative per garantire il rispetto delle norme dell’Unione europea sull’orario di lavoro del personale sanitario, in coerenza con l’art. 14 della Legge europea 2013-bis. I predetti provvedimenti debbono essere trasmessi, entro il 29 febbraio 2016, al Tavolo di verifica degli adempimenti e al Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) di cui, rispettivamente, agli artt. 12 e 9 dell’Intesa sancita il 23 marzo 2005 dalla Conferenza Stato-Regioni, nonché al Tavolo per il monitoraggio dell’attuazione del regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 20 aprile 2015, n. 70 (Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera).

Il comma 542 dello stesso art. 1 stabilisce che, nelle more dell’adozione e della verifica dei piani di fabbisogno del personale, sia possibile ricorrere a forme di lavoro flessibile in deroga ai limiti fissati dall’art. 9, comma 28, del decreto- legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, oppure prorogare i relativi contratti sino al 31 ottobre 2016, previa comunicazione ai Ministeri della salute nonché dell’economia e delle finanze.

Ai sensi dell’impugnato art. 1, commi 543 e 544, in caso di criticità emergenti dal piano per l’assunzione del personale, è prevista l’indizione di concorsi straordinari per l’assunzione di personale medico, tecnico-professionale e infermieristico, nel rispetto delle disposizioni in materia di contenimento del costo del personale e dei piani di rientro per i casi di disavanzo finanziario, previste dal comma 541 del medesimo art. 1. Ciò è avvenuto a completamento e integrazione del percorso intrapreso con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015 (Disciplina delle procedure concorsuali riservate per l’assunzione di personale precario del comparto sanità), nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica da conseguire attraverso il contenimento della spesa di cui all’art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2010) e all’art. 17, commi 3, 3-bis e 3-ter, del decreto- legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e dei piani di rientro.

Il successivo comma 574 dell’impugnato art. 1 consente che, nel rispetto di una serie di condizioni, a partire dal 2016, si possa procedere all’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità, nonché di prestazioni erogate da parte degli istituti privati di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), con l’obbligo trimestrale di trasmettere ai Ministeri della salute nonché dell’economia e delle finanze i provvedimenti di compensazione della maggior spesa sanitaria regionale per i pazienti residenti in altre Regioni, e di pubblicare e comunicare alle Regioni di residenza il valore delle relative prestazioni.

Nelle more del presente giudizio di legittimità costituzionale, sono intervenute alcune disposizioni di proroga dei termini: l’art. 1, comma 10, lettere a) e b) del decreto- legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, ha prorogato al 31 dicembre 2017 il termine per il bando delle procedure per i concorsi straordinari (con corrispettivo differimento del termine di conclusione del procedimento) e al 31 ottobre 2017 l’autorizzazione al ricorso al lavoro flessibile; l’art. 20, comma 10, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche) ha, quindi, ulteriormente prorogato i termini di cui sopra, rispettivamente al 31 dicembre 2018 e al 31 ottobre 2018.

Trattandosi di modifiche che non toccano i profili di lesività lamentati dalle ricorrenti, le questioni devono considerarsi estese alle disposizioni nel testo risultante dagli interventi normativi successivi (da ultimo, sentenza n. 39 del 2016).

7.– Chiarito il contesto normativo nel quale si collocano le disposizioni censurate dalle tre ricorrenti, possono per prime esaminarsi le questioni promosse dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.

7.1.– In proposito va rilevato che tutte le questioni promosse dalle predette Province autonome si basano sul comune presupposto che le disposizioni impugnate siano applicabili anche alle ricorrenti.

Occorre, quindi, preliminarmente esaminare il punto, eccepito dalla difesa dello Stato, secondo cui le ricorrenti sarebbero tutelate dalla clausola di salvaguardia di cui dall’art. 1, comma 992, della medesima legge di stabilità, secondo cui «[l]e disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3». Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, infatti, la presenza della citata clausola di salvaguardia determinerebbe l’infondatezza delle questioni promosse, in quanto le norme censurate si applicherebbero alle autonomie solo nella misura in cui siano compatibili con i relativi Statuti.

In proposito occorre ricordare che questa Corte (sentenza n. 154 del 2017) ha già avuto modo di chiarire e ribadire, proprio in riferimento alla clausola di cui al citato art. 1, comma 992, il principio secondo cui «l’illegittimità costituzionale di una previsione legislativa non è esclusa dalla presenza di una clausola di salvaguardia, laddove tale clausola entri in contraddizione con quanto affermato dalle norme impugnate, con esplicito riferimento alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome (da ultimo, sentenze n. 40 e n. 1 del 2016, n. 156 e n. 77 del 2015)». Come è stato ancor più di recente chiarito (sentenza n. 191 del 2017, sempre a proposito del citato art. 1, comma 992), «[l]’operatività delle clausole di salvaguardia deve essere esclusa nei particolari casi in cui singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale (fra le tante, sentenza n. 40 del 2016). Si deve dunque verificare, con riguardo alle singole disposizioni impugnate, se esse si rivolgano espressamente anche agli enti dotati di autonomia speciale, con l’effetto di neutralizzare la portata della clausola generale».

Dunque, la presenza della clausola di salvaguardia non consente di per sé di ritenere infondate le questioni, ma impone di verificare se le singole e specifiche disposizioni censurate si rivolgano espressamente alle autonomie speciali, così da neutralizzare la portata della clausola generale, per poi valutarne nel merito la eventuale lesività.

7.2.– Alla luce di tali principi, deve rilevarsi che i censurati commi 541, 542 e 574, includono espressamente le Province autonome tra i loro destinatari. Sicché la garanzia contenuta nella generale clausola di salvaguardia risulta contraddetta e vanificata dalla dizione testuale delle singole disposizioni impugnate.

Lo stesso vale anche per i commi 543 e 544, in quanto si tratta di norme che si pongono in inscindibile collegamento funzionale con i precedenti commi 541 e 542, di cui rappresentano la prosecuzione, e che, come detto, si applicano anche alle Province autonome.

Occorre, dunque, valutare nel merito ciascuna censura sollevata in relazione alle suddette disposizioni.

8.– La questione che per prima deve essere esaminata è quella relativa alla violazione del giudicato costituzionale, in quanto essa «riveste carattere di priorità logica rispetto alle altre», proprio perché «attiene all’esercizio stesso del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto costituzionale di cui si assume la violazione» (ex plurimis, sentenze n. 5 del 2017, n. 245 del 2012 e n. 350 del 2010).

Le Province autonome di Trento e di Bolzano ritengono che l’art. 1, comma 541, lettera a), ripeta la medesima norma, in tema di riduzione dei posti letto ospedalieri, già dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 125 del 2015, in riferimento all’art. 15, comma 13, lettera c), del d. l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, nella parte in cui si applica alle Province autonome.

La questione è fondata.

In tema di violazione del giudicato costituzionale, ai sensi dell’art. 136 Cost., questa Corte ha già precisato (ex plurimis, sentenze n. 5 del 2017, n. 72 del 2013 e n. 350 del 2010) che tale vizio sussiste ogniqualvolta una disposizione intenda «mantenere in piedi o […] ripristinare, sia pure indirettamente, […] gli effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto della […] pronuncia di illegittimità costituzionale» (sentenza n. 72 del 2013), ovvero «ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale» (sentenza n. 350 del 2010). Pertanto, il giudicato costituzionale è violato non solo quando il legislatore adotta una norma che costituisce una «mera riproduzione» (sentenze n. 73 del 2013 e n. 245 del 2012) di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche quando la nuova disciplina mira a «perseguire e raggiungere, “anche se indirettamente”, esiti corrispondenti» (sentenze n. 73 del 2013, n. 245 del 2012, n. 922 del 1988, n. 223 del 1983, n. 88 del 1966).

La disposizione già dichiarata parzialmente illegittima con la sentenza n. 125 del 2015 imponeva anche alle Province autonome la «riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie». Questa Corte ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale in quanto norma di dettaglio, come tale non ascrivibile alla competenza legislativa statale concorrente in materia di «tutela della salute». Ha, altresì, espressamente escluso sia la riconducibilità alla competenza statale esclusiva in punto di determinazione dei livelli essenziali di assistenza, sia l’applicazione alle Province autonome come norma di coordinamento della finanza pubblica, non essendo la loro spesa sanitaria finanziata dallo Stato. Né ha ritenuto rilevante l’esigenza di riparto degli obiettivi del patto di stabilità o di ottemperanza a precisi vincoli assunti dallo Stato in sede europea, ipotesi per cui è consentita la determinazione unilaterale del concorso da parte dello Stato in attesa del perfezionamento delle procedure pattizie previste per le autonomie speciali.

La disposizione oggi censurata impone anche alle Province autonome l’adozione di un analogo provvedimento generale di riduzione dei posti letto, rinviando agli adempimenti previsti dall’art. 1, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70, adottato a norma dell’art. 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), il quale stabilisce la «riduzione della dotazione dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del Servizio sanitario regionale, ad un livello non superiore a 3,7 posti letto (p.l.) per mille abitanti, comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza post-acuzie».

Si tratta, dunque, della riproposizione della medesima norma già dichiarata illegittima con la sentenza n. 125 del 2015, seppure attraverso una diversa tecnica normativa, basata sul rinvio a una disposizione regolamentare contenente specificazioni prima disposte direttamente dal testo legislativo.

Pertanto, alla luce della giurisprudenza costituzionale, l’impugnato art. 1, comma 541, lettera a), perseguendo esiti corrispondenti a quelli dell’art. 15, comma 13, lettera c), del d. l. n. 95 del 2012, già ritenuto lesivo della Costituzione, dalla sentenza n. 125 del 2015, nella parte in cui è applicabile alle Province autonome, viola il giudicato costituzionale ex art. 136 Cost.

9.– Le Province autonome impugnano gli ulteriori obblighi e adempimenti posti a loro carico dai censurati commi 541, 542, 543 e 544, del medesimo art. 1, e segnatamente: la predisposizione di un piano concernente il fabbisogno di personale, contenente l’esposizione delle modalità organizzative dello stesso personale (comma 541, lettera b); la previsione di una procedura dettagliata, con l’indicazione di termini entro i quali i suddetti piani devono essere inviati a predeterminati organi – più precisamente, al Tavolo di verifica degli adempimenti e al Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA, nonché al Tavolo per il monitoraggio dell’attuazione del regolamento di cui al decreto del Ministro della salute n. 70 del 2015, istituito ai sensi della lettera C.5 dell’Intesa sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 2 luglio 2015 – al fine di consentire loro la valutazione congiunta dei provvedimenti amministrativi adottati, anche sulla base dell’istruttoria condotta dal Tavolo per il monitoraggio (comma 541, lettera c); il ricorso (comma 541, lettera d), in caso di accertate criticità, a forme di lavoro flessibile o alla proroga dei relativi contratti e all’indizione di procedure concorsuali straordinarie (rispettivamente, commi 542, e 543 e 544).

9.1.– La Provincia autonoma di Bolzano lamenta la violazione del riparto costituzionale delle competenze legislative in materia di sanità (art. 9, n. 10, dello Statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost., in combinazione con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001) e delle regole sui rapporti tra fonti statali e provinciali dettate dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992; inoltre, ritiene che le disposizioni impugnate non rispettino l’autonomia amministrativa della Provincia (art. 16 dello Statuto) e violino le regole sul coordinamento finanziario applicabile alle Province autonome (art. 79 dello Statuto). La Provincia autonoma di Trento si duole della violazione della propria potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento dei propri uffici e del relativo personale (art. 8, n. 1, dello Statuto); inoltre, contesta la lesione della potestà legislativa concorrente in materia di igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e ospedaliera (art. 9, n. 10, dello Statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost.) e della corrispondente potestà amministrativa (art. 16 dello Statuto), nonché delle regole sul coordinamento finanziario applicabile alle Province autonome (art. 79 dello Statuto).

9.2.– La difesa statale ritiene che le disposizioni censurate siano riconducibili a principi fondamentali in materia di «tutela della salute», a principi di «coordinamento della finanza pubblica» in adempimento agli obblighi comunitari, e all’esercizio della competenza statale in materia di LEA. Specifica, inoltre, che esse contengono norme di vantaggio, volte a consentire alle autonomie il ricorso a forme di lavoro flessibile, alla proroga di contratti in corso o all’indizione di procedure concorsuali straordinarie, in deroga ai vincoli legislativi vigenti.

9.3.– Per valutare le questioni portate all’esame di questa Corte, può essere utile richiamare – come illustrato più ampiamente al punto 6 – che le disposizioni impugnate si inseriscono in un complesso intervento legislativo statale, resosi necessario per assicurare l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria, a seguito della riduzione degli orari di lavoro del personale sanitario, richiesta per l’adeguamento dell’ordinamento italiano alle normative europee. Per far fronte a tale esigenza, il legislatore nazionale è intervenuto su diversi aspetti dell’organizzazione sanitaria, con una pluralità di disposizioni che si collocano al crocevia di molteplici competenze legislative.

9.3.1.– Viene anzitutto in rilievo la competenza statale esclusiva in materia di «livelli essenziali delle prestazioni» (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), come risulta, del resto, dalla finalità enunciata dall’incipit dell’impugnato comma 541, orientato «al fine di assicurare la continuità nell’erogazione dei servizi sanitari, nel rispetto delle disposizioni dell’Unione europea in materia di articolazione dell’orario di lavoro» e come confermato dal coinvolgimento del Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA.

In relazione ai «livelli essenziali delle prestazioni», questa Corte ha già avuto modo di precisare che a tale competenza sono riconducibili quelle norme che, come quelle qui censurate, contengono un riferimento trasparente agli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera indicati nel decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, adottato a norma dell’art. 1, comma 169, della legge n. 311 del 2004, e «ne prescrivono il monitoraggio, intervenendo poi a imporre e disciplinare gli interventi necessari qualora, in determinate strutture, si registrassero scostamenti significativi» (sentenza n. 192 del 2017): la determinazione di tali standard deve, infatti, essere garantita, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto; e la relativa competenza, «avendo carattere trasversale, è idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore statale deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di determinate prestazioni, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle (sentenze n. 125 del 2015, n. 111 del 2014, n. 207, n. 203 e n. 164 del 2012)» (sentenza n. 192 del 2017).

Dunque, la giurisprudenza costituzionale ha già chiarito che la competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. può comprendere, oltre alla determinazione dei livelli quantitativi e qualitativi delle singole prestazioni sanitarie, anche le procedure strumentali indispensabili ad assicurare che gli enti del servizio sanitario siano in condizione di garantire l’erogazione delle stesse. Ciò è quanto si riscontra nel caso di specie. Con le previsioni di cui alle lettere b) e c) dell’art. 1, comma 541, il legislatore statale ha inteso garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (anche) per il tramite di particolari procedure – invero, già definite consensualmente attraverso la collaborazione tra Stato, Regioni e autonomie speciali –, le quali, mediante il ricorso a organi ad hoc (Tavolo di verifica degli adempimenti, Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei LEA e Tavolo per il monitoraggio dell’attuazione del regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70) e alla previsione di una specifica istruttoria, mirano ad assicurare a tutti i cittadini la fruibilità dei livelli essenziali di assistenza, anche attraverso un adeguato sistema di monitoraggio. Una tale implicazione della competenza statale in materia di LEA trova tanto più giustificazione, nel caso di specie, nell’esistenza di eccezionali «imperiose necessità sociali» (da ultimo, sentenza n. 192 del 2017; ma anche sentenze n. 203 del 2012 e n. 10 del 2010), determinate dalle ricadute organizzative conseguenti alla necessità di rimodulare gli orari di lavoro in ambito sanitario, in ossequio ai vincoli derivanti dall’Unione europea.

9.3.2.– Oltre che alla competenza statale in materia di «livelli essenziali delle prestazioni», l’intervento legislativo statale inevitabilmente incide sull’organizzazione sanitaria e, pertanto, sulla materia «tutela della salute» (sentenza n. 54 del 2015), poiché esso traccia la cornice funzionale e operativa che garantisce la qualità e l’adeguatezza delle prestazioni erogate (sentenza n. 207 del 2010). Va ricordato che la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 126 del 2017) ha affermato, proprio con riferimento alle Province autonome, che, in ambito sanitario, non vengono in rilievo le norme dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol (o delle relative disposizioni di attuazione), bensì l’art. 117 Cost., in quanto la competenza legislativa concorrente in materia di «tutela della salute», assegnata alle regioni ordinarie dall’art. 117, terzo comma, Cost., dopo la riforma costituzionale del 2001, è «assai più ampia» di quella, attribuita alle Province autonome dagli statuti speciali in materia di «assistenza ospedaliera» (sentenza n. 162 del 2007; nello stesso senso, sentenze n. 134 del 2006 e n. 270 del 2005). La formula utilizzata dall’art. 117, terzo comma, Cost. esprime, inoltre, «l’intento di una più netta distinzione fra la competenza regionale a legiferare in queste materie e la competenza statale, limitata alla determinazione dei principi fondamentali della disciplina» (sentenza n. 282 del 2002). Ne consegue che per le Province autonome deve trovare applicazione la clausola di favore contenuta nell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 e che, di conseguenza, il regime delle competenze provinciali in materia sanitaria è quello fissato dall’art. 117, terzo comma, Cost., per la materia della «tutela della salute».

9.3.3.– Proseguendo nella disamina della normativa impugnata, occorre osservare che i commi 542 e 543 consentono, in caso di criticità organizzative accertate ai sensi del precedente comma 541, lettera d), il ricorso, rispettivamente, al lavoro flessibile in deroga o alla proroga dei relativi contratti e all’indizione di concorsi straordinari per l’assunzione del personale. Per tali profili, le disposizioni impugnate intrecciano ulteriori competenze, statali, regionali e provinciali.

Questa Corte ha già avuto modo di precisare, con la sentenza n. 251 del 2016, che disposizioni statali che attengono a profili inerenti al trattamento economico (fra le tante, sentenze n. 211 e n. 61 del 2014) o comunque a profili relativi al rapporto di lavoro privatizzato (sentenza n. 72 del 2017), incidono su ambiti riconducibili alla competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Tuttavia, la medesima sentenza ha riconosciuto come sia innegabile che siffatte disposizioni possano essere ascritte anche a competenze statali concorrenti, quali la determinazione dei principi fondamentali in materia di «tutela della salute», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., quando riguardino la disciplina della dirigenza sanitaria; oppure, alla competenza regionale residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa – più specificamente, nel presente caso, alla materia dell’organizzazione dei propri uffici e del relativo personale (art. 8, n. 1, dello Statuto) –, quando esse si spingano fino a disciplinare «le procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al ruolo (così come a tutto il pubblico impiego: sentenze n. 310 del 2011 e n. 324 del 2010), il conferimento degli incarichi (sentenza n. 105 del 2013) e la durata degli stessi» (sentenza n. 251 del 2016).

9.3.4.– Le norme censurate si riconducono altresì a competenze statali in materia di principi fondamentali per il «coordinamento della finanza pubblica».

In particolare ciò traspare laddove il legislatore statale richiama l’esigenza di una «più efficiente allocazione delle risorse umane disponibili»; dove si riferisce al «contenimento del costo del personale»; dove menziona i «piani di rientro» (comma 541) e, con evidenza ancora maggiore, nel comma 544, dove impone il «rispetto della cornice finanziaria programmata».

Al riguardo deve ricordarsi che la giurisprudenza costituzionale anche recente (sentenze n. 263 e n. 239 del 2015) è costante nel ritenere che i principi di «coordinamento della finanza pubblica» recati dalla legislazione statale si applicano, di regola, anche ai soggetti ad autonomia speciale (sentenza n. 36 del 2004; in seguito, sentenze n. 54 del 2014, n. 229 del 2011, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 353 del 2004), poiché funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e a garantire l’unità economica della Repubblica (sentenza n. 82 del 2015), dato che la finanza delle Regioni a Statuto speciale è parte della finanza pubblica allargata (sentenza n. 80 del 2017). Sulla base di tali considerazioni può ritenersi legittimo l’intervento del legislatore statale che impone agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (sentenza n. 191 del 2017), sia quando l’obiettivo perseguito consiste nel contenimento della spesa in sé, sia quando esso – come nel presente caso – consiste nell’incremento della sua efficienza (sentenze n. 192 del 2017 e n. 272 del 2015).

Tuttavia, occorre altresì ricordare che questa Corte ha già più volte affermato (da ultimo, sentenza n. 75 del 2016) che la legge dello Stato non può imporre vincoli alla spesa sanitaria delle Province autonome di Trento e Bolzano, considerato che lo Stato non concorre in alcun modo al finanziamento del servizio sanitario provinciale, il quale si sostenta totalmente con entrate provinciali.

9.4.– Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, risulta pertanto palese che le disposizioni impugnate incidono, simultaneamente, su una pluralità di competenze statali, regionali e provinciali, tra loro inestricabilmente connesse, nessuna delle quali si rivela prevalente, ma ciascuna delle quali concorre alla realizzazione del disegno delineato dall’intervento legislativo. Le disposizioni impugnate, come si è detto, sono riconducibili a una pluralità di competenze spettanti al legislatore statale, anche in via esclusiva, come in materia di LEA e «ordinamento civile», o concorrente, come in materia di «tutela della salute» e «coordinamento della finanza pubblica». L’esercizio di tali competenze, tuttavia, non può giustificare l’imposizione di vincoli di spesa in materia sanitaria a carico di quegli enti che provvedono autonomamente alla copertura delle relative spese. Pertanto, le questioni sollevate dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Provincia autonoma di Bolzano in riferimento all’art. 1, commi 541 (nella parte residua), 542, 543 e 544, devono ritenersi non fondate, a condizione che tali impugnate disposizioni siano interpretate nel senso che si applicano alle due Province senza porre limiti alla loro autonomia in punto di spesa sanitaria, in quanto non finanziata dallo Stato.

10.– Le ricorrenti Province autonome hanno altresì impugnato il comma 574, lettera b), del citato art. 1, con il quale lo Stato consente l’acquisto di prestazioni da IRCCS privati in deroga ai limiti previsti, «in considerazione del processo di riorganizzazione del settore ospedaliero privato accreditato in attuazione di quanto previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70, [in punto di determinazione dei LEA] al fine di valorizzare il ruolo dell’alta specialità all’interno del territorio nazionale», imponendo tuttavia alle Regioni e alle Province autonome l’adozione di misure alternative al fine di mantenere l’«invarianza dell’effetto finanziario».

Anche in questo caso l’intervento si pone al crocevia di plurime competenze legislative statali e delle Province autonome in materia di «livelli essenziali delle prestazioni», di «tutela della salute» e di «coordinamento della finanza pubblica». Si tratta perciò di una situazione analoga a quella già esaminata con riferimento ai precedenti commi, per la quale valgono le medesime conclusioni.

Considerato, però, il tenore della disposizione qui in esame, essa non può essere ricondotta a conformità alla Costituzione per via interpretativa, nella parte in cui impone alle Province autonome l’adozione di misure alternative per garantire l’effetto dell’invarianza finanziaria: per tale profilo, essa stabilisce illegittimamente vincoli a una spesa sanitaria che, come detto, lo Stato non contribuisce a finanziare. Conseguentemente l’art. 1, comma 574, lettera b), deve essere dichiarato illegittimo nella parte in cui impone alle Province autonome di adottare misure alternative al fine di garantire, in ogni caso, l’invarianza dell’effetto finanziario.

11.– Quest’ultima disposizione (art. 1, comma 574) è stata impugnata anche dalla Regione Veneto, ancorché sotto un diverso profilo. La ricorrente lamenta, infatti, l’irragionevole disparità di trattamento (ai sensi degli artt. 3 e 97 Cost.) tra IRCCS pubblici e privati, disparità che ridonderebbe sulle competenze regionali in materia di organizzazione e programmazione sanitaria di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.

11.1.– Più precisamente, secondo la Regione Veneto, la norma impugnata, a partire dall’anno 2016, derogherebbe al tetto di spesa fissato dall’art. 15, comma 14, del d. l. n. 95 del 2012 per l’acquisto di prestazioni di assistenza ospedaliera di alta specialità dagli IRCCS di natura privata, mentre per gli IRCCS di natura pubblica resterebbero ferme numerose disposizioni di spending review non applicabili a quelli privati (segnatamente, vengono fissati tetti di spesa in forma di percentuale sul finanziamento complessivo per la spesa farmaceutica territoriale e ospedaliera, nonché tetti di spesa per il costo del personale). In questo modo si determinerebbe una disparità di trattamento tra situazioni parificabili, dirottando sugli IRCCS privati la mobilità interregionale proprio in forza della rimozione di limiti valida solo per questi ultimi.

11.2.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale differenziazione troverebbe giustificazione nella diversa natura degli istituti (pubblica e privata) e nell’esigenza di salvaguardare, a seguito della riorganizzazione del settore sanitario dovuta anche alla nuova disciplina in tema di orari e riposi, adeguati livelli essenziali di assistenza per le prestazioni di alta specialità pur nell’invarianza della spesa sanitaria.

11.3.– Deve tuttavia rilevarsi che la pretesa ridondanza della violazione sulle competenze regionali è argomentata esclusivamente con riferimento alla disomogenea presenza di IRCCS privati nelle varie Regioni. Ciò costituisce un inconveniente di mero fatto, come tale inidoneo a incidere sulla lamentata violazione costituzionale che, per questa ragione, deve ritenersi manifestamente infondata.

 

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservate a separate pronunce le decisioni delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 541, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2016)», nella parte in cui si applica alle Province autonome di Trento e di Bolzano;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 574, lettera b), della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui impone alle Province autonome di Trento e di Bolzano di adottare misure alternative al fine di garantire, in ogni caso, l’invarianza dell’effetto finanziario;

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 541, 542, 543, 544 e 574, della legge n. 208 del 2015, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 10, lettere a) e b), del decreto- legge 30 dicembre 2016, n. 244 (Proroga e definizione di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, e dalla proroga introdotta dall’art. 20, comma 10, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 (Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e), 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano limitatamente al riferimento agli artt. 80, 81, 87, 88, 99, 100, 103, 104 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige);

4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 541 (nella parte residua), 542, 543 e 544 della legge n. 208 del 2015, nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 10, lettere a) e b), del decreto- legge n. 244 del 2016, e dalla proroga introdotta dall’art. 20, comma 10, del d.lgs. n. 75 del 2017, promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento agli artt. 4, n. 7), 8, n. 1), 9, n. 10), 16, 79 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e relative norme di attuazione, di cui al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), nonché degli artt. 3, 117, secondo, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119, quest’ultimo in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e 120 della Costituzione, e dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento agli artt. 8, n. 1), 9, n. 10), 16, 79 dello Statuto della Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, nonché dell’art. 117, terzo comma, Cost., quest’ultimo in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001;

5) dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 574, della legge n. 208 del 2015, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.

 

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