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Corte costituzionale - Sentenza N. 349 del 16.07.1991
Zootecnia - Disciplina della riproduzione animale (1. n. 30 / 1991) - Legge statale adottata in attuazione di direttive comunitarie - Qualificazione di tutte le disposizioni come norme fondamentali di riforma economica e sociale - Lesione della competenza provinciale

Sentenza (11 luglio) 16 luglio 1991 n. 349; Pres. Corasaniti - Red. Cheli

 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato il 27 febbraio 1991 la Provincia autonoma di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti degli artt. 1 comma 2; 5 commi 1, 2, 5 e 7; 7 comma 3; 8 comma I, lett. a), b) e c); 9 e 10 1. 15 gennaio 1991 n. 30, recante « Disciplina della riproduzione animale », per violazione degli artt. 8 n. 21, 9 n. 10, e 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), delle relative norme di attuazione (in particolare del d.P.R. 19 novembre 1987 n. 526) e dell'art. 3 Cost.
Espone la Provincia ricorrente che la l. n. 30 del 1991, al fine di dare attuazione a non meglio specificate direttive comunitarie, oltre a regolare l'ordinamento e la tenuta dei libri genealogici nazionali relativi alle varie specie animali — oggetto che viene riconosciuto di indiscussa competenza statale — ha dettato altresì norme di dettaglio in materia di riproduzione animale. Tali norme — a giudizio della ricorrente — risulterebbero lesive della competenza legislativa primaria della Provincia in materia di patrimonio zootecnico, nonché di quella concorrente in materia di igiene e sanità, in quanto la normativa comunitaria del settore, alla quale la legge fa riferimento generico, sarebbe precipuamente rivolta a regolare gli scambi intracomunitari dei riproduttori di razza pura, senza riguardare, se non in via del tutto indiretta, la disciplina in senso stretto della riproduzione animale. Non sussisterebbe, pertanto, secondo la ricorrente, un vincolo di carattere comunitario idoneo a legittimare l'ingerenza del legislatore nazionale in una materia riservata alla competenza provinciale. Tanto più che non è rilevabile una inerzia da parte della Provincia, che ha già da tempo posto in essere una propria normativa in tale materia (1. provv. 28 dicembre 1984 n. 16, 20 novembre 1987 n. 27 e 14 febbraio 1991 n. 5; delib. Giunta provinciale 29 gennaio 1988 n. 377).
In ordine agli specifici motivi del ricorso, la ricorrente espone che l'art. 1 comma 2 1. n. 30, stabilendo che le disposizioni della stessa legge, « nei limiti in cui attuino la normativa comunitaria », costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica, sarebbe in contrasto con l'art. 8 n. 21, dello Statuto del Trentino-Alto Adige e con le norme di attuazione di cui al d.P.R. 19 novembre 1987 n. 526, in quanto precostituirebbe un'unica modalità di attuazione della normativa comunitaria, anziché rimettere alla Provincia l'autonomo adeguamento della propria legislazione alla legislazione statale di attuazione delle norme comunitarie (v. art. 7 del d.P.R. n. 526), determinando, altresì, un improprio intervento statale di carattere generale, destinato ad imporsi su tutta la legislazione speciale, indipendentemente dall'accertamento di una inattività della Provincia tale da comportare l'inadempimento di obblighi comunitari (v. art. 8 del d.P.R, n. 526). Inoltre, la stessa disposizione sarebbe irrazionale e arbitraria — e pertanto in contrasto con i principi costituzionali in materia di competenza provinciale esclusiva e con l'art. 3 Cost. — dal momento che verrebbe a equiparare in modo generico imprecisate norme comunitarie a norme fondamentali di riforma economico-sociale rendendo equivoca ed indeterminata la statuizione normativa.
Osserva ancora la Provincia che l'art. 5 della l. n. 30 stabilisce i requisiti di idoneità degli animali destinati alla riproduzione, sia naturale che artificiale (comma 1); prevede che le Provincie autonome, sentito il Ministero dell'agricoltura, possano autorizzare deroghe alla normativa di cui al comma 1 « in presenza di specifiche esigenze zootecniche locali » (comma 2); stabilisce particolari limiti per la fecondazione delle specie equina e suina (comma 5); dispone che le manipolazioni del materiale riproduttivo e la fecondazione degli equini siano effettuate in centri appositamente autorizzati dal Ministero dell'agricoltura (comma 7). Osserva, inoltre, la Provincia che quest'ultima disposizione, per un difetto di coordinamento, risulta riprodotta con identica formulazione anche all'art. 7 comma 3. Tutte queste disposizioni — a giudizio della ricorrente — qualora fossero da ritenersi applicabili nel territorio provinciale, sarebbero costituzionalmente illegittime per contrasto con gli artt. 8 n. 21, 9 n. 10, e 16 dello Statuto regionale e con le norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 526 del 1987, in quanto: a) interverrebbero in materie di competenza legislativa primaria della Provincia e nelle quali è già operante una normativa provinciale; b) non avrebbero carattere di normativa di principio bensì di disciplina concreta e di dettaglio; c) non potrebbero essere ritenute attuative di norme comunitarie, perché non vi sarebbero direttive o regolamenti comunitari che trattano questi aspetti; d) anche qualora, in denegata ipotesi, vi fossero norme comunitarie in materia, la loro attuazione spetterebbe comunque alla Provincia.
Analoghe argomentazioni vengono svolte dalla ricorrente per contestare, in riferimento agli stessi parametri sopra citati, la legittimità dell'art. 8 comma 1 lett. a), b) e c), della legge impugnata, che prevede che il Ministro dell'agricoltura, di concerto con quello della sanità e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, emani un regolamento di esecuzione (in ordine all'istituzione ed all'esercizio delle stazioni di monta e degli impianti per l'inseminazione artificiale;
ai requisiti sanitari dei riproduttori che vi sono ammessi; ai requisiti sanitari per la trattazione del materiale di riproduzione; alla certificazione degli interventi fecondativi ed alla raccolta ed elaborazione dei dati sulla riproduzione animale), nonché degli artt. 9 e 10, che stabiliscono alcune sanzioni amministrative e ne disciplinano la procedura.
2. Con ricorso di identico contenuto, notificato il 27 febbraio 1991 anche la Provincia autonoma di Bolzano — che, peraltro, a differenza della Provincia di Trento, non ha sinora adottato una propria disciplina in tema di riproduzione animale — ha sollevato analoghe questioni di legittimità costituzionale, in riferimento ai medesimi parametri.
3. Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che le sollevate questioni siano dichiarate non fondate.
In ordine all'art. 1 comma 2, della legge impugnata, l'Avvocatura dello Stato osserva che, indipendentemente dalla qualificazione delle norme in oggetto quali norme fondamentali di riforma economico-sociale, le disposizioni di attuazione della normativa comunitaria rientrano nella categoria degli obblighi internazionali il cui rispetto costituisce limite della competenza primaria, ai sensi dell'art. 4 dello Statuto regionale. Osserva inoltre l'Avvocatura che l'art. 7 d.P.R, n. 526 del 1987, prevedendo il potere-dovere della Provincia di dare attuazione alle direttive comunitarie, non impedisce al legislatore nazionale di provvedere in ordine all'adempimento degli obblighi comunitari, così come l'art. 8 dello stesso d.P.R., prevedendo un potere sostitutivo governativo in caso di inerzia della Provincia, non limita in alcun modo la funzione legislativa del Parlamento.
Sui motivi del ricorso riferiti agli artt. 5 e 7, l'Avvocatura osserva che l'art. 5 comma 2, della legge impugnata determinerebbe una forma di leale cooperazione, essenzialmente tecnica, tra Stato e Province autonome, non contrastante con l'art. 8 n. 21, dello Statuto, mentre non sarebbero rilevabili specifiche doglianze nei riguardi dei commi 1, 5 e 7 dello stesso art. 5, nonché del comma 3 dell'art. 7. Per quest'ultimo, l'Avvocatura osserva altresì che la duplicazione di testo non costituisce di per sé ragione di illegittimità costituzionale.
Sull'art. 8, l'Avvocatura dello Stato obbietta che il regolamento di esecuzione previsto in tale norma rappresenta pur sempre — se e quando sarà emanato — una fonte secondaria, non idonea ad incidere su eventuali preesistenti disposizioni legislative provinciali.
Infine, l'Avvocatura contesta la presenza di profili di illegittimità nelle disposizioni degli artt. 9 e 10 della legge impugnata.
4. In prossimità dell'udienza l'Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria dove, dopo aver richiamato dettagliatamente le numerose direttive e decisioni comunitarie intervenute in materia di disciplina della riproduzione animale e di tenuta dei libri genealogici delle diverse specie animali, si approfondiscono le ragioni difensive già espresse negli atti di costituzione inerenti ai due ricorsi.
 
Considerato in diritto. — 1. I due ricorsi proposti dalle Province autonome di Trento e di Bolzano investono le stesse norme in relazione a profili d'illegittimità costituzionale in larga parte coincidenti. I giudizi relativi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi con unica pronuncia.
2. La l. 15 gennaio 1991 n. 30, recante « Disciplina della riproduzione animale » è stata adottata, ai sensi dell'art. 117 Cost., come legge-quadro al fine di individuare, in attuazione delle direttive comunitarie, « i princìpi fondamentali relativi al settore della riproduzione animale », facendo salve le funzioni trasferite in materia alle Regioni (art. 1 comma 1).
Per la definizione di tale disciplina la legge in questione ha regolato i libri genealogici ed i requisiti anagrafici nonché i controlli relativi alle attitudini produttive delle varie specie e razze di bestiame di interesse zootecnico (capo I); ha formulato alcune norme in tema di riproduzione animale, naturale e artificiale (capo II); ha disposto una serie di sanzioni amministrative regolando il procedimento per la loro applicazione (capo III).
Di tale legge, le Province autonome di Trento e Bolzano, con i ricorsi di cui è causa, impugnano:
a) l'art. 1 comma 2, dove si stabilisce che, nei limiti in cui attuino la normativa comunitaria, le disposizioni della legge in esame costituiscono, per le Regioni a Statuto speciale e per le Province autonome, norme fondamentali di riforma economica e sociale;
b) gli artt. 5 commi 1, 2, 5 e 7 e 7 comma 3, dove vengono posti limiti e condizioni per la riproduzione di determinate specie animali;
e) l'art. 8 comma 1 lett. a), b) e c), che attribuisce al Ministro dell'agricoltura, di concerto con il Ministro della sanità, un potere regolamentare di esecuzione in ordine a particolari attività connesse alla riproduzione animale;
d) gli artt. 9 e 10, dove si prevedono alcune sanzioni amministrative e si regola la procedura per la loro applicazione.
La disposizione di cui sub a) viene contestata in relazione all'art. 8 n, 21 Stat. spec., agli artt. 7 e 8 d.P.R, n. 526 del 1987 ed all'art. 3 Cost., per il fatto di aver spogliato le Province della possibilità di attuare immediatamente, nelle materie di competenza esclusiva, le direttive comunitarie, ponendo altresì una disciplina irragionevole ed arbitraria per la sua genericità ed indeterminatezza.
Le disposizioni sub b), c) e d) vengono impugnate per violazione degli artt. 8 n. 21, 9 n. 10, e 16 Stat. spec. e delle relative norme di attuazione, in quanto destinate a porre norme ritenute di dettaglio, non attuative di normative comunitarie e comunque lesive della competenza provinciale di cui all'art. 7 d.P.R, n. 526 del 1987.
La Provincia di Trento — che da tempo dispone di una propria normazione in tema di riproduzione animale — contesta altresì la sovrapposizione della disciplina statale a quella provinciale, già operante in materia riservata alla competenza esclusiva della stessa Provincia.
3. La questione relativa all'art. 1 comma 2, della legge in esame risulta fondata.
Questa Corte, in più occasioni, ha avuto modo di precisare come la qualificazione delle disposizioni di una legge quali norme fondamentali di riforma economico-sociale non possa discendere soltanto dalla definizione adottata dal legislatore, ma debba trovare « puntuale rispondenza nella natura effettiva delle disposizioni interessate, quale si desume dal loro contenuto normativo, dal loro oggetto, dal loro scopo o dalla loro incidenza nei confronti di altre norme dell'ordinamento o dei rapporti sociali disciplinati » (v. sentt. n. 85 del 1990 e n. 1033 del 1988, con richiami alla giurisprudenza precedente), assumendo a questo fine particolare valore il carattere riformatore della disciplina, l'incidenza della stessa in settori di rilevante importanza per la vita economico-sociale, la formulazione limitata all'enunciazione delle sole « norme fondamentali » connesse ad un interesse unitario dello Stato.
Tali caratteri non ricorrono nei contenuti espressi dalla legge in esame, che, operando in attuazione di direttive comunitarie da tempo in vigore e in parte già attuate, ha posto una disciplina diretta non tanto a innovare quanto a razionalizzare l'aspetto normativo del settore della riproduzióne animale, attraverso la posizione non solo di disposizioni di principio, ma anche di vincoli specifici e di disposizioni di dettaglio. Né il fatto di aver riferito la natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale alle sole norme che attuino la normativa comunitaria può essere tale da giustificare (a parte ogni rilievo sulla assoluta indeterminatezza del richiamo operato) la legittimità della disposizione impugnata, dal momento che le leggi statali di attuazione della normativa comunitaria non possono essere di per sé assimilate — indipendentemente dalla considerazione dei particolari contenuti della disciplina di volta in volta adottata — a leggi di riforma economico-sociale.
In realtà, occorre riconoscere che, nell'adottare la definizione espressa dalla norma in contestazione, il legislatore non ha inteso tanto qualificare i contenuti della disciplina posta in tema di riproduzione animale, quanto imporre nei confronti della sfera di competenza esclusiva regionale e provinciale un vincolo aggiuntivo rispetto a quello naturalmente connesso all'oggetto della stessa disciplina e riferibile al « rispetto degli obblighi internazionali ».
Disponendo in questi termini il legislatore statale ha, peraltro, adottato una tecnica normativa del tutto impropria e irrazionale, che ha forzato il quadro dei limiti costituzionali predisposti per le competenze legislative degli enti territoriali dotati di speciale autonomia, apportando, di conseguenza, una lesione — più che al potere di attuazione delle direttive comunitarie spettante alle Province autonome ai sensi dell'art. 7 d.P.R, n. 526 del 1987 (potere che, nelle materie di competenza esclusiva, concorre pur sempre con quello statale) — alla competenza primaria delle stesse Province in tema di « patrimonio zootecnico » (art. 8 n. 21, d.P.R, n. 670 del 1972).
4. Il disconoscimento della natura di « norme fondamentali di riforma economico-sociale » nei confronti delle disposizioni poste dalla l. n. 30 del 1991 non può, d'altro canto, determinare la conseguenza di rendere inefficace l'intero complesso di tali disposizioni nei confronti delle competenze legislative esclusive assegnate dallo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige alle due Province ricorrenti. La legge in questione resta, infatti, pur sempre, nel suo nucleo preminente, una legge di attuazione di direttive comunitarie e, come tale, destinata ad operare come limite nei confronti delle competenze regionali e provinciali di natura esclusiva, ove risulti correlata al rispetto di obblighi di carattere internazionale derivanti dal Trattato istitutivo della CEE (v. sentt. nn. 81 e 86 del 1979). Ma il limite, in questo caso, potrà discendere soltanto da quelle disposizioni della legge statale che risultino direttamente attuative della normativa comunitaria e nella misura in cui le stesse si presentino necessarie al perseguimento della finalità attuativa (v. sent. 632 del 1988, par. 4).
Ora, per quanto concerne le Province ricorrenti, la base del rapporto tra disciplina statale di attuazione e competenze provinciali esclusive va ricercata nella norma espressa dall'art. 7 d.P.R. 19 novembre 1987 n. 526, secondo cui, nelle materie di competenza esclusiva, le Province di Trento e Bolzano possono dare immediata attuazione alle direttive comunitarie «salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo Statuto speciale, alle leggi statali di attuazione » di tali direttive.
La disciplina espressa in questo articolo (dove si è ripetuta la formula già adottata dall'art. 13 l. 16 aprile 1987 n. 183) ha trovato successivamente una conferma più generale nell'art. 9 commi 1 e 3 1. 9 marzo 1989 n. 86, in tema di competenze delle Regioni e delle Province autonome nello svolgimento delle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari. E lo stesso art. 9, al comma 4, ha anche previsto che, in mancanza di una disciplina attuativa ad opera delle Regioni e delle Province autonome, si applichino, in via suppletiva, nelle stesse materie di competenza esclusiva, « tutte le disposizioni dettate per l'adempimento degli obblighi comunitari dalla legge dello Stato ».
Alla luce della disciplina richiamata, i criteri da seguire ai fini della soluzione della controversia relativa alle disposizioni espresse negli artt. 5, 7, 8, 9 e 10 l. n. 30 possono, dunque, riassumersi nei termini seguenti: che nelle materie di competenza esclusiva spetta alle Province autonome il potere di dare attuazione immediata (e cioè indipendentemente dalla previa emanazione di una disciplina statale) alle direttive comunitarie; che in tali materie la legislazione provinciale a tal fine adottata non esclude il successivo intervento di leggi statali dirette allo stesso fine; che, sempre con riferimento alle materie di competenza esclusiva, il sopravvenire di leggi statali di attuazione comporta, per il legislatore provinciale che abbia già provveduto, un vincolo di adeguamento « nei limiti previsti dallo Statuto speciale »; che nelle stesse materie, ove il legislatore provinciale non abbia ancora provveduto e finché non provveda, la legge statale di attuazione opera in via suppletiva e nella integralità delle sue disposizioni, quand'anche venga a superare i limiti posti dallo Statuto speciale per la legislazione esclusiva.
5. Sulla scorta dei criteri ora richiamati, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai due ricorsi nei confronti degli artt. 5, commi 1, 2, 5 e 7; 7 comma 3; 9 e 10 l. n. 30 del 1991 si prospettano infondate nei termini che verranno di seguito precisati.
In proposito, va innanzitutto rilevato che il settore della riproduzione animale ha formato oggetto di un'ampia normativa degli organi comunitari: in particolare, vanno ricordate le direttive del Consiglio n. 504 del 1977 e n. 328 del 1987, sulla riproduzione dei bovini di razza pura; n. 661 del 1988, sulla riproduzione suina; n. 361 del 1989, sulla riproduzione ovina e caprina di razza pura; nn. 427 e 428 del 1990, sulla riproduzione equina.
Questa normativa comunitaria, anche se prevalentemente orientata verso il fine della libera circolazione nell'ambito della Comunità degli animali e del materiale destinati alla riproduzione, ha assunto tra i propri obbiettivi fondamentali il controllo sulla qualità dei soggetti riproduttori delle diverse specie e razze: controllo da attuare attraverso l'iscrizione degli animali impegnati nella riproduzione in appositi libri, registri, schedari o altri supporti informativi, destinati a documentare le caratteristiche, le ascendenze e le attitudini riproduttive dei soggetti iscritti.
Sotto questo profilo, la disciplina posta dall'art. 5 comma 1, della legge in esame — nel prevedere l'obbligo di iscrizione nei libri genealogici o nei registri anagrafici dei soggetti maschi delle diverse specie impiegati nella riproduzione — risulta espressiva di un principio di carattere generale desumibile dalla stessa normativa comunitaria e direttamente correlato all'adempimento di obblighi comunitari gravanti sullo Stato in conseguenza di tale normativa: di talché da tale disciplina non può non farsi derivare un limite di ordine generale suscettibile di vincolare (pur con la deroga espressa nel secondo comma dello stesso articolo, che attenua, in relazione a specifiche esigenze locali, il rigore del principio stesso) anche la competenza esclusiva delle Regioni e delle Province a speciale autonomia, che, nell'adottare la propria legislazione in materia, saranno tenute ad « adeguarsi » alla disciplina posta dalla norma in esame.
A diverse conclusioni si può, invece, giungere per quanto concerne le disposizioni formulate nell'art. 5 commi 5 e 7, nell'art. 7 comma 3 (che è meramente ripetitivo dell'art. 5 comma 7), e negli artt. 9 e 10, i cui contenuti non si presentano né espressivi di princìpi di carattere generale né attuativi di specifici obblighi assunti in sede comunitaria. Di conseguenza, tali disposizioni — almeno allo stato attuale della normativa comunitaria — non appaiono suscettibili di determinare, con riferimento ai limiti previsti dallo Statuto speciale, un obbligo di « adeguamento » a carico delle Province ricorrenti, in relazione all'esercizio della competenza esclusiva in materia di patrimonio zootecnico, nel cui ambito va ricompreso anche il potere di delineare e sanzionare le fattispecie costituenti illecito amministrativo (v. sentt. nn. 1034 del 1988; 729 del 1988; 192 del 1987; 97 del 1987; 62 del 1979).
In concreto, le disposizioni in questione potranno operare, in via suppletiva, soltanto nell'ambito della Provincia di Bolzano, che non ha sinora adottato una propria legislazione in tema di riproduzione animale, restando, invece, salva la diversa disciplina già adottata, sugli stessi oggetti, dalla Provincia di Trento.
6. Va, infine, dichiarata l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale prospettata nei confronti dell'art. 8 comma 1 lett. a), b) e c), dove si prevede un potere regolamentare del Ministro dell'agricoltura — da esercitare di concerto con il Ministro della sanitࠗ in tema di istituzione ed esercizio delle stazioni di monta naturale e degli impianti per l'inseminazione artificiale, dei requisiti sanitari per il prelievo e l'impiego del materiale di riproduzione, nonché per la certificazione degli interventi fecondativi.
Tale disposizione, limitandosi a conferire all'organo ministeriale una potestà normativa di rango secondario (nelle forme del regolamento esecutivo), non appare di per sé idonea a produrre effetti lesivi nei confronti di una competenza, quale quella in tema di patrimonio zootecnico, spettante alle Province ricorrenti, suscettibile di esprimersi attraverso la posizione di norme che, per la loro stessa natura primaria, sono, comunque, destinate nel settore in esame, a risultare prevalenti.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 comma 2 I. 15 gennaio 1991 n. 30, recante « Disciplina della riproduzione animale »;
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale sollevate, con i ricorsi di cui in epigrafe, nei confronti degli artt. 5 commi 1, 2, 5 e 7; 7 comma 3; 9 e 10 della stessa legge, in relazione agli artt. 8 n. 21, 9 n. 10 e 16 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 e relative norme di attuazione (con riferimento particolare al d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526);
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, con gli stessi ricorsi, nei confronti dell'art. 8 comma 1 lett. a), b) e e), della stessa legge, in relazione agli artt. 8 n. 21, 9 n. 10 e 16 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, e relative norme di attuazione (con riferimento particolare al d.P.R. 19 novembre 1987 n. 526).
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