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Corte costituzionale - Sentenza N. 356 del 21.12.1985
Interventi a sostegno dell'agricoltura - Riparto degli stanziamenti - Parere obbligatorio ma non vincolante del CIPAA

Sentenza (18 dicembre) 21 dicembre 1985, n. 356; Pres. Paladin – Rel. La Pergola
 
Ritenuto in fatto: 1.1 Con ricorso notificato il 5 luglio 1984, la Provincia autonoma di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 16, commi 1 e 2, e 19, comma 2, l. 4 giugno 1984 n. 194, concernente (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 5 giugno 1984), in riferimento agli artt. 8, n. 21, 16 e 78 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670) e relative norme di attuazione.
In particolare, la provincia deduce:
a) l'art. 16, comma 1 stabilisce che, . Alla Provincia ricorrente è assegnata alle Regioni a Statuto speciale e alle Provincie autonome>. Alla Provincia ricorrente è assegnata la somma di lire 18.101 milioni. La riferita disciplina è stata emanata a seguito della sentenza della Corte n. 340 del 1983, con la quale venne dichiarata l'incostituzionalità della l. n. 984 del 1977 per la parte concernente la Regioni Friuli-Venezia della l.n. 984 del 1977 per la parte concernente la Regione Friuli-Venezia-Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano.
Ciò premesso, la ricorrente rileva, anzitutto, che, essendo previsto, per il finanziamento degli interventi di cui alla l. n. 984 del 1977, uno stanziamento complessivo a carico del bilancio dello Stato per il 1984 di lire 1.520 miliardi, applicando a tale importo il parametro popolazione-territorio prescritto dall'art. 78 dello Statuto – pari a 1,425% - sarebbe spettata alla Provincia un'assegnazione di lire 21.660 milioni, superiore quindi di 3.559 milioni a quella dinanzi indicata di lire 18.101 milioni.
L'avventa defalcazione della quota spettante alla ricorrente (sia che dipenda dall'utilizzazione di un parametro inferiore a quello stabilito nello Statuto, sia, invece, dall'applicazione del parametro (corretto) non all'intero stanziamento – 1.520 miliardi – ma a quello ridotto previsto per i soli interventi da attuarsi tramite le Regioni – pari a 1.235.569 miliardi-), ha comunque determinato la violazione dei criteri per la determinazione della quota spettante alla Provincia stabiliti dal già citato art. 78 dello Statuto: anche, infatti, nel caso in cui fosse esatta la seconda ipotesi (come la ricorrente ritiene più probabile) ugualmente risulterebbe violato l'art. 78, là dove stabilisce che la quota di spettanza delle Province autonome deve essere calcolata tenendo conto anche degli stanziamenti previsti dalla legge per gli interventi effettuati direttamente dallo Stato .
L'art. 16, comma 1, violerebbe, inoltre, sempre ad avviso della ricorrente, gli artt. 8 n. 21 e 16 dello Statuto, che riservano alla Provincia le competenze nelle materie oggetto degli interventi della legge censurata, e di nuovo l'art. 78 dello Statuto sotto l'ulteriore profilo del mancato rispetto della procedura ivi prevista a garanzia delle attribuzioni della Provincia, cioè il previo accordo fra il Governo e il Presidente della Giunta provinciale.
b) L'art. 16, comma 2, della legge impugnata stabilisce che la Provincia ricorrente dovrà provvedere .
Sostiene la ricorrente che detta norma, nel prescrivere l'assenso preventivo del CIPAA sul piano provinciale, impone alla Provincia una procedura tramite la quale il Governo possa esercitare una funzione di indirizzo e coordinamento, così violando la sfera di competenza esclusiva della Provincia stessa nella materia in esame, garantita dai citati artt. 8 e 16 dello Statuto: è ampiamente richiamata al riguardo la sentenza della Corte n. 340 del 1983, che dichiarò l'incostituzionalità della l. n. 984 del 1977 e le cui argomentazioni (specie là dove si legge che, quando opera la guarentigia dello Statuto speciale, le esigenze unitarie legittimano l'esercizio dell'indirizzo e del coordinamento solo in presenza di un interesse che deve nettamente configurarsi come insuscettibile di frazionamento o locazione territoriale) debbono necessariamente valere, ad avviso della difesa della Provincia, a far dichiarire l'incostituzionalità anche della normativa in esame.
Va poi considerato, conclude la ricorrente, che l'esigenza di armonizzare gli obiettivi della programmazione regionale con quella nazionale trova già soddisfazione in altre norme legislative che prevedono gli strumenti idonei a tale scopo: l'art. 16 l. 27 febbraio 1967 n. 48 (integrato dall'art. 34 l. 5 agosto 1978 n. 468) stabilisce infatti che il Governo può far valere l'interesse nazionale dell'unitarietà e coerenza degli obiettivi perseguiti attraverso la spesa pubblica in sede di controllo della legge regionale ex art. 127 Cost.
c) L'art. 19, comma 2, infine, che sostituisce l'art. 5 l. 9 maggio 1975 n. 153, stabilisce che < le Regioni, ivi comprese quelle a Statuto speciale, nonché le Province autonome di Trento e Bolzano, potranno apportare all'occorrenza variazioni alla destinazione dei fondi loro assegnati, nell'ambito delle finalità indicate dalla presente legge>. Il vincolo che in tal modo la norma pretende di imporre alla Provincia sarebbe, ad avviso di questa, palesemente incostituzionale, riguardando una materia riservata alla competenza esclusiva della Provincia stessa. Peraltro, la ricorrente ha già dato, in base all'art. 2, comma 2, l. cit. n. 153 del 1975, autonoma e completa attuazione alle direttive CEE nn. 159, 160 e 161 del 1972 con la l. prov. 26 novembre 1976 n. 39, stabilendo anche la destinazione dei fondi in questione. Risultano, quindi, violate non solo la potestà legislativa ed amministrativa della Provincia (artt. 8 n. 21 e 16 dello Statuto), ma anche la autonomia finanziaria provinciale (art. 78 dello Statuto), in quanto spetta alla Provincia programmare gli interventi ed utilizzare le proprie risorse finanziarie nella materia in questione senza vincoli a specifiche destinazioni, secondo il principio generale sancito dall'art. 21 l. 19 maggio 1976 n. 335, che tanto più vale per la Provincia ricorrente, cui la Corte ha riconosciuto (sent. n. 162 del 1982) un'autonomia finanziaria anche più estesa di quella propria delle Regioni a Statuto ordinario.
1.2. Con ricorso notificato il 5 luglio 1984, anche la Provincia autonoma di Bolzano ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 16, commi 1 e 2, e 19, comma 2, l. n. 194 del 1984. Le argomentazioni contenute nel ricorso sono sostanzialmente identiche a quelle svolte dalla Provincia di Trento. Va soltanto rilevato che la ricorrente denuncia  la violazione, oltre che degli artt. 8 n. 21, 16 e 78 dello Statuto, anche degli artt. 3, comma 3; 8, nn. 7, 8, 15 e 16; e 79 dello Statuto stesso, ma senza addurre motivazioni ulteriori.
1.3. Si è costituito in entrambi i giudizi, con unico atto di intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri, per tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che i ricorsi siano rigettati.
a) In primo luogo, l'Avvocatura eccepisce l'infondatezza della censura relativa alla determinazione delle somme assegnate alle Province dall'art. 16, comma 1, impugnato: che tale determinazione sia avvenuta applicando il parametro stabilito ai sensi dell'art. 78 dello Statuto non già all'interno importo del fondo, bensì a quello minore depurato della quota riservata al finanziamento degli interventi di competenza statale è perfettamente legittimo secondo l'Avvocatura, in quanto, trattandosi della ripartizione tra Regioni e Province autonome di un fondo istituito con specifica destinazione, solo tenendo conto esclusivamente del complesso delle somme destinate a finanziare l'esercizio delle funzioni regionali poteva essere garantita la parità di trattamento tra Regioni e Province autonome.
D'altronde, osserva l'Avvocatura, l'art. 78 dello Statuto, là dove afferma che si riferisce chiaramente a quegli interventi statali che interessano tutto il restante territorio nazionale con la sola eccezione del territorio delle due Province, in relazione a specifiche competenze statutarie di queste. Tale non è il caso delle funzioni statali previste dalle lett. c) e g) dell'art. 3 l. n. 984 del 1977, per il finanziamento delle quali l'art. 17, comma 7, della stessa legge prevede stanziamenti, da iscriversi negli stati di previsione delle Amministrazioni dello Stato, di una quota del fondo complessivo stabilito per il finanziamento degli interventi pubblici previsti da quella legge: trattasi, infatti, ad avviso della resistente di interventi che interessano l'intero territorio nazionale, compreso quello delle Province di Trento e Bolzano.
Pure infondata è, prosegue l'Avvocatura, la censura concernente il mancato previo accordo tra il Governo e il Presidente della Giunta provinciale. La norma invocata – l'art. 78 dello Statuto – non sarebbe, infatti, applicabile al caso di specie, trattandosi di un fondo destinato non a finanziare le spese necessarie ad adempiere le funzioni normali delle Province, ma a provvedere a scopi determinati in settori indicati dalla legge, come previsto dall'art. 119 Cost. e dall'art. 9 l. n. 281 del 1970, citato dall'art. 17, comma 7, l. n. 984 del 1977. La fattispecie è quindi disciplinata non dall'art. 78 dello Statuto, ma dall'art. 79, che si limita ad affermare l'applicabilità alle Province autonome dell'art. 119, comma 2, Cost.
b) Anche la censura relativa alla previsione (art. 16, comma 2) dell'assenso preventivo del CIPAA è, ad avviso dell'Avvocatura, infondata, essendo la norma stata dettata proprio al fine di adeguare la normativa della l. n. 984 del 1977 ai principi affermati con la sentenza n. 340 del 1983. È stata così eliminata la capillare e penetrante interferenza della normativa statale nella sfera di autonomia delle due Province autonome e il parere del CIPAA, obbligatorio ma non necessariamente espresso, non costituisce forma di indirizzo e coordinamento ed è comunque giustificato dalle esigenze unitarie della programmazione (sent. n. 20 del 1970).
Per quanto concerne, infine, la censura relativamente all'art. 19, comma 2, l. n. 194 del 1984, l'Avvocatura ne eccepisce innanzitutto la  inammissibilità, in quanto la modifica introdotta all'art. 5 l. n. 153 del 1975 non restringe, ma anzi amplia la sfera di autonoma delle ricorrenti, alle quali è attribuita la facoltà, prima non prevista, di modificare la destinazione dei fondi, sia pure nei limiti delle finalità indicate dalla legge. La censura sarebbe comunque infondata nel merito, in quanto la partecipazione con altre Regioni alla distribuzione di fondi istituiti con una determinata finalità comporta automaticamente il vincolo di destinazione sulla quota del fondo assegnata alla singola Regione o Provincia autonoma.
2.1. Con ricorsi notificati il 3 luglio 1984, le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna hanno sollevato, con identiche argomentazioni, questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, cpv. 1 e 2, 5, 6, 7, 9, 11, commi 1, 2, 4 e 5, 13, comma 1, e 17 l. 4 giugno 1984 n. 194, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 136 Cost., nonché a una serie di disposizioni del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.
In particolare, le Regioni deducono: (): i primi due commi aggiunti, prevedendo l'istituzione di un per la cui attuazione è autorizzata la spesa di un miliardo da iscrivere nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'Agricoltura, lederebbero le competenze regionali, in quanto da un lato il programma previsto esula dalla competenze statali indicate nell'art. 71 lett. a) e c) del d.P.R. n. 616 del 1977 e dall'altro la  è un compito che spetta alle Regioni, ai sensi dell'art. 66, commi 1 e 2, lett. a), del medesimo d.P.R.
b) L'art. 5 autorizza una nuova spesa di 275 miliardi e prevede che la spesa sia iscritta nello stato di previsione del Ministero dell'Agricoltura e sia ripartita con decreto del Ministro dell'agricoltura: tale disciplina, innovativa rispetto a quella dettata dalla citata l. n. 403 del 1977, che prevedeva invece che le risorse confluissero nel fondo per il finanziamento di programmi regionali di sviluppo (e quindi senza vincolo rigido di destinazione) e che al riparto delle stesse provvedesse il CIPE, sarebbe lesiva dell'autonomia programmatoria e di spesa delle Regione, in quanto segna il passaggio da un finanziamento globale e correlato a un processo di programmazione ad uno rigidamente settoriale, svincolato dalla programmazione e interamente governato dall'amministrazione centrale.
c) L'art. 6 prevede la concessione di un concorso nel pagamento degli interessi a favore dei e delle sui mutui contratti ; la determinazione delle condizioni e delle modalità per l'attuazione degli interventi è demandata a un decreto del Ministero del Tesoro di concerto con quello dell'Agricoltura.
La materia cui si riferisce l'intervento in questione è, ad avviso delle ricorrenti, interamente ricompresa nella competenza delle Regioni (artt. 66, commi 1 e 2, lett. b) e c), e 109 d.P.R. n. 616 del 1977), mentre la competenza statale concernente (art. 71, comma 1, lett. h), d.P.R. n. 616 del 1977) riguarderebbe soltanto l'ordinamento i tali associazioni ed unioni e non le attività delle imprese agricole e gli interventi di incentivazione delle stesse.
D'altra parte, la categoria delle  è inesistente e non trova alcun fondamento nella legislazione: pur prevedendo, in fatti l'art. 5 l. n. 403 del 1977 la concessione da parte dello Stato di contributi a favore di cooperative e loro consorzi, detta norma non contempla genericamente una categoria siffatta quale destinataria dei contributi e, inoltre, gli interventi avvenivano con modalità determinate d'intesa tra il Ministero e le Regioni interessate.
d) L'art. 7 autorizza la spesa di 50 miliardi per l'attuazione di interventi ; gli interventi sono quelli previsti dall'art. 5, lett. a), c) e d), l.n. 403 del 1977. Anche tale disposizione viola, ad avviso delle ricorrenti, le competenza regionali sancite negli artt. 66, commi 1 e 2, lett. c), 67, comma 1, 35, 41, comma 2, e 109 d.P.R. n. 616 del 1977.
Né varrebbe a sorreggere tali interventi la competenza statale in tema di associazioni ed unioni nazionali dei produttori in materia di agricoltura e foreste (art. 71, lett. h), del d.P.R. cit.), che, come già detto sub c), riguarda soltanto l'ordinamento di tali associazioni e al più le loro attività di .
Ugualmente, proseguono le ricorrenti, non potrebbe farsi riferimento alla competenza statale in materia di impianti per la raccolta, la conservazione, la lavorazione, la trasformazione e la vendita di prodotti, di cui all'art. 67, commi 1 e 2, d.P.R. n. 616: da un lato infatti tale competenza riguarda appunto i soli impianti , e cioè quelli dell'A.I.M.A., mentre l'art. 5 lett. a) l.n. 403 del 1977 si riferisce ed impianti realizzati e gestiti da cooperative e loro consorzi, (e non ) o , laddove l'art. 67, comma 2, d.P.R. n. 616 attribuisce anche tali ultimi impianti alla competenza regionale; dall'altro, mentre l'art. 67, comma 3, citato, impone che gli interventi statali avvengano « nel quadro della programmazione nazionale » e « sentite le Regioni interessate in relazione alla loro ubicazione », la norma impugnata prevede solo un'intesa con le Regioni per la determinazione delle modalità degli interventi.
Inoltre, sarebbero del tutto fuori delle competenze statali le previsioni (art. 5, lett. c) e d), 1. n. 403 del 1977, richiamato dall'art. 7 impugnato) di contributi « per le attività intese a promuovere e sostenere la cooperazione con iniziative di interesse nazionale » e di contributi sulle spese di gestione per operazioni di raccolta, conservazione, lavorazione, commercializzazione di prodotti, nonché di concorsi negli interessi su prestiti destinati alla conduzione aziendale e alle anticipazioni ai soci conferenti: sarebbero violate non solo la competenza regionale in tema di sostegno alla cooperazione agricola, di formazione e qualificazione professionale degli operatori agricoli e di assistenza aziendale e interaziendale nel settore agricolo e forestale (art. 66, comma 2, lett. a) e c), d.P.R. n. 616 del 1977), ma anche più in generale la competenza in tema di formazione professionale (art. 35 d.P.R. cit.), e il divieto di stanziare somme a favore di soggetti pubblici e privati per finalità inerenti alla attività di istruzione professionale da parte dello Stato, salvo che per attività di studio, ricerca e sperimentazione (art. 41, comma 2, d.P.R. cit.).
e) L'art. 9 autorizza una spesa di 35 miliardi da iscrivere nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'Agricoltura, « per la realizzazione di interventi», fra l'altro, «a sostegno della lotta contro gli incendi boschivi » e « per l'attuazione di un programma di forestazione industriale produttiva di rilevanza nazionale da realizzarsi su suoli demaniali ».

Entrambe dette destinazioni di spesa lederebbero le competenze regionali. Nel primo caso, infatti, facendo la norma riferimento in modo assai generico alla « lotta contro gli incendi boschivi », verrebbe ad incidere sicuramente nella sfera di spettanza regionale delineata dall'art. 69, comma 3, del d.P.R. n. 616.

Per quanto riguarda, poi, il « programma di forestazione industriale produttiva », il legislatore avrebbe sostanzialmente riprodotto la disciplina di cui all'art. 20, comma 3, 1. n. 130 del 1983, già dichiarata illegittima con la sentenza n. 307 del 1983, con violazione, quindi, nel caso specifico, anche dell'art. 136 Cost.

Il fatto, poi, che la legge precisi che il programma è «di rilevanza nazionale » e « da realizzarsi su suoli demaniali » non varrebbe, ad avviso delle ricorrenti, a sanare l'illegittimità della norma.

Da un lato, infatti, le norme di trasferimento delle funzioni (artt. 66, comma 1, 69 e 71 d.P.R. n. 616) non prevedono alcuna riserva statale per interventi « di rilevanza nazionale » nella materia, né la disposizione impugnata inquadra il programma previsto fra gli interventi di competenza nazionale di cui agli artt. 3, lett. c), e 10 1. n. 984 del 1977; dall'altro, il riferimento a « suoli demaniali » è irrilevante, in quanto la competenza regionale prescinde dalla proprietà dei suoli e, inoltre, esistono suoli demaniali di proprietà delle Regioni: in particolare, le foreste dello Stato sono state trasferite al patrimonio indisponibile delle Regioni (artt. 11 l. n. 281 del 1970 e 68 d.P.R. n. 616) e lo Stato ha conservato la proprietà di una piccola parte dei terreni e delle aree boschive, da destinare, peraltro, a «scopi scientifici, sperimentali e didattici di interesse nazionale ».

f) L'art. 11, commi 1 e 2, autorizza una spesa di 30 miliardi « per l'erogazione di contributi a favore delle associazioni provinciali degli allevatori, per la tenuta dei libri genealogici e i controlli funzionali del bestiame, nonché per l'acquisto di attrezzature »; al riparto delle somme provvede il CIPE.

La disposizione, ove sia da intendersi nel senso che il riparto delle somme avvenga a favore direttamente delle associazioni e non fra le Regioni, sarebbe illegittima, violando, per quanto riguarda la tenuta dei libri genealogici e i controlli funzionali sul bestiame, l'art. 77, lett. c), d.P.R. n. 616, e, quanto all'« acquisto di attrezzature », gli artt. 66, commi 1 e 2, lett. b), c), d), e); e 67, comma 1, dello stesso d.P.R.

g) L'art. 11, commi 4 e 5, prevede la concessione di un contributo straordinario nella misura massima di 2 miliardi a favore dell'Associazione nazionale dei consorzi di difesa «per la realizzazione di un progetto di automazione del trattamento dei dati statistici e contabili relativi alle calamità naturali e avversità atmosferiche e alla gestione dei consorzi di difesa di cui all'art. 10 1. 15 ottobre 1981 n. 590 ».

La norma, ad avviso delle ricorrenti, è lesiva della competenza regionale sancita dall'art. 70 d.P.R. n. 616 e ribadita dalla 1. n. 590 del 1981: attraverso l'espediente del finanziamento all'Associazione essa realizza un illegittimo ripristino di attribuzioni statali, in violazione del divieto di cui all'art. 126, comma 3, d.P.R. n. 616.

h) L'art. 13 autorizza una spesa di 10 miliardi « al fine di provvedere, anche in relazione ai maggiori oneri per la revisione dei prezzi, al completamento di impianti di particolare interesse pubblico per la raccolta, conservazione, lavorazione, trasformazione e vendita dei prodotti agricoli e zootecnici, ai sensi dell'art. 10 1. 27 ottobre 1966 n. 910 ».

La materia, come già sostenuto dalle ricorrenti a proposito degli artt. 5 e 7 impugnati, è di competenza regionale, tanto più che nel caso ora all'esame la legge fa riferimento ad impianti « di particolare interesse pubblico » e non « di interesse nazionale ».

Né varrebbe invocare l'esigenza di « completamento » degli impianti : col trasferimento delle competenze alle Regioni sono passate ad esse anche le attribuzioni relative agli affari pendenti (salvo casi particolari: art. 125 d.P.R. n. 616), e quindi tanto più quelle relative a nuovi interventi, sia pur intesi a « completare » gli impianti.

i) L'art. 17, infine, prevede: un'indennità ai produttori che si impegnano ad abbandonare la produzione lattiera, prevista dall'art. 4, comma 1, lett. a) del Regolamento CEE n. 857 del 1984 (comma 1): premi alla nascita dì vitelli previsti dall'art. 4 del Regolamento CEE n. 464 del 1975 e successive modificazioni (comma 2); aiuti al magazzinaggio privato di vini da tavola e di mosti di uve, previsti dagli artt. 7 e 8 del Regolamento CEE n. 337 del 1979 e successive modificazioni (comma 3).
Per quanto riguarda i commi 2 e 3, le Regioni sostengono che, se la generica previsione di stanziamenti significasse l'assunzione da parte dello Stato di compiti di amministrazione, di istruttoria o di erogazione, attualmente spettanti alle Regioni, la norma sarebbe lesiva della competenza regionale, che si estende alle funzioni relative all'applicazione dei regolamenti CEE (art. 6, comma 1, d.P.R. n. 616).
Quanto, infine, all'indennità prevista nel primo comma della norma in esame, le ricorrenti rilevano che essa non è oggetto ancora di una precisa normativa, essendo prevista dal citato Regolamento CEE n. 857 del 1984: in termini generali e come semplice facoltà. Tuttavia, le scelte dei singoli Stati membri spetterebbero alle Regioni, trattandosi di interventi sulla produzione e non sul mercato (artt. 66, commi 1 e 2, lett. e), e 6, comma 1, del d.P.R. n. 616), naturalmente nell'ambito di disposizioni di principio della legge statale.
Viceversa, la norma impugnata sembra compiere direttamente e surrettiziamente le scelte in questione, e, comunque, non prevede il ruolo delle Regioni nella formazione di dette scelte e nella loro esecuzione.

2.2. Si è costituito in entrambi i giudizi con identico atto di intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi.

L'Avvocatura eccepisce, secondo l'ordine delle censure, quanto segue:

a) il programma previsto dall'art. 3 rientra nella competenza riservata allo Stato dall'art. 71, lett. a) e c), del d.P.R. n. 616, riferendosi alle attività di ricerca e di informazione connesse alla programmazione nazionale della produzione agricola ed industriale ed alla ricerca e sperimentazione scientifica di interesse nazionale.
La rilevanza nazionale del programma è confermata dal richiamo al piano agricolo nazionale di cui alla 1. n. 984 del 1977 e al piano bieticolo saccarifero. L'attinenza al settore bieticolo e saccarifero escluderebbe, infine, che le funzioni rientrino interamente nella materia dell'agricoltura, e non anche in quella dell'industria di trasformazione.
b) Le finalità alle quali è destinata la spesa prevista nell'art. 5 censurato sono le stesse già indicate nella l. 403 del 1977; né la semplificazione della procedura di riparto della somma può determinare alcuna lesione di competenze regionali.
c) La determinazione dei destinatari degli interventi previsti dagli artt. 6 e 7 impugnati (consorzi nazionali di cooperative agricole e cooperative agricole di rilevanza nazionale) escluderebbe qualsiasi lesione della competenza regionale, come delimitata dagli artt. 66, comma 2, lett. c) e 71, lett. h), del d.P.R. n. 616: la formula legislativa < associazioni ed unioni nazionali dei produttori> è, ad avviso dell'Avvocatura, comprensiva tanto dei consorzi nazionali di cooperative agricole quanto delle cooperative agricole di rilevanza nazionale, già previsti dall'art. 5, lett. b), l. n. 403 del 1977.
d) Per quanto riguarda l'art. 9, gli interventi a sostegno della lotta contro gli incendi boschivi non incidono sulle competenze trasferite alle Regioni con l'art. 69, comma 3, d.P.R. n. 616, trattandosi di interventi di integrazione e di sostegno degli interventi regionali, riservati allo Stato dallo stesso articolo ora citato e dall'art. 71, lett. f), dello stesso d.P.R. nonché dall'art. 10, comma 3, 1. n. 984: del 1977. Circa il programma di forestazione industriale produttiva, l'Avvocatura nega che la norma riproduca l'art. 20, comma 3, 1. n. 130 del 1983, dichiarato incostituzionale: essa, anzi, eliminerebbe i vizi della precedente normativa precisando che deve trattarsi di un programma di rilevanza nazionale e da realizzarsi su suoli demaniali e cioè di interventi che trascendono l'interesse e la competenza delle singole Regioni.
e) Le censure relative all'art. 11 sono infondate, prosegue l'Avvocatura, in quanto, circa il comma 1, trattasi di materia conservata alla titolarità dello Stato e delegata alle Regioni dall'art. 77, lett. e), d.P.R. n. 616; quanto, poi, ai commi 4 e 5, la natura soggettiva dell'associazione nazionale destinataria dei contributi e la natura oggettiva del progetto finanziario — chiaramente strumentale rispetto, alle funzioni attribuite dall'art. 11 1. n. 590 del 1981 all'organismo di rappresentanza a livello nazionale dei consorzi di difesa — escludono la lamentata invasione di competenze regionali.
f) L'art. 13 censurato ha chiara natura integrativa dell'art. 10, comma 1, 1. n. 910 del 1966: trattasi quindi di intervento riservato allo Stato dall'art. 67, comma 3, d.P.R. n. 616, non sussistendo, peraltro, differenza tra impianti di particolare interesse pubblico e impianti di interesse nazionale, in quanto il comma 5 del citato art. 10 1. n. 910 del 1966 ha esteso la disciplina ivi prevista agli impianti che una legge recedente (n. 454 del 1961, art. 21) aveva definito di interesse nazionale.

g) Nessuna violazione di competenze è ravvisabile, infine, nell'art. 17, che nulla dispone circa i procedimenti da seguire e le competenze da esercitare per l'erogazione dei benefici da esso contemplati.

3. In prossimità dell'udienza pubblica, relativamente a tutti i presenti giudizi, hanno depositato memorie aggiuntive le difese delle Province autonome e delle Regioni ricorrenti, ribadendo, in replica alle dell'Avvocatura dello Stato, le conclusioni adottate. A sua volta l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria aggiuntiva relativamente ai soli giudizi introdotti con i ricorsi delle Province autonome, insistendo nella richiesta declaratoria di infondatezza delle questioni proposte.

4. All'udienza pubblica dell'8 ottobre 1985, il Giudice La Pergola a svolto la relazione e la difesa delle ricorrenti e l'Avvocato dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri hanno ribadito le deduzioni conclusioni già adottate.

 

Considerato in diritto: 1. Com'è spiegato in narrativa, le Province autonome di Trento e Bolzano e le Regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, hanno impugnato varie disposizioni della 1. 4 giugno 1984 n. 194, «Interventi a sostegno dell'agricoltura ». Le ricorrenti lamentano la violazione della sfera di competenza loro garantita, nel primo caso dallo Statuto speciale dì autonomia del Trentino-Alto Adige (e relative norme di attuazione), nel secondo, dagli artt. 117, 118, 119 e 136 Cost., nonché da talune previsioni del d.P.R. 24 luglio 1977 n. 616.

I giudizi -così promossi afferiscono tutti alla normativa contenuta nella legge suddetta e sollevano questioni identiche o connesse. La Corte ritiene, quindi, di poterli riunire e definire congiuntamente, esaminando prima le questioni concernenti l'asserita offesa allo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, poi le altre.

2. Le Province di Bolzano e Trento censurano gli artt. 16, commi 1 e 2, e 19, comma 2, 1. n. 194 del 1984. L'una e l'altra ricorrente deducono la violazione degli artt. 8, nn. 21, 16 e 78 dello Statuto speciale; la Provincia di Bolzano invoca altre disposizioni statutarie (art. 8, nn. 7, 8,15 e 16, e art. 79) senza, tuttavia, ulteriori deduzioni a sostegno dell'impugnativa. Dalle due ricorrenti si prospetta l'indebita interferenza della legge statale in un settore, quello dell'agricoltura, presidiato dall'attribuzione alla Provincia di competenze primarie, sia legislative, già amministrative, nonché dalla specifica guarentigia della sua autonomia finanziaria.

2.1. Vanno anzitutto considerate le questioni che concernono l'art. 16 1. n. 194. Il comma 1 di tale articolo statuisce che «in relazione al piano finanziario dì cui all'art, 17 1. 27 dicembre 1977 n. 984, e a definizione dei rapporti finanziari con le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano, a valere sullo stanziamento di lire 1.520 miliardi destinato all'attuazione nell'anno 1984 degli interventi previsti nella citata 1. n. 984 del 1977, alle Regioni e alle Province autonome è assegnata la complessiva somma di lire 289.852 milioni». Quanto al detto stanziamento, le due Province si dolgono di averne ricevuto una quota inferiore a quella che, in forza dell'art. 78 dello Statuto, sarebbe a ciascuna di esse dovuta. Non importa, si soggiunge dalle ricorrenti, se la determinazione della quota sia nella specie venuta a divergere dallo schema dell'art. 78 dello Statuto, perché si è adottato altro parametro, inferiore a quelli indicati (popolazione, e territorio), o perché si è esclusa dal totale, che è andato suddiviso fra Regioni e Province, la somma riservata, nello stesso stanziamento, agli interventi di competenza dello Stato (cfr. art. 3 lett. c), f), g), 1. n. 984 del 1977). La previsione normativa risulterebbe in ogni caso lesiva del precetto posto nell'art. 78 dello Statuto a garanzia dell'autonomia provinciale: e ciò anche sotto il riflesso, che la quota è stata determinata senza il prescritto accordo fra il Governo e il Presidente della Giunta provinciale. L'Avvocatura Generale ha dal canto suo, negli scritti difensivi e alla udienza pubblica, in varia guisa dedotto che le previsioni dell'art. 78 non trovano applicazione nel caso in esame. Questo preliminare profilo dell'indagine esige un cenno di chiarimento.

2.2. La norma che si assume violata devolve a ciascuna Provincia una quota del gettito, relativo al territorio regionale, dei tributi in essa contemplati: e cioè, l'imposta generale sull'entrata e le imposte sugli affari non indicati nei precedenti articoli (cfr. artt. 70, 75, 76, 77 Statuto) a1 netto delle quote attribuite dalle leggi vigenti alle Province e agli altri enti. Si tratta, quindi, di una quota fissata non direttamente in Statuto, come accade a proposito degli altri tributi richiamati nello stesso art. 78, ma « annualmente d'accordo fra il Governo ed il Presidente della Giunta provinciale ».

L'art. 78 stabilisce altresì secondo quali criteri la quota va determinata. Importa al riguardo la seguente statuizione: «Sarà tenuto conto — a base ai parametri della popolazione e del territorio — anche delle pese per gli interventi generali disposti dallo Stato nella restante parte del territorio nazionale negli stessi settori di competenza delle Province ». Ora, l'autonomia provinciale è certo tutelata, nel senso che la materia è sottratta all'intervento unilaterale degli organi centrali e rimessa all'intesa fra Stato e Provincia. Va però precisato che la garanzia di cui fruisce la Provincia opera esclusivamente nei modi e limiti stabiliti dalla fonte statutaria. La norma invocata in giudizio non individua l'ammontare del gettito erariale riservato all'ente autonomo, e per ciò stesso, non prescrive nemmeno che a quest'ultimo sia attribuita, nel riparto di ogni singolo stanziamento disposto dallo Stato, la quota risultante dall'automatica applicazione dei parametri in essa stabiliti. Dev'essere accordo, appunto, a determinare come i due indici della popolazione del territorio sono presi in considerazione, in rapporto all'intero flusso elle spese disposte per gli interventi di ordine generale e all'arco di tempo, un. anno, cui l'art. 78 fa espresso riferimento. Tale conclusione si impone anche quando, come assumono le ricorrenti, la spesa qui stanziata allo Stato possa annoverarsi fra quelle di cui andrebbe tenuto conto, sempre ai sensi dell'invocato disposto statutario, in sede d'intesa. Nel caso in esame, la Provincia lamenta che l'art. 78 è stato offeso per effetto della puntuale previsione della spesa, che figura nell'art. 16 1. n. 194. La questione non è dedotta, come esigerebbe la norma di raffronto, con riguardo alla determinazione della quota annuale e complessiva del tributo. Basta questo per ritenere che, nei termini in cui è proposta, essa non ha fondamento.

2.3. Oggetto d'impugnazione è anche il comma 2 dell'art. 16 1. n. 194 del 1984, così testualmente concepito: «Le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono con legge alla utilizzazione delle somme di cui al comma precedente, sulla base degli indirizzi di propri piani agricoli, sui quali va sentito il CIPAA». Le emme sono ancora quelle destinate a finanziare gli interventi previsti ella citata 1. n. 194 del 1984. Di questa legge la sentenza n. 340 del 1983 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per la parte in cui la disciplina in essa prevista concerne la Regione Friuli-Venezia Giulia e le Pro-ince autonome di Trento e Bolzano. La Corte ha in quella decisione ritenuto che i dettagliati precetti della legge da ultimo richiamata concretassero un illegittimo esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento, comprimendo senza altri titoli giustificativi la sfera garantita alle ricorrenti nel settore dell'agricoltura. Le Province di Trento e Bolzano deducono che dal medesimo vizio è affetta la disposizione ora all'esame della Corte. La censura va però disattesa. Ammesso pure che, riguardo all'impiego delle somme assegnate a Regioni e Province autonome, sia stato configurato un vero e proprio indirizzo e coordinamento statale, non si tratta certo di alcuna capillare e penetrante interferenza nell'ambito della Provincia, ne di una disciplina comunque incompatibile, alla stregua della sentenza n. 340 del 1983, con il rispetto dello Statuto speciale. Nel presente caso le ricorrenti possono, infatti, utilizzare le somme erogate dallo Stato secondo indirizzi e piani propri. È solo previsto che, prima di adottare i provvedimenti di loro competenza, esse sentano il CIPAA (cfr. artt. 2 e 3 1. n. 984 del 1977); ma a quest'organo spetta, in ordine al piano agricolo dell'ente autonomo, di esprimere, in sostanza, null'altro che un parere, obbligatorio ma non vincolante, che si presume acquisito come favorevole se le « eventuali osservazioni » formulate « non siano comunicate » (alla Provincia o Regione interessata) « entro venti giorni dalla richiesta ». In conclusione, l'autonomia programmatoria e di spesa della Provincia è fatta salva.

2.4. Va infine esaminata la questione che ha per, oggetto il comma 2 dell'art. 19 della legge, emanato in sostituzione dell'art. 5 1. 9 maggio 1975 n. 153. Quest'ultima legge è volta ad attuare direttive del Consiglio della Comunità Europea (cfr. art. 2); il testo originario dell'art. 5, ivi contenuto, recitava: «Gli stanziamenti ripartiti fra le Regioni ed attribuiti alle medesime in conformità degli articoli precedenti» — (cfr. soprattutto art. 4 della stessa 1. n. 153) — « devono figurare nei bilanci regionali in appositi capitoli delle entrate e delle spese con destinazione vincolata agli scopi previsti dagli articoli stessi». La disposizione impugnata nel giudizio attuale prevede che le Regioni, nonché le Province di Trento e Bolzano, possano « apportare, all'occorrenza, variazioni alla destinazione dei fondi loro assegnati, nell'ambito delle finalità indicate dalla (stessa) legge». Il vincolo posto all'impiego dei fondi è contestato dalle due Province sull'assunto che anche in base al testo ora vigente, ne risulti un'illegittima limitazione della sfera di attribuzioni loro spettante, nel programmare gli interventi ed utilizzare le proprie risorse, in materia di agricoltura. Soccorrerebbe in tal senso il disposto dell'art. 21 1. 19 maggio 1976 n. 335 («Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e contabilità delle Regioni»), secondo cui «tutte le somme assegnate a qualsiasi titolo dallo Stato alla Regione confluiscono nel bilancio regionale senza vincolo a specifiche destinazioni ». Il principio così formulato vale, si deduce a maggior ragione nei confronti delle ricorrenti, le quali godono, anche sul versante della spesa, di autonomia differenziata.

La difesa del Presidente del Consiglio eccepisce che la questione è inammissibile, prima ancora che infondata, in quanto, rispetto al regime previgente, quello attualmente censurato amplia le possibilità dì scelta delle Regioni e delle Province autonome. L'eccezione di inammissibilità non può essere accolta. A tacer d'altro, l'impugnativa in esame è proposta proprio per contestare radicalmente il potere dello Stato di fissare la destinazione di somme, che si assume vadano attribuite alla Provincia senza alcun vincolo, comunque configurato. Passando al merito, tuttavia, la Corte ritiene di non dover condividere la tesi avanzata nel ricorso. Ci troviamo di fronte a spese, che lo Stato ha stanziato nel perseguire finalità da cui la Provincia non può, per parte sua, discostarsi. La legge statale è stata, infatti, emanata in adempimento di direttive della CEE; il vincolo gravante sull'utilizzazione del fondo può, allora, ben operare nelle materie riservate alla competenza, anche primaria, delle ricorrenti, perché scaturisce necessariamente dalle esigenze connesse con l'osservanza dell'art. 11 Cost. Del resto, la norma impugnata ha modificato la soluzione in precedenza adottata appunto per abilitare Regioni e Province a variare le singole destinazioni di spesa, fermo restando il solo ed inevitabile onere di non deflettere dalle finalità che l'intera 1. n. 153 del 1975 si prefigge, in attuazione delle direttive comunitarie.

3. Le questioni promosse con i ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia investono altre norme della 1. n. 194 del 1984: gli artt. 3, commi 1 e 3, 5, 6, 7, 9, 11, commi 1, 2, 4 e 5, 13 e 17. È prospettata la violazione degli artt. 117, 118, 119 Cost. nonché, come sarà meglio spiegato, di una serie di articoli del d.P.R. n. 616 del 1977, che starebbero a base delle competenze regionali. Il contenuto delle norme impugnate è vario e le relative censure vanno esaminate distintamente.

3.1. Occorre subito avvertire che talune delle questioni sono inammissibili. Questo in primo luogo, è il caso dell'impugnativa che grava sull'art. 5 della legge. Tale disposizione autorizza una nuova spesa di lire 275 mila milioni « per le finalità di cui all'art. 1 1. n. 403 del 1977 », la quale faceva confluire le risorse nel fondo per i finanziamenti dei programmi regionali di sviluppo, senza vincolo rigido di destinazione, demandando la ripartizione delle stesse al CIPE. La normativa censurata in questa sede vulnererebbe l'autonomia, programmatoria e di spesa della Regione, segnando il passaggio da un finanziamento generale ed inquadrato nel sistema della programmazione ad un intervento rigidamente settoriale e governato dalla sola amministrazione centrale. Ora, il problema posto alla 'Corte tocca semplicemente le modalità di previsione della spesa e la distribuzione delle somme stanziate. Non è dedotto in controversia mentre avrebbe dovuto esserlo, perché il merito della questione fosse dischiuso al sindacato di questo Collegio — se ricada nella sfera non delle attribuzioni statali, ma di quelle regionali, il perseguire le finalità sottostanti alla spesa, a proposito delle quali la disposizione censurata richiama la 1. n. 403 del 1977.

3.2. Inammissibile, come eccepisce l'Avvocatura, è altresì la questione concernente le disposizioni dell'art. 17, in cui si contemplano tre distinti stanziamenti di spesa: al comma 1, un'indennità ai produttori, i quali si impegnano ad abbandonare la produzione lattiera, (cfr. art.4, comma 1, lett. a) del Regolamento CEE n 857 del 1984 e successive modificazioni); al comma 2, un premio alla nascita dei vitelli (cfr. artt. 4 del Regolamento CEE n. 464 del 1975 e successive modificazioni); al comma 3, aiuti al magazzinaggio privato di vini da tavola e di mosti di uve (cfr. artt. 7 e 8 del Regolamento CEE n. 337 del 1979). Tali disposizioni sarebbero illegittime, affermano le stesse ricorrenti, solo in quanto implicassero l'adozione, da parte dello Stato, di misure o scelte, che in ordine all'attuazione delle direttive comunitarie competono alle Regioni (cfr. l'art. 6, comma 1, d.P.R. n. 616 del 1977). Ora, con il testo normativo in esame sono soltanto stanziate le spese occorrenti al pagamento delle indennità e dei premi, ovvero alla corresponsione degli aiuti dovuti ai sensi della normativa comunitaria: ma tale previsione non forma oggetto di censura; nulla è disposto circa i procedimenti e le competenze che vengono in rilievo nell'erogazione delle provvidenze contemplate. Da ciò discende l'inammissibilità della questione.

3.3. Le rimanenti censure vanno esaminate nel merito. Quella che riguarda l'art. 3, commi 1 e 2, della legge è in sostanza così prospettata: la norma impugnata autorizza la spesa di un miliardo, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dell'Agricoltura e Foreste per l'anno 1984, destinata all'attuazione di un programma di ricerca, sperimentazione e divulgazione nel settore bieticolo-saccarifero. Il programma, sul quale vanno sentite le Regioni, deve essere conforme agli obiettivi indicati dal piano agricolo nazionale, qual è previsto nella 1. n. 984 del 1977. Il motivo di ricorso è duplice: per un verso, il programma i al quale si riferisce il finanziamento esulerebbe dalle competenze riservate allo Stato a norma dell'art. 71, lett. a), d.P.R. n. 616 del 1977, le quali, si deduce, concernono l'informazione e la ricerca connesse con la programmazione nazionale, laddove questo nesso difetterebbe nella specie; per altro verso, la divulgazione, che figura fra gli scopi del finanziamento, ricadrebbe nella sfera di attribuzioni della Regione in base al comma 2, lett. a), dell'art. 66 d.P.R. n. 616 del 1977. La questione non merita accoglimento. La previsione del programma in parola è coperta dall'art. 71 del d.P.R. n. 616. Questa disposizione riserva allo lato le attività di ricerca ed informazione connesse alla programmazione nazionale della produzione agricola e forestale (lett. a) e la ricerca e sperimentazione scientifica di interesse nazionale, sempre in materia di produzione agricola e forestale (lett. c). II legislatore non ha, d'altronde, mancato di disporre che il programma anzidetto si conformi al piano agricolo nazionale adottato ai sensi della 1. n. 984 del 1977, nonché al piano bieticolo e saccarifero. Diversamente da come si assume nel ricorso, il finanziamento disposto dalla legge censurata si inserisce nel quadro della programmazione ed abbraccia materie di interesse nazionale nel settore produttivo qui considerato. La divulgazione del programma rimane, poi, entro l'ambito riservato allo Stato; essa ha chiaro carattere strumentale rispetto alla ricerca e alla sperimentazione affidata alla cura degli organi centrali, dal momento che serve alla conoscenza ed illustrazione del programma finanziato e dei relativi risultati.

3.4. L'art. 6 della legge è impugnato perché gli interventi ivi previsti si riferirebbero a materie « interamente ricomprese » nella competenza delle Regioni. Le disposizioni in. esame prevedono la concessione di un concorso nel pagamento degli interessi, a favore dei « consorzi nazionali di cooperative agricole » e delle « cooperative agricole di rilevanza nazionale », sui mutui contratti « per il coordinamento e lo sviluppo dei consorzi e delle cooperative medesime ». I mutui anzidetti sono considerati operazioni di credito agrario di miglioramento. La difesa delle ricorrenti oppone che il d.P.R. n. 616 del 1977 ha trasferito alle Regioni le funzioni concernenti il miglioramento fondiario (art. 66, comma 2, lett. b), l'incentivazione ed il sostegno della cooperazione e delle strutture associative per la coltivazione, la lavorazione ed il commercio dei prodotti agricoli (art. 66, comma 2, lett. c), gli interventi di agevolazione dell'accesso al credito (art. 109 d.P.R. n. 616) oltre che, più in. generale, le funzioni riguardanti «i soggetti singoli ed associati» che operano in agricoltura, e gli interventi a favore dell'impresa e della proprietà agraria singola ed associata (art. 66, comma 1, d.P.R. n. 616). In particolare, il ricorso investe la disposizione secondo cui il concorso nel pagamento degli interessi sui mutui previsti nell'ari. 6 può essere concesso anche a favore di una categoria di cooperative agricole, quelle di rilevanza nazionale, che sarebbe priva di fondamento nella (precedente) legislazione e artificiosamente introdotta per attrarre nella sfera statale funzioni invece assegnate alle Regioni, sotto il capo VIII del d.P.R. n. 616, grazie soprattutto alla specifica previsione dell'art. 66, comma 2, lett. c). Va d'altra parte osservato che l'art. 71 d.P.R. n. 616 annovera alla lett. h), fra le materie spettanti allo Stato, «le associazioni ed unioni nazionali di produttori » nel settore agricolo. Questa, per vero, è un'ampia formula di attribuzione, e secondo la difesa del Presidente del Consiglio vale da sola a giustificare la norma impugnata.

Ma è da precisare che la « rilevanza » delle cooperative agricole, a favore delle quali è previsto il concorso nel pagamento degli interessi, deve essere intesa nel senso di « dimensione » nazionale. Una volta che la categoria dei beneficiari è così configurata, la sua definizione esce indenne dai rilievi delle ricorrenti e risulta coerente con gli orientamenti seguiti dal legislatore nel disegnare, sotto il profilo che interessa ai fini della presente indagine, il campo delle funzioni statali. Depongono in questo senso i dati del sistema normativo, con cui le disposizioni invocate in giudizio vanno coordinate dall'interprete. Risalendo alla normativa coeva al d.P.R. n. 616, s'incontra— va precisato — la 1. 1° luglio del 1977 n. 403 («Provvedimenti per il finanziamento dell'attività agricola nelle Regioni»), nella quale è previsto uno stanziamento per i contributi a sostegno di talune iniziative delle cooperative e dei relativi consorzi (cfr. art. 5, comma 1, lett. b), aventi, le une e gli altri, « dimensione nazionale o interregionale ». La rilevanza che si annette alla cooperazione è sempre qualificata dalla dimensione nazionale, o comunque ultraregionale, del fenomeno: l'intervento statale non si estende ad interessi localizzati nel solo àmbito dell'ente autonomo. Il che risulta confermato anche dall'art. 7 della stessa 1. n. 191. Quest'ultima norma autorizza una spesa di 50 miliardi (da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dell'Agricoltura e Foreste) per gli interventi a sostegno della cooperazione agricola, anche qui, di rilevanza nazionale; essa chiarisce, però, che gli interventi da attuare sono quelli previsti dall'art. 5 lett. a), c) e d) della citata 1. n. 403 del 1977. Risulta così che le attività agevolate, in relazione alle cooperative, ai loro consorzi e agli organismi associativi costituiti fra produttori agricoli, sono quelle dirette a costituire, sviluppare e gestire impianti di raccolta, lavorazione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, i quali debbono, ancora una volta, rivestire «dimensione» nazionale od interregionale. Vero è che l'impugnativa coinvolge la norma di richiamo testé accennata, anzitutto il disposto dell'art. 7, in buona sostanza per gli stessi motivi che le ricorrenti fan valere a proposito dell'art. 6. Ma le considerazioni di seguilo esposte dimostrano che anche la censura dell'art. 7 non è fondata.

3.5. La spesa autorizzata nell'art. 7 si riferisce, come or ora si osservava, agli interventi statali già previsti dalla 1. n. 403 del 1977, i quali vengono, dunque, rifinanziati. A parte ciò, non è corretto l'assunto delle ricorrenti, secondo cui la materia è loro « interamente » rimessa. Le contestate destinazioni di spesa incidono su settori che, alla stregua dello stesso d.P.R. n. 616, risultano sotto taluni aspetti attribuiti allo Stato, sotto altri alla Regione (cfr., oltre l'art. 71 lett. h), l'art. 67, commi 1 e 3, che concernono gli impianti in materia di prodotti agricoli). Ricorrendo gli estremi testé descritti, va fatta qualche precisazione di ordine generale. La legge statale non è lesiva delle attribuzioni trasferite alle Regioni, quando contempla finalità acquisite alla competenza degli organi centrali in base alla pregressa normativa e le persegue razionalmente dal canto suo. Così accade nella specie: le forme di cooperazione agricola agevolate, prima con la 1. n. 403 del 1977 e poi con. quella che contiene la norma in esame, travalicano, per via della loro dimensione, il livello della singola Regione e ricadono oggettivamente — quanto al vincolo posto all'utilizzazione delle somme erogate — nella sfera degli apprezzamenti riservati agli organi centrali. Altro titolo giustificativo dell'intervento statale, ad avviso della Corte, risiede in ciò: deve essere previsto il riparto delle somme erogate tra le Regioni, con il risultato che ciascuna di esse ne concreta l'impiego nel proprio àmbito, sempre, beninteso, secondo la destinazione fissata con la previsione dello stanziamento. Questo criterio va enunciato a salvaguardia del decentramento nel regime della spesa. Resta da appurare se esso è soddisfatto ai fini del giudizio attuale. Ora, il comma 2 dell'art. 7, rinvia, per quanto riguarda l'attuazione degli interventi finanziati in base al comma 1, alle procedure e modalità stabilite ai commi 2 e 3 dell'art. 5 1. n. 403 del 1977. Le norme richiamate dispongono, a loro volta, che al riparto delle somme stanziate provvede il Ministro per l'Agricoltura e Foreste, sentite la Commissione interregionale prevista dall'art. 13 1. 16 maggio 1970 n. 281, e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano regionale. Dal sistema della 1. n. 403 si ricava che i fondi stanziati sono ripartiti fra Regioni e Province autonome, anche se ciò non è esplicitamente detto nelle disposizioni, cui la norma censurata fa puntuale rinvio. Ecco un'altra e decisiva ragione per escludere la fondatezza della questione.

3.6. I rilievi testé svolti giovano all'esame delle residue questioni. Le censure ancora da considerare cadono sugli artt. 9, 11, commi 1 2 4 e 5, 13, comma 1, 1. n. 194, i quali prevedono stanziamenti di vario importo e ne stabiliscono la destinazione. Occorre ritenere — eccezion fatta per le previsioni dei commi 4 e 5 dell'art. 11 — che anche queste norme prescrivano, sebbene non lo abbiano espressamente previsto, il riparto delle somme stanziate tra le Regioni (e le Province autonome). L'interpretazione va accolta per adeguare la normativa denunciata alle esigenze del decentramento in tema di spesa, secondo il criterio die la Corte ha sopra formulato. Detto ciò, resta assorbita la questione di legittimità dei commi 1 e 2 dell'art. 11, proposta solo per il motivo che si considera con questo punto della decisione: e cioè, per il fatto che ne l'una ne l'altra delle denunziate disposizioni stabiliscono se il contributo previsto (per la tenuta dei libri genealogici, i controlli funzionali del bestiame e l'acquisto di attrezzature), vada erogato, in conformità della procedura prevista dal comma 2, alle associazioni provinciali degli allevatori direttamente, ovvero — come si chiede nel ricorso — per il tramite delle Regioni (e delle Province autonome). Tolto il comune profilo della mancata previsione del riparto del fondo fra le Regioni, alla quale rimedia la soluzione interpretativa dinanzi accolta, le altre questioni all'esame della Corte non meritano accoglimento. Sovvengono in proposito le osservazioni seguenti.

3.7. L'art. 9 autorizza la spesa di 35 miliardi, da iscriversi nello stato di previsione del Ministero dell'Agricoltura e Foreste. La somma è destinata alla lotta contro gli incendi boschivi e all'attuazione di un programma di forestazione produttiva di rilevanza nazionale, su suoli demaniali e secondo le linee e gli obiettivi indicati dal piano agricolo ai sensi della 1. n. 984 del 1977. Queste previsioni confliggerebbero con Pari. 69, .comma 3, d.P.R. n. 616, che trasferisce alle Regioni le funzioni di cui alla 1. 1° marzo 1975 n. 47 («Norme integrative per la difesa dei boschi dagli incendi ») e demanda ad esse la costituzione di servizi antincendi boschivi. Il fatto è, tuttavia, che lo stesso comma 3 dell'art. 69 lascia ferme le competenze dello Stato in ordine all'organizzazione e gestione, d'intesa con le Regioni, di taluni servizi e modalità nell'estinzione degli incendi, mentre in via generale è riservata allo Stato la determinazione delle spese e dei mezzi di protezione ed i servizi antincendi : sotto questo profilo, la contestata destinazione della spesa è allora 'coperta dalle attribuzioni statali. Altrettanto deve dirsi con riguardo al programma di forestazione. Le ricorrenti denunziano qui il « palese » intento del legislatore di riprodurre le disposizioni di altra legge (art. 20, comma 3, 1. n. 130 del 1983) già dichiarate illegittime (con la sentenza n. 307 del 1983) per aver stanziato spese dirette alla realizzazione di progetti di forestazione industriale produttiva, che la Corte ha ritenuto competere alle Regioni e non al Ministero dell'Agricoltura. L'asserita inosservanza della pronunzia sopra richiamata implicherebbe che la norma impugnata vulnera altresì il precetto dell'art. 136 Cost.

Ora, la sentenza n. 307 del 1983 ha dichiarato l'illegittimità del disposto della 1. n. 130 del 1983, in relazione ad un caso di specie, in cui — come è detto al n. 21 della parte motiva, in quella stessa pronunzia — la norma oggetto del sindacato non prevedeva alcun collegamento programmatico ed operativo a livello nazionale, che potesse giustificare l'intervento dello Stato in base al perseguimento di finalità ed interessi trascendenti la sfera della singola Regione. Come deduce l'Avvocatura, la norma che si impugna in questa sede non è inficiata da tale vizio. Essa dispone che il programma di forestazione deve conformarsi al piano agricolo contemplato dalla 1. n. 984 del 1977 per coordinare i piani regionali del settore; e con ciò, precisamente, il legislatore ha adempiuto al requisito, non soddisfatto dalla disposizione annullata con la sentenza n. 307 del 1983, del collegamento programmatico ed operativo a livello nazionale, che deve presiedere all'utilizzazione del fondo istituito.

3.8. I commi 4 e 5 dell'art. 11 prevedono la concessione di un contributo straordinario, nella misura massima di lire due miliardi, a favore dell'Associazione nazionale dei Consorzi di difesa per la realizzazione di un progetto di automazione del trattamento dei dati statistici e contabili relativi alle calamità naturali e alla gestione dei consorzi di difesa di cui all'art. 10 1. 15 ottobre 1981 n. 590. La materia sulla quale verte la destinazione di spesa sarebbe trasferita alle Regioni in forza dell'art. 70 d.P.R. n. 616 del 1977. Così non è, tuttavia. Se si guarda, nel sistema del d.P.R. n. 616, sia alla disciplina appositamente dettata nell'art. 70 sotto la rubrica «calamità naturali», sia alla lett. e) dell'art. 71 lo Stato mantiene competenze, rispetto alle quali l'automazione dei dati statistici e contabili sorretta dal finanziamento è strumentalmente collegata. A ciò sì aggiunge che le disposizioni introdotte nella 1. 15 ottobre 1981 n. 590 (« Nuove norme per il fondo di solidarietà nazionale ») configurano un organismo di rappresentanza dei consorzi per la difesa attiva e passiva delle produzioni agricole, che opera esclusivamente a livello nazionale. Questo è un ulteriore ed idoneo punto di appoggio del controverso intervento statale.

3.9. L'art. 13 è impugnato per aver autorizzato la spesa di 10 miliardi, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste, al fine di provvedere, anche in relazione ai maggiori oneri per la revisione dei prezzi, al completamento degli impianti di particolare interesse pubblico per la raccolta ed altre attività od operazioni concernenti i prodotti agricoli e zootecnici, ai sensi dell'art. 10 1. n. 910 del 1966. Le ricorrenti deducono che la materia degli impianti è stata trasferita alle Regioni, anche con riguardo agli affari pendenti, in forza dell'art. 67 d.P.R. n. 616, eccezion fatta per i soli impianti di interesse nazionale. Il completamento degli impianti, per il quale la spesa è disposta, sarebbe stato illegittimamente previsto per ripristinare le competenze dello Stato ed estenderle, addirittura, oltre i limiti a suo tempo consentiti dalla, 1. n. 910 del 1966, che la disposizione impugnata richiama. L'art. 10 1. n. 910, si soggiunge, trattava come distinte categorie gli impianti di interesse nazionale e quelli di particolare interesse pubblico: mentre lo stanziamento dedotto in questione si riferisce indifferentemente a qualsiasi impianto, purché di particolare interesse pubblico. L'Avvocatura osserva, dal canto suo, che la disposizione impugnata ha natura di norma transitoria ed integra la precedente previsione di legge, con la quale, nel 1966, il Ministro dell'Agricoltura e Foreste era stato autorizzato a realizzare gli impianti, di cui è ora finanziato il completamento. Del resto, la norma in questione è ricondotta dalla difesa del Presidente del Consiglio sotto l'ipotesi del comma 3 dell'art. 67 d.P.R. n. 616. Ivi è infatti previsto che gli impianti di interesse nazionale competono allo Stato., Lo stesso, ritiene L'Avvocatura, deve dirsi per gli impianti di particolare interesse pubblico assistiti dal finanziamento: e questo perché l'art. 10 1. n. 910 del 1966, richiamato nell'autorizzazione di spesa, lungi dal distinguere le due categorie di impianti, come afferma la Regione, le ha, invece, espressamente assoggettate allo stesso regime.

Ad avviso di questo Collegio, l'intervento dello Stato si giustifica in quanto il particolare interesse pubblico preso in considerazione dalla legge di spesa, se non coincide senza residui, certo viene qui, per il suo rilievo, a connettersi strettamente con l'interesse nazionale alla realizzazione degli impianti, che servono alla raccolta, conservazione, lavorazione e trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici. Il richiamo della disciplina dettata nella 1. del 1966 è fatto nell'implicito ma chiaro presupposto che l'attività finanziata eccede ambito delle scelte istituzionalmente rimesse alla Regione. Così atteggiandosi la specie, la destinazione della spesa resiste alle censure in esame; essa trova il supporto delle anteriori disposizioni di legge, richiamate dal legislatore nel configurarla e non offende d'altra parte i criteri enunciati, con la presente decisione (v. sopra n. 3.5), in punto di razionalità e conformità dello stanziamento statale alle esigenze costituzionali del decentramento, imponendosi ancora una volta il riparto fra le Regioni delle somme in questione.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) Dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 16, commi 1 e 2, e 19, comma 2, l. 4 giugno 1984 n. 194 (« Interventi a sostegno dell'agricoltura ), sollevate con i ricorsi in epigrafe dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in riferimento agli artt. 3, comma 3: 8 nn. 7, 8, 15, 16 e 21; 16, 78 e 79 dello Statuto-speciale per il Trentino-Alto Adige;
b) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 17 1. 4 giugno 1984 n. 194 (« Interventi a sostegno dell'agricoltura), sollevate con i ricorsi in epigrafe dalle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost.;
c) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, commi 1 e 2, 6, 11, commi 4 e 5 l. 4 giugno 1984 n. 194 sollevate con i ricorsi in epigrafe dalle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 136 Cost.
d) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, 9, 11, commi 1 e 2, e 13, comma 1, l. 4 giugno 1984 n. 194, sollevate con i ricorsi in epigrafe dalle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia, in riferimento agli artt. 117, 118, 119 e 136 Cost.
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