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Corte costituzionale - Sentenza N. 229 del 21.04.1989
Annullamento straordinario degli atti amministrativi delle Regioni e delle Province autonome da parte del Governo, a tutela dell'unità dell'ordinamento

Sentenza (13 aprile) 21 aprile 1989 n. 229; Pres. Saja - Red. Cheli
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato il 12 ottobre 1988 la Regione Lombardia ha impugnato l'art. 2 comma 3 lett. p) l. 23 agosto 1988 n. 400 (Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), nella parte in cui sottopone alla deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio dei Stato e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, « le determinazioni concernenti l'annullamento straordinario, a tutela dell'unità dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi delle Regioni e delle Province autonome », con riferimento agli artt. 5, 115, 118, 125, 126 e 134 Cost.   (quest'ultimo anche in relazione all'art. 39 l. 11 marzo 1953 n. 87). Secondo la ricorrente la norma in esame, pur limitandosi in apparenza a ridisciplinare il modo di esercizio del potere di annullamento già previsto dall'art. 6 r.d. 3 marzo 1934 n. 383 (t.u. 1. com. e prov.), avrebbe una portata sostanzialmente innovativa, includendo per la prima volta le Regioni e le Province autonome tra gli enti sottoposti a questo tipo di controllo. Successivamente all'entrata in vigore della Carta repubblicana, infatti, tale inclusione - sostenuta dalla giurisprudenza amministrativa - avrebbe incontrato l'opposizione unanime della dottrina che, vedendo nel potere in questione un mezzo di autotutela, lo avrebbe fatto discendere dalla posizione di supremazia spettante al Governo nell'ambito di un sistema amministrativo concepito come « unitario e monolitico », sistema cui l'amministrazione regionale, in virtù della sua autonomia costituzionale, non potrebbe comunque fare capo.
La ricorrente sostiene inoltre che non esistono nella giurisprudenza di questa Corte precedenti favorevoli all'estensione di tale potere governativo di annullamento anche agli atti delle Regioni e Province autonome. Le sentt. n. 24 del 1957 e n. 23 del 1959 riguarderebbero, infatti, il potere di annullamento nei confronti degli enti minori; la sent. n. 58 del 1959 avrebbe esplicitamente lasciato impregiudicato il problema; la sent. n. 207 del 1971, infine, avrebbe riconosciuto l'applicabilità dell'art. 6 t.u. l. com. e prov. alle Regioni a statuto speciale solo sulla base di una « svista », ossia di un'errata lettura delle citate decisioni del 1957 e del 1959.
A sostegno delle sue censure la ricorrente afferma che la norma impugnata pone in questione « la stessa essenza del sistema autonomistico configurato dalla Costituzione », sistema e funzioni non disponibili se non entro limiti precisi da parte del legislatore ordinario (artt. 5, 115, 117 e 118 Cost.); sulla disciplina costituzionalizzata degli elementi fondamentali di tutti i procedimenti di controllo sull'attività e sugli organi delle Regioni (artt. 125, 126 e 127 Cost.); infine, sulla esclusiva attribuzione alla Corte costituzionale del potere di risolvere i conflitti di legittimità che possono insorgere fra Regione e Stato (artt. 127 e 134 Cost.; art. 39 l. 11 marzo 1953 n, 87).
Alla luce di siffatti princìpi la previsione in via legislativa di un potere di controllo governativo generale e innominato e altresì caratterizzato dalla massima discrezionalità, violerebbe in primo luogo i princìpi di legalità e di riserva di legge che governano i rapporti fra Stato e Regioni; in secondo luogo, svuoterebbe di significato l'articolato strumentario di controlli previsto dalla Costituzione e, in particolare, la competenza della Corte costituzionale in ordine ai conflitti di attribuzione originati da atti amministrativi regionali.
L'esercizio del potere in esame non potrebbe del resto giustificarsi né con la presenza di un obiettivo interesse al ripristino della legalità - dato che il Governo non potrebbe assumere il ruolo di giudice o di controllore fuori dei casi indicati dalla Costituzione -; ne con l'esigenza di far prevalere l'interesse nazionale su quello delle Regioni. In ordine a quest'ultimo punto la ricorrente rileva che la formulazione della norma impugnata legittimerebbe l'uso in funzione politica del potere in esame. Il previsto parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali, infatti, potrebbe configurarsi solo come strumento di ulteriore valutazione non della legittimità dell'atto da annullare, ma dell'interesse politico in nome del quale il Governo intende annullarlo. A questo proposito la ricorrente contesta che il Governo, sia pure previo parere della Commissione parlamentare, possa sovrapporre la propria valutazione politica a quella compiuta dall'amministrazione regionale: detta valutazione potrebbe, infatti, fondarsi solo sull'attribuzione legislativa di poteri specifici, disciplinati in modo da assicurarne la corretta utilizzazione, mentre, anche là dove la Costituzione ammette che la valutazione statale dell'interesse nazionale prevalga definitivamente, non sarebbe in ogni caso il Governo a poter decidere, ma solo il Parlamento (art. 127 comma 4).
2. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, osservando sostanzialmente: che la garanzia costituzionale delle autonomie regionali non può tramutarsi in salvaguardia degli atti amministrativi regionali illegittimi; che la potestà di annullamento straordinario non è riducibile a semplice modalità di « controllo »; che la illegittimità costituzionale di una legge regionale non è « sanata » dall'atto positivo di controllo e può essere rilevata in via incidentale in ogni tempo; che la disposizione sub iudice ha recepito gli insegnamenti dati da questa Corte con la sent. n. 207 del 1971.
Solo in via subordinata il resistente ha rilevato che l'art. 125 comma 1 Cost. non imporrebbe affatto che la potestà di controllo debba esaurirsi irreversibilmente in tempi brevi (ad esempio, i « venti giorni dal ricevimento » previsti dall'art. 45 l. 10 febbraio 1953 n. 62); che non possa aversi, quanto meno in via straordinaria, un intervento demolitorio successivo all'inizio della esecutività dell'atto già controllato; che il controllo non possa prendere forma diversa dall'«annullamento ».
3. In prossimità dell'udienza la Regione Lombardia ha depositato memoria, diffondendosi a esaminare la natura del contestato potere di annullamento straordinario. Le origini e la storia di tale istituto dimostrerebbero che si tratta non di un potere di controllo, ma di amministrazione attiva, tant'è che il suo esercizio risulta condizionato non solo all'asserita illegittimità dell'atto da annullare, ma anche al ricorrere di un interesse pubblico attuale. Tale interesse dovrebbe individuarsi, secondo la ricorrente, nello stesso interesse pubblico che ha presieduto alla formazione dell'atto, fondandosi, di conseguenza, il potere in esame sulla tradizionale concezione dell'« autarchia », secondo cui gli enti pubblici sono « organi indiretti» dello Stato, deputati a curare interessi che non sono esclusivamente propri, ma che rimangono anche interessi dello Stato. Detta concezione contrasterebbe peraltro con la disciplina costituzionale dei rapporti tra Stato e Regioni (o Province autonome), che presuppone la titolarità, in capo a queste, di funzioni e interessi « propri », legittimando di contro eventuali « interferenze » dello Stato solo in funzione del perseguimento di specifici interessi di rilievo nazionale o ultraregionale suscettibili di trovare fondamento in una norma costituzionale.
4. Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria, dove si rileva che l'istituto dell'annullamento straordinario era « diritto vivente » già prima dell'entrata in vigore della disciplina impugnata e che, rispetto al passato e agli stessi princìpi posti dalla giurisprudenza di questa Corte, la norma in contestazione avrebbe il merito di accrescere il livello delle garanzie apprestate a favore dei soggetti di autonomia, grazie alla esplicita attribuzione del potere di annullamento al Governo nella sua collegialità, al specifica indicazione del fine di « tutela dell'unità dell'ordinamento », nonché alla previsione del parere della Commissione parlamentare, chiamata ad apprezzare il profilo dell'« interesse nazionale » rispetto all'annullamento dell'atto illegittimo. Dette garanzie non pregiudicherebbero, d'altro canto, la giurisdizione di questa Corte in ordine agli atti amministrativi regionali invasivi di competenze statali, poiché l'area dell'« invasività » sarebbe, ad avviso del resistente, molto più ristretta dell'area delle residue illegittimità.
Il Presidente del Consiglio - dopo aver individuato il fondamento dell'istituto in esame nel principio di unità della Repubblica (art. 5 Cost.) e nel principio di legalità - fa osservare che la « consolidazione » dell'atto amministrativo illegittimo non è regola generale nel nostro ordinamento, dove peraltro non esiste neppure una « riserva di giurisdizione » per quanto attiene alla rimozione degli atti illegittimi. Ragioni di funzionalità delle funzioni imporrebbero anzi di preferire la rimozione in via amministrativa, evitando di incrementare ulteriormente la « giurisdizionalizzazione » dei conflitti tra amministrazioni, specie quando, come nel caso in esame, essi mal si adattano ai presupposti di legittimità e di interesse caratteristici del processo amministrativo. Rispetto alla disapplicazione l'annullamento governativo costituirebbe, infatti, uno strumento molto più lineare e preciso; rispetto all'ordinario controllo sugli atti esso consentirebbe una valutazione meno frettolosa e sommaria, oltre che estensibile alle ipotesi di illegalità c.d. « sopravvenuta ».
Riguardo alla natura del potere, il resistente nega, infine, che si tratti di controllo (e che quindi possa invocarsi l'art. 125 Cost.), a causa del rilievo che nell'annullamento straordinario, a differenza che negli atti di controllo, assumerebbe l'interesse nazionale « attuale »: interesse che sarebbe dunque distinto e separato rispetto a quello perseguito dall'amministrazione regionale.
 
Considerato in diritto: 1. Forma oggetto d'impugnativa l'art, 2 comma 3 lett. p) l. 23 agosto 1988 n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri) nella parte in cui attribuisce alla competenza del Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di Stato e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, « le determinazioni concernenti l'annullamento straordinario, a tutela dell'unità dell'ordinamento, degli atti amministrativi illegittimi » delle Regioni e delle Province autonome.
Ad avviso della Regione Lombardia tale norma risulterebbe viziata nella legittimità per violazione degli artt. 5, 115, 118, 125, 126 e 134 Cost. (anche in riferimento all'art 39 l. 11 marzo 1953 n. 87), in quanto suscettibile di ledere « la stessa essenza del sistema autonomistico configurato nella Costituzione », incidendo sul « carattere costituzionale » dell'autonomia regionale sancita dall'art. 115 Cost., sia con riferimento all'« attribuzione alle Regioni di poteri e funzioni non disponibili se non entro limiti precisi da parte del legislatore ordinario (artt. 117 e 118 Cost.) », sia con riferimento alla « disciplina costituzionalizzata degli elementi fondamentali di tutti i procedimenti di controllo sull'attività e sugli organi della Regione (artt. 125, 126 e 127) », sia, infine, in relazione all'« esclusiva attribuzione alla Corte costituzionale dei poteri di risoluzione autoritativa dei conflitti di legittimità che possono sorgere fra Regione e Stato-persona, di cui il Governo è portavoce unitario (artt. 134 e 127 Cost.) ». Né il richiamo all'interesse nazionale o ad altri interessi pubblici affidati alla cura dello Stato potrebbe comunque giustificare l'attribuzione allo stesso « di un potere generale e innominato di annullamento degli atti amministrativi » senza limiti di materia o condizioni sostanziali di esercizio: dal che l'asserita violazione anche dei princìpi di legalità e di riserva di legge che regolano i rapporti tra Stato e Regioni.
2. Il ricorso è fondato.
L'annullamento straordinario previsto dalla disposizione impugnata trova il suo antecedente storico diretto nell'art. 6 t.u. l. com. e prov. approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383 (norma, a sua volta, mutuata dall'art. 114 r.d. 30 dicembre 1923 n. 2839, ma già presente nei regolamenti di esecuzione della l. com. e prov. succedutisi dopo il 1865), dove si attribuiva al Governo « la facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d'ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti viziati da incompetenza, eccesso di potere o violazione di leggi e di regolamenti generali o speciali ».
Rispetto a tale precedente formulazione la disciplina in contestazione ha, peraltro, introdotto alcune novità rilevanti: riferendo il potere di annullamento non al Governo genericamente inteso, ma al Consiglio dei Ministri; estendendo esplicitamente la sua applicazione anche agli atti amministrativi delle regioni e delle province autonome; prevedendo, in questo caso, accanto al parere del Consiglio di Stato, anche il parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Questi elementi di novità appaiono sufficienti a escludere la possibilità di configurare la norma impugnata - contrariamente a quanto asserito dalla difesa dello Stato - come meramente ricognitiva o confermativa di una norma preesistente ovvero di un « diritto vivente » già da tempo consolidato.
3. L'esame della giurisprudenza costituzionale in tema di annullamento governativo previsto dall'art. 6 r.d. n. 383 del 1934 concorre, d'altro canto, a convalidare tale indicazione.
Questa Corte, com'è noto, fin dai primi anni della sua attività, si è in più occasioni occupata di tale potere, riconoscendone sia l'esclusiva spettanza al Governo centrale sia la legittimità nel caso in cui venga esercitato, in presenza di un interesse attuale di carattere generale, come strumento d'intervento eccezionale nei confronti degli atti dei Comuni e delle Province (sentt. n. 24 del 1957; n. 23 del 1959; n. 73 del 1960; n. 74 del 1960; n. 128 del 1963; n. 4 del 1966).
La giurisprudenza costituzionale non ha avuto, invece, in passato occasione di affrontare in termini diretti il problema dell'ammissibilità di un potere governativo di annullamento straordinario nei confronti degli atti amministrativi delle Regioni, ordinarie e speciali, e delle Province autonome: di talché tale problema è rimasto sinora, in sede giurisprudenziale, del tutto impregiudicato, mentre è stato esplicitamente risolto, in sede legislativa, solo attraverso la norma di cui è causa, formulata per la prima volta nella l. n. 400 del 1988.
4. Poste tali premesse, ai fini della soluzione della questione, vanno innanzitutto richiamati i princìpi affermati dalla Costituzione a fondamento dell'ordinamento delle autonomie territoriali e che connotano la stessa forma di Stato italiana come « Stato regionale ». A tal proposito, la norma fondamentale - al di là delle enunciazioni più generali tracciate in tema di autonomia e decentramento dall'art 5 Cost. - può essere individuata nell'art. 115 Cost., secondo cui « le Regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri secondo i princìpi fissati nella Costituzione »: norma ben differenziata, nei suoi contenuti, da quella espressa con l'art. 128 Cost., dove si qualificano le Province e i Comuni come « enti autonomi nell'ambito dei princìpi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni ». Tale diversità di formulazione mette, pertanto, in luce la natura costituzionale (o politica) dell'autonomia regionale, nonché l'attribuzione alle stesse Regioni della qualità di soggetti non solo amministrativi, ma costituzionali, investiti tra l'altro di una funzione quale quella legislativa, tradizionalmente riservata, nel modello di Stato liberale a impianto centralista, allo Stato-persona.
La natura costituzionale che risulta conferita all'autonomia regionale comporta, come prima conseguenza, che il complesso sistema delle relazioni tra Stato e Regioni debba trovare la sua base diretto nel tessuto della Costituzione, cui spetta il compito di fissare, in termini conclusi, le stesse dimensioni dell'autonomia, cioè i suoi contenuti ed i suoi confini. L'ulteriore conseguenza sarà che ad ogni potere d'intervento dello Stato, suscettibile d'incidere su tale sfera costituzionalmente garantita, in modo da condizionarne in concreto - così come accade con le forme puntuali del controllo - la misura e la portata, non potrà non corrispondere un fondamento specifico nella stessa disciplina costituzionale.
5. Tale fondamento specifico - nonostante il richiamo espresso nella norma impugnata ad un fine generico di « tutela dell'unità dell'ordinamento » - non può essere reperito per quanto riguarda un potere di annullamento generale, straordinario e svincolato da qualunque limite temporale, quale quello di cui è causa: dal disegno costituzionale scaturiscono, invece, chiare indicazioni contrarie all'ammissibilità di un potere di questo tipo, anche in riferimento alla natura che si intenda riconoscere allo stesso.
Come è noto, su questo punto, diverse sono state le tesi enunciate, tanto in sede scientifica che giurisprudenziale, con riferimento al potere di cui all'art. 6 r.d. n. 383 del 1934: da quelle che hanno individuato in tale potere una forma speciale di controllo sugli atti; a quelle che ne hanno, invece, avvicinato la natura alle forme dell'autotutela e dell'annullamento d'ufficio; a quelle, infine, che, valorizzando al massimo la discrezionalità dell'intervento, hanno ricondotto il potere in parola all'attività di « alta amministrazione » o di « indirizzo politico ». In realtà, il fatto che il potere venga esercitato da un soggetto esterno all'amministrazione che ha posto l'atto da annullare e nei confronti di atti comunque viziati nella legittimità induce a ritenere prevalenti, nella fattispecie, le garanzie della legalità che si ricollegano al controllo di legittimità sugli atti, pur con tutte le connotazioni speciali che tendono ad avvicinare il potere stesso all'amministrazione attiva, in relazione sia alla facoltatività dell'annullamento, sia all'inesistenza di un limite temporale per il suo esercizio, sia all'ampia discrezionalità della valutazione relativa alla presenza di un interesse attuale di carattere generale in grado di giustificare l'intervento straordinario del Governo.
Se così è, il potere in esame non potrà non essere ricondotto alla disciplina del controllo di legittimità sugli atti amministrativi delle Regioni posta dall'art. 125 Cost., disciplina che - al pari di quella espressa sempre in tema di controlli negli artt. 126 e 127 Cost. - viene a presentarsi come tessativa e insuscettibile di estensione da parte del legislatore ordinario, in quanto posta a garanzia di un'autonomia compiutamente definita in sede costituzionale. Da qui l'incompatibilità della disposizione impugnata, dove si prevede un tipo particolare di controllo di legittimità da esercitare in forma accentrata attraverso il Governo, con il contenuto normativo dell'art. 125 Cost., dove s'impone, invece, che il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione avvenga da parte di un organo dello Stato « in forma decentrata ».
6. La conclusione relativa all'incostituzionalità del potere in esame non potrebbe, d'altro canto, essere superata neppure ove s'intendesse collocare il potere stesso fuori dell'ambito di operatività dell'art. 125 Cost., seguendo le diverse tesi che hanno configurato l'annullamento straordinario o come atto di autotutela (legato all'esigenza di preservare l'unità dell'ordinamento amminstrativo) o come atto di « alta amministrazione » (destinato a far prevalere nel conflitto tra interessi locali e centrali, le esigenze connesse all'indirizzo politico nazionale). Nel primo caso, infatti, occorrerebbe muovere dall'accettazione di una visione monolitica dell'amministrazione pubblica - quale quella che risulta sottesa alla stessa possibilità d'impiego degli strumenti di autotutela - visione certamente incompatibile con il disegno pluralista tracciato dalla Carta repubblicana, dove la valutazione anche politica di larga parte degli interessi locali risulta affidata alla competenza delle Regioni e delle Province autonome, con apparati distinti da quelli del Governo e dell'amministrazione centrale; mentre, nel secondo caso, l'incostituzionalità deriverebbe dal fatto della previsione di un intervento limitativo della sfera regionale non d'indirizzo, bensì specifico e puntuale, intervento che - per quanto avallato dal parere non vincolante della Commissione parlamentare per le questioni regionali - si verrebbe pure sempre a configurare come caratterizzato dal massimo della discrezionalità, per il fatto di essere facoltativo e svincolato a qualsivoglia tipizzazione dei contenuti o degli interessi generali da affermare in sede di adozione del provvedimento demolitorio.
7. Sotto qualunque profilo si voglia inquadrare, il potere in questione si presenta, dunque, incostituzionale ove venga esercitato nei confronti delle Regioni, ordinarie e speciali, e delle Province autonome, in quanto incompatibile con la natura stessa della loro autonomia, così come definita nel disegno tracciato dal titolo quinto della parte seconda della Costituzione, derogabile, ma solo in termini più favorevoli, per le autonomie speciali. Tale conclusione non comporta, peraltro, che gli atti amministrativi di tali enti, ove risultino viziati nella legittimità possano godere - una volta superata la soglia dei controlli amministrativi ordinari - di una sorta di immunità da forme di sindacato successive all'inizio della loro efficacia, suscettibili di condurre all'annullamento dell'atto: tale sindacato, com'è noto, si potrà, infatti, pur sempre attivare, oltre che attraverso l'annullamento di ufficio da parte dello stesso ente che ha emesso l'atto, attraverso i comuni strumenti del controllo giurisdizionale e del conflitto di attribuzione da sollevare innanzi a questa Corte, nel rispetto delle forme e dei limiti fissati dalle diverse procedure.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 comma 3 lett. p) l. 23 agosto 1988 n. 400 (Disciplina dell'attività di governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), nella parte in cui prevede l'adozione da parte del Consiglio dei Ministri delle determinazioni concernenti l'annullamento straordinario degli atti amministrativi illegittimi delle Regioni e delle Province autonome.