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Corte costituzionale - sentenza del 7 marzo 2018, n. 101
Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017) - contabilità delle regioni e degli enti pubblici - principio dell'accordo

Sentenza 7 marzo 2018 (17 maggio 2018), n. 101 Pres. Lattanzi, Red. Carosi

 

Ritenuto in fatto 1.– La Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso spedito per la notificazione il 17 febbraio 2017 e depositato il 23 febbraio 2017, iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2017, ha proposto, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475, lettere a) e b), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), in riferimento agli artt. 79, commi 1, 3 e 4, 80, 81 103, 104 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige/Südtirol); agli artt. 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale); al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento»); agli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., all’art. 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), all’art. 120 Cost., con riferimento al principio di leale collaborazione e all’accordo del 15 ottobre 2014 recepito con la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)»; nonché all’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), in relazione all’art. 81 Cost. e alla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale).

1.1.– Premette la ricorrente che, in forza del Titolo VI dello statuto reg. Trentino-Alto Adige/Südtirol, la Provincia autonoma di Bolzano gode di una particolare autonomia in materia finanziaria, sistema rafforzato dalla previsione di un meccanismo peculiare per la modificazione delle disposizioni recate dal medesimo Titolo VI, che ammette l’intervento del legislatore statale con legge ordinaria solo in presenza di una preventiva intesa con la Regione e le Province autonome, in applicazione dell’art. 104 dello statuto medesimo.

La Provincia autonoma di Bolzano richiama il cosiddetto Accordo di Milano del 2009, siglato a Milano il 30 novembre 2009, con il quale la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno concordato con il Governo la modificazione del Titolo VI dello statuto speciale, secondo la procedura rinforzata prevista dal predetto art. 104. Tale intesa ha portato, ai sensi dell’art. 2, commi da 106 a 126, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», a un nuovo sistema di relazioni finanziarie con lo Stato, anche in attuazione del processo di riforma in senso federalista contenuto nella legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione). La ricorrente rammenta che, successivamente, è intervenuto l’accordo del 15 ottobre 2014 (cosiddetto “Patto di Garanzia”), sempre tra lo Stato, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, il quale ha portato a ulteriori modifiche del Titolo VI dello statuto di autonomia, sempre secondo la procedura rinforzata prevista dall’art. l04 del medesimo statuto. Tale ultima intesa, recepita con la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», ha, quindi, ulteriormente innovato, ai sensi dell’art. l, commi da 407 a 413, della medesima legge, il sistema di relazioni finanziarie con lo Stato.

La Provincia autonoma di Bolzano evidenzia che il quadro statutario in materia finanziaria (sono richiamati in particolare gli artt. 79, 80 ed 81 dello statuto speciale) si caratterizza, tra l’altro, per la previsione espressa di una disposizione volta a disciplinare il concorso della Regione e delle Province autonome al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, di perequazione e di solidarietà e all’esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti, nonché all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

È previsto espressamente che siano la Regione e le Province autonome a provvedere, per sé e per gli enti del sistema territoriale regionale integrato di rispettiva competenza, alle finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando, ai sensi dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, nelle materie individuate dallo statuto, adottando, conseguentemente, autonome misure di razionalizzazione e contenimento della spesa, anche orientate alla riduzione del debito pubblico, idonee ad assicurare il rispetto delle dinamiche della spesa aggregata delle amministrazioni pubbliche del territorio nazionale, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, per cui non si applicano le misure adottate per le Regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale.

La ricorrente rammenta, inoltre, che il regime dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali è dominato dal principio dell’accordo e dal principio di consensualità (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 28 del 2016, n. 133 del 2010, n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 98 del 2000 e n. 39 del 1984), definito, per quanto riguarda la Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano, dagli artt. 103, 104 e 107 dello statuto speciale, sicché la previsione di una disciplina statale immediatamente e direttamente applicabile nel territorio provinciale si porrebbe in contrasto con l’art. 107 dello statuto e con il principio di leale collaborazione, in quanto determinerebbe una modificazione unilaterale da parte dello Stato dell’ordinamento provinciale.

La ricorrente osserva che, se nelle materie attribuite alla competenza delle Province autonome, l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, nel disciplinare il rapporto con l’ordinamento statale, prevede a loro carico un onere di adeguamento della propria legislazione alle norme statali costituenti limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale – limiti da individuarsi, per le materie di competenza esclusiva, nelle disposizioni qualificabili norme fondamentali di riforma economica e sociale, e, per le materie di competenza concorrente, nelle disposizioni qualificabili come principi – nondimeno tanto non potrebbe significare che le norme statali debbano essere assunte tali e quali e, nelle more dell’adeguamento, resterebbero applicabili quelle provinciali, per cui la disciplina statale nemmeno potrebbe trovare immeditata applicazione.

La ricorrente evidenzia che, sebbene l’art. 1, comma 638, della legge n. 232 del 2016 ne disponga l’applicazione alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, nondimeno, l’art. l della legge n. 232 del 2016 recherebbe alcune disposizioni che o parrebbero essere destinate ad applicarsi alla ricorrente Provincia, in quanto includono espressamente le Province autonome di Trento e di Bolzano tra i propri destinatari, senza essere state preventivamente concordate; oppure, in modo indiretto, sarebbero destinate a produrre effetti nei suoi confronti, rendendo ardua un’interpretazione adeguatrice al fine di renderle compatibili con l’ordinamento statutario (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 228 del 2013 e n. 412 del 2004), vanificando così la predetta clausola di salvaguardia con la propria formulazione testuale.

1.2.– Tanto premesso, la Provincia autonoma di Bolzano deduce anzitutto l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475, lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016. Tale comma così dispone: «Ai sensi dell’articolo 9, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, in caso di mancato conseguimento del saldo di cui al comma 466 del presente articolo: a) l’ente locale è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato […]. Gli enti locali delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti erogati dalle medesime regioni o province autonome in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato. Le riduzioni di cui ai precedenti periodi assicurano il recupero di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, e sono applicate nel triennio successivo a quello di inadempienza in quote costanti. In caso di incapienza, per uno o più anni del triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota annuale, entro l’anno di competenza delle medesime quote, presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato, al capo X dell’entrata del bilancio dello Stato, al capitolo 3509, articolo 2. In caso di mancato versamento delle predette somme residue nell’anno successivo, il recupero è operato con le procedure di cui ai commi 128 e 129 dell’articolo l della legge 24 dicembre 2012, n. 228; b) nel triennio successivo la regione o la provincia autonoma è tenuta ad effettuare un versamento all’entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente a un terzo dello scostamento registrato, che assicura il recupero di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243. Il versamento è effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno del triennio successivo a quello di inadempienza. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale; c) nell’anno successivo a quello di inadempienza l’ente non può impegnare spese correnti, per le regioni al netto delle spese per la sanità, in misura superiore all’importo dei corrispondenti impegni dell’anno precedente ridotti dell’l per cento [...]; d) nell’anno successivo a quello di inadempienza l’ente non può ricorrere all’indebitamento per gli investimenti. Per le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, restano esclusi i mutui già autorizzati e non ancora contratti. I mutui e i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni creditizie o finanziarie per il finanziamento degli investimenti o le aperture di linee di credito devono essere corredati di apposita attestazione da cui risulti il rispetto del saldo di cui al comma 466. L’istituto finanziatore o l’intermediario finanziario non può procedere al finanziamento o al collocamento del prestito in assenza della predetta attestazione; e) nell’anno successivo a quello di inadempienza l’ente non può procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, compresi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. È fatto altresì divieto agli enti di stipulare contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della presente disposizione. Le regioni, le città metropolitane e i comuni possono comunque procedere ad assunzioni di personale a tempo determinato, con contratti di durata massima fino al 31 dicembre del medesimo esercizio, necessari a garantire l’esercizio delle funzioni di protezione civile, di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale nel rispetto del limite di spesa di cui al primo periodo del comma 28 dell’articolo 9 del decreto- legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; f) nell’anno successivo a quello di inadempienza, il presidente, il sindaco e i componenti della giunta in carica nell’esercizio in cui è avvenuta la violazione sono tenuti a versare al bilancio dell’ente il 30 per cento delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza spettanti nell’esercizio della violazione».

Detto comma, con il richiamo all’art. 9, comma 4, della legge n. 243 del 2012, introduce misure sanzionatorie in caso di mancato conseguimento del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali.

Limitatamente a quanto di interesse delle Province autonome di Trento e di Bolzano, la ricorrente evidenzia come alla lettera a) si preveda che in tal caso i Comuni che ricadono nel territorio delle due Province autonome sono assoggettati a una riduzione dei trasferimenti correnti erogati dalle medesime in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato e che tali riduzioni assicurano il recupero di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012 e sono applicate nel triennio successivo a quello di inadempienza in quote costanti. In caso di incapienza, per uno o più anni del triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota annuale, entro l’anno di competenza delle medesime quote. In caso di mancato versamento delle predette somme residue nell’anno successivo, il recupero è operato con le procedure di cui ai commi 128 e 129 dell’art. l della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)». Queste ultime disposizioni prevedono compensazioni a regime tra debiti degli enti locali nei confronti del Ministero dell’interno e assegnazioni ministeriali, anche mediante trattenimento sulle somme a essi spettanti a titolo di imposta municipale propria (IMU).

Quindi, con esplicito riferimento alle Province autonome, la norma in questione disciplina le conseguenze del mancato conseguimento del «saldo non negativo» da parte dei Comuni, nell’ambito della norma dettata in generale per le Regioni a statuto ordinario e gli enti locali delle medesime, introducendo una disciplina specifica per la Regione Siciliana e la Regione autonoma della Sardegna, nonché per le autonomie speciali che hanno competenza in materia di finanza locale (Regione autonoma Valle d’Aosta, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e Province autonome di Trento e di Bolzano).

L’art. 1, comma 475, lettera b), della legge n. 232 del 2016 prevede inoltre che nel triennio successivo la competente Provincia autonoma è tenuta a effettuare un versamento all’entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente a un terzo dello scostamento registrato, che assicura il recupero di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012, versamento che deve essere effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno del triennio successivo a quello di inadempienza. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale.

La Provincia autonoma di Bolzano sostiene che le predette disposizioni interferirebbero in modo evidente con l’assetto dei rapporti finanziari intercorrenti tra le Province autonome e lo Stato, che comprende anche la finanza dei Comuni dei rispettivi territori, come disciplinato nello statuto di autonomia, anche a seguito del citato Patto di Garanzia del 15 ottobre 2014 e delle conseguenti modificazioni statutarie intervenute.

Secondo la ricorrente, sebbene il legislatore statale qualifichi le disposizioni di cui ai commi da 463 a 484 dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016 – e, quindi, anche il comma 475 – come «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi degli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione», le norme di cui al comma 475, lettere a) e b), avrebbero un contenuto immediatamente precettivo, di diretta applicazione, pur essendo incompatibili con l’ordinamento statutario delle Province autonome. Esse, pertanto, si porrebbero in contrasto con il comma 483 dello medesimo art. l, il quale prevede espressamente che, per le Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige/Südtirol, nonché per le Province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 e che resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’art. 1, commi 454 e seguenti, della legge n. 228 del 2012, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato; inoltre, secondo la ricorrente, le norme impugnate sarebbero altresì incoerenti, se non in contrasto, con la clausola generale di salvaguardia di cui al comma 638 dello stesso articolo, secondo cui sono applicabili «compatibilmente», vanificandola, in quanto esse menzionano espressamente come destinatarie anche le Province autonome e gli enti locali (Comuni) del rispettivo territorio, senza lasciare spazio ad alcuna possibilità di essere interpretate in modo rispettoso dell’autonomia. Pertanto, esse violerebbero le previsioni statutarie che attribuiscono alle Province autonome la potestà legislativa esclusiva e la corrispondente potestà amministrativa in materia di finanza locale – che, in quanto tale, sarebbe soggetta al limite dei principi costituenti “norme di riforma economico-sociale” e non a quello dei principi delle materie di competenza concorrente – nonché con la funzione attribuita alle medesime del coordinamento della finanza pubblica provinciale, che comprende la finanza locale (sono richiamati gli artt. 16 79, commi 3 e 4, 80 – come da ultimo modificato dall’art. 1, comma 518, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», approvato ai sensi dell’art. 104 dello statuto speciale, a norma dell’art.1, comma 520, della stessa legge – e 81 dello statuto; nonché gli artt. 17 e 18 del d.lgs. n. 268 del 1992).

Più specificamente, le disposizioni di cui alla lettera a) del comma 475, laddove definiscono direttamente la sanzione conseguente al mancato rispetto dell’obiettivo del saldo, sarebbero in contrasto con l’attribuzione da parte dello statuto d’autonomia della competenza esclusiva, legislativa e amministrativa, nella materia della finanza locale – e quindi con gli artt. 80 e 81 dello statuto, nonché con il d.lgs. n. 268 del 1992 – e della funzione di coordinamento della finanza pubblica rispetto ai Comuni del rispettivo territorio, nonché agli altri enti a ordinamento regionale o provinciale, che costituiscono il sistema territoriale integrato (è richiamato l’art. 79, commi 1 e 3, dello statuto).

Per quanto riguarda, invece, le Province autonome, secondo la ricorrente la previsione dell’obbligo di effettuare un versamento all’entrata del bilancio dello Stato in relazione allo scostamento registrato, di importo corrispondente a un terzo, come prescritto dalla lettera b) del comma 475, contrasterebbe con l’autonomia finanziaria codificata dal Titolo VI dello statuto speciale, come riconosciuta e disciplinata in modo esaustivo dall’art. 79, comma 4, a seguito dell’accordo del 15 ottobre 2014, assunto ai sensi dell’art. 104 dello statuto speciale.

Peraltro, la Provincia autonoma di Bolzano evidenzia che la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol non grava sul bilancio dello Stato per il finanziamento della spesa dei propri Comuni, poiché nel territorio regionale la finanza locale è a carico delle Province, con la conseguenza che lo Stato non potrebbe neppure adottare norme per il loro coordinamento finanziario. Richiama in proposito anche la recente sentenza di questa Corte n. 75 del 2016, con la quale, dopo aver ribadito il peculiare assetto della finanza locale nella Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, si afferma che «[...] lo Stato, non concorrendo al finanziamento dei Comuni che insistono sul territorio della Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, non può neppure adottare norme per il loro coordinamento finanziario, che infatti compete alla Provincia, ai sensi del richiamato art. 79, comma 3, dello statuto». Osserva inoltre che le norme attuative del sistema sanzionatorio definite, tra l’altro, con legge ordinaria, dovrebbero essere coerenti con il precetto contenuto nell’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012, il quale impone agli enti che registrino un saldo negativo, di adottare «misure di correzione tali da assicurare il recupero entro il triennio successivo, in quote costanti», sicché le disposizioni impugnate non potrebbero spingersi a definire misure sanzionatorie nei confronti delle autonomie del Trentino¬Alto Adige/Südtirol in contrasto con l’ordinamento finanziario statutario.

1.3.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.

Secondo il resistente, le censure relative al citato comma 475, lettere a) e b), devono ritenersi infondate alla luce di quanto disposto dal successivo comma 483, secondo il quale «[p]er le regioni Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’articolo l, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato. Ai fini del saldo di competenza mista previsto per la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento». La norma, dunque, prevede espressamente che ai suddetti enti non si applicano le disposizioni in materia di sanzioni e premialità connesse alla disciplina del pareggio di bilancio di cui all’art. 1, commi 475 e 479, della legge n. 232 del 2016, operando, invece, il regime sanzionatorio connesso alla disciplina del patto di stabilità interno.

A decorrere dall’anno 2018 – prosegue la difesa statale – con il venir meno del vincolo del patto di stabilità interno, il corpus giuridico di riferimento sarà costituito dalla sola disciplina del pareggio di bilancio, in attuazione degli accordi rispettivamente sottoscritti con lo Stato (in particolare, sono richiamati l’art. 8 del Protocollo d’intesa tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia del 23 ottobre 2014, recepito dall’art. 1, comma 517, della legge n. 190 del 2014, e il punto 10 dell’Accordo tra lo Stato e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15 ottobre 2014, recepito dall’art. 79, comma 4-quater, dello statuto di autonomia). Ne consegue che, a decorrere dall’anno 2018, anche nei confronti dei predetti enti ad autonomia differenziata troverà applicazione il nuovo regime sanzionatorio e premiale disciplinato dai citati commi 475 e 479.

Con riguardo alla censura rivolta alla lettera a) del comma 475, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva che tale misura sanzionatoria è applicabile agli enti locali dei predetti enti ad autonomia differenziata, assoggettati, già dal 2016, al vincolo del pareggio di bilancio in luogo del patto di stabilità interno; tale disciplina sarebbe volta a salvaguardare – proprio attraverso misure di correzione dell’eventuale disavanzo registrato – l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva e sarebbe strumentale al perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari. Essa costituirebbe pertanto diretta attuazione dei princìpi costituzionali volti al coordinamento della finanza pubblica, che non potrebbero che trovare uniforme applicazione anche nei confronti delle autonomie speciali e dei rispettivi enti locali. Infatti, qualora tali princìpi comportino l’obbligo di contenere la spesa (mediante la riduzione delle correlate entrate), la Regione o la Provincia autonoma, nel momento in cui si sottrae a misure destinate a operare sull’intero territorio nazionale, non adempirebbe all’obbligo solidaristico di cui agli artt. 2 e 5 Cost., avvantaggiando indebitamente i propri residenti rispetto ai cittadini del restante territorio nazionale.

Il resistente rammenta che, al riguardo, questa Corte ha già affermato che «i margini costituzionalmente tutelati dell’autonomia finanziaria e organizzativa della Regione si riducono, quando essa ha trasgredito agli obblighi legittimamente imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza pubblica allargata» (sentenza n. 219 del 2013; in precedenza, sentenza n. 155 del 2011). A questo effetto non si potrebbero sottrarre certamente le autonomie speciali, dato che si renderebbe necessario anche nei loro confronti consentire allo Stato di decidere autonomamente quale sanzione, nei limiti della non manifesta irragionevolezza e della proporzionalità, abbia una sufficiente efficacia compensativa e deterrente.

Ne consegue che la previsione di un meccanismo sanzionatorio a carico degli enti locali delle ricorrenti non si tradurrebbe in una lesione delle prerogative statutarie, una volta che sia stata attribuita allo Stato la competenza a disciplinare gli effetti della violazione del patto di stabilità (si cita la sentenza n. 46 del 2015 di questa Corte).

2.– La Provincia autonoma di Trento, con ricorso spedito per la notificazione il 20 febbraio 2017 e depositato il 28 febbraio 2017, iscritto al n. 24 del registro ricorsi 2017, ha proposto, tra le altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 466, quarto periodo, comma 475, lettere a) e b), comma 479, lettera a), e comma 483, primo periodo, nella parte in cui richiama il comma 479, della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, 69, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige/Südtirol; agli artt. 17, 18 e 19 del d.lgs. n. 268 del 1992; all’art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità); all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992; al principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost.; all’art. 81 Cost., anche in relazione alla legge cost. n. 1 del 2012 e alla legge n. 243 del 2012; agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; al principio di leale collaborazione, anche in relazione all’art. 120 Cost., e all’accordo del 15 ottobre 2014, recepito con la legge n. 190 del 2014.

2.1.– La ricorrente premette di non ignorare l’esistenza della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 1, comma 638, della legge n. 232 del 2016, ma essa, secondo la ricorrente, non sarebbe di per sé idonea a evitare che le disposizioni specificamente indirizzate alle autonomie speciali, e in particolar modo alla Provincia autonoma di Trento, possano trovare comunque applicazione.

2.2.– Quest’ultima sostiene che l’art. 1, comma 466, della legge n. 232 del 2016, detta norme sull’equilibrio di bilancio applicabili anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome ai sensi dell’art. 1, comma 465, della legge medesima. Tali norme sono in parte riproduttive dell’art. 9, commi 1 e 1-bis, della legge n. 243 del 2012, come modificato dall’art. 1 della legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali). Il primo periodo, infatti, definisce l’equilibrio di bilancio come «saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali» e il secondo periodo specifica quali sono le entrate finali («quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118») e le spese finali («quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio»). I due successivi periodi del comma 466 riguardano il fondo pluriennale vincolato: il terzo periodo stabilisce che «per gli anni 2017-2019, nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento»; il quarto periodo prevede che «a decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali».

In relazione a detto quarto periodo del citato comma 466, la Provincia autonoma di Trento evidenzia che a decorrere dall’esercizio 2020 vengono posti limiti alla rilevanza dell’avanzo di bilancio se utilizzato per finanziare il fondo pluriennale vincolato, consentendo cioè il computo di tale fondo ai fini dell’equilibrio di bilancio solo se questo sia stato finanziato tramite le entrate finali (e quindi, ad esempio, non con l’avanzo di amministrazione autorizzato ai sensi del comma 502 dello stesso art. 1 della legge n. 232 del 2016 o mediante operazioni di indebitamento).

Tale restrizione costituisce appunto l’oggetto della censura della ricorrente, la quale rammenta che il fondo pluriennale vincolato è una posta di bilancio introdotta in esecuzione dei principi statali di armonizzazione dei bilanci pubblici dettati dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42). Il fondo è costituito da risorse già accertate e già impegnate in esercizi precedenti, ma destinate al finanziamento di obbligazioni passive dell’ente che diventeranno esigibili in esercizi successivi a quello in cui è accertata l’entrata. Il fondo pluriennale vincolato rappresenta dunque un saldo finanziario a garanzia della copertura di spese imputate a esercizi successivi a quello in corso e configura lo strumento tecnico per ricollocare su tali esercizi spese già impegnate, relativamente alle quali sussiste un’obbligazione giuridicamente perfezionata, e quindi un vincolo a effettuare i relativi pagamenti, i quali, tuttavia, giungeranno a scadenza negli esercizi su cui vengono reimputate le spese. Tale reimputazione risulta obbligatoria ai sensi del predetto d.lgs. n. 118 del 2011. Trattandosi di spese già impegnate su esercizi precedenti, esse risultano finanziariamente già coperte con entrate di tali esercizi. Proprio per questo, le regole dell’armonizzazione prevedono che l’operazione di reimputazione delle spese sia accompagnata dalla reimputazione delle relative entrate sui medesimi esercizi finanziari attraverso il fondo pluriennale, alimentato con le risorse degli anni in cui erano state impegnate le spese. Con riferimento al fondo pluriennale vincolato, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», ne aveva previsto la considerazione limitatamente all’anno 2016 ai fini dell’equilibrio di bilancio (art. 1, comma 711, secondo periodo), con conseguente esclusione per gli anni successivi. La legge n. 164 del 2016 ha consentito anche per il triennio 2017-2019 l’inclusione del fondo pluriennale vincolato ai fini dell’equilibrio di bilancio, subordinando però questa eventualità a successive previsioni della legge di bilancio e comunque alla sua compatibilità con gli obiettivi di finanza pubblica. La ricorrente rammenta che tali limitazioni erano già state oggetto di contestazione da parte sua, con ricorsi rispettivamente iscritti ai numeri 20 e 69 del registro ricorsi 2016.

In proposito, la Provincia autonoma di Trento osserva che l’art. 1, comma 466, terzo periodo, della legge n. 232 del 2016, sopravvenuto alle citate impugnative, consente ora di considerare il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente da operazioni di indebitamento per il triennio 2017-2019; per questa parte, precisa la ricorrente, la disposizione non è censurata.

Diversamente, oggetto di denuncia è la previsione per cui a partire dall’esercizio 2020 l’inclusione del fondo pluriennale vincolato tra le entrate e le spese finali è consentita solo nella parte in cui esso è finanziato con le entrate finali, con esclusione, quindi, della possibilità di considerare il fondo stesso ai fini dell’equilibrio di bilancio se esso sia stato finanziato con entrate diverse da quelle classificate come «finali», quali quelle derivanti dal ricorso all’indebitamento o reperite tramite l’avanzo di amministrazione.

Secondo la Provincia autonoma di Trento, tale limitazione dell’attitudine dell’avanzo della Provincia a essere valorizzato in tutti i suoi possibili impieghi contabili, e in particolare ai fini del finanziamento del fondo pluriennale vincolato, violerebbe sotto diversi profili la propria autonomia finanziaria, garantita dal Titolo VI dello statuto speciale e dall’art. 119 Cost., in combinato con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, in quanto una componente patrimoniale della Regione verrebbe indebitamente «sterilizzata», con riferimento all’equilibrio di bilancio: e ciò in assenza di ogni forma di accordo con la Provincia autonoma, e dunque in violazione della leale collaborazione e del metodo pattizio. Quanto alla violazione dell’autonomia finanziaria, il meccanismo contabile sopra descritto determinerebbe, secondo la ricorrente, una limitazione all’uso delle proprie risorse, assegnate dagli artt. 70 e seguenti dello statuto speciale senza vincolo di destinazione, per il finanziamento delle funzioni. Evidenzia inoltre che l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa è espressamente riconosciuta dall’art. 119, primo comma, Cost., per tutte le Regioni e quindi tale garanzia, nelle parti in cui debba essere riconosciuta più favorevole, dovrebbe intendersi estesa anche alla Provincia autonoma di Trento dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 e completata dalla autonomia di bilancio, espressamente tutelata dagli artt. 83 e 84 dello statuto speciale.

La Provincia autonoma di Trento rammenta altresì che le limitazioni all’autonomia finanziaria provinciale sono individuate in modo esaustivo nella clausola di garanzia dettata dall’art. 79, comma 4, dello statuto speciale, il che escluderebbe in radice che, in relazione alla ricorrente, le limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato possano essere giustificate in quanto misura funzionale alla generale sostenibilità del debito pubblico e quindi come contributo agli obiettivi di finanza pubblica. La deroga a esse da parte di una legge statale non preceduta da un accordo con la Provincia autonoma o non approvata nelle forme costituzionali prescritte dall’art. 103 dello statuto confermerebbe la violazione, oltre che delle citate disposizioni, anche del principio pattizio sancito negli artt. 104 e 107 dello statuto e ribadito dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, nonché del principio di leale collaborazione (art. 120, secondo comma, Cost.).

Secondo la ricorrente, inoltre, l’effetto materialmente sottrattivo di risorse prodotto dalla regola contabile in contestazione costringerebbe la Provincia a reperire altrove – e non nel proprio avanzo – le risorse per la copertura del fondo pluriennale vincolato ai fini del pareggio di bilancio. Tale effetto, inoltre, sarebbe irragionevole e contrario ai principi di buon andamento dell’amministrazione sanciti dall’art. 97, secondo comma, Cost., dal momento che risorse disponibili (l’avanzo) non potrebbero essere utilizzate, mentre altre risorse dovrebbero essere distolte dai loro possibili impieghi ai soli fini di dare copertura a una spesa pluriennale che ben potrebbe essere finanziata con l’avanzo degli esercizi precedenti.

Infine, la ricorrente osserva che l’introduzione del fondo pluriennale vincolato è imposta dalla legislazione statale di armonizzazione della finanza pubblica, sicché la sua limitata computabilità ai fini del pareggio, se finanziato con l’avanzo di bilancio, sarebbe lesiva anche del principio costituzionale di leale collaborazione, in quanto regole contabili sarebbero imposte a un certo fine (la programmazione della spesa) e poi piegate ad altro scopo (rendere indisponibili le risorse). L’irragionevolezza della regola qui contestata si rifletterebbe negativamente sull’esercizio delle competenze legislative esclusive e concorrenti e delle corrispettive competenze amministrative della Provincia, che tipicamente comportano programmazione di spesa.

2.3.– La Provincia autonoma di Trento impugna poi l’art. 1, comma 475, lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016 nella parte in cui dette disposizioni si riferiscono a essa ricorrente e ai suoi enti locali. In subordine, propone questioni di legittimità costituzionale dei successivi commi 479, lettera a), e 483, primo periodo, nella parte in cui esso escluderebbe l’applicazione del comma 479.

Espone al riguardo che se l’art. 1, comma 483, della legge n. 232 del 2016 afferma che «per le regioni Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’art. 1, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato», nondimeno, in modo del tutto contraddittorio, il comma 475, relativo alle sanzioni per il mancato rispetto dell’equilibrio di bilancio, conterrebbe, alle lettere a) e b), riferimenti espliciti alle autonomie speciali e, in particolare, alle Province autonome.

La ricorrente ritiene che tali riferimenti siano meri residui di precedenti versioni delle disposizioni e che avrebbero dovuto essere eliminati con l’inserimento del comma 483, il quale – in coerenza con quanto concordato con lo Stato e trasfuso nel 2014 nel nuovo art. 79 dello statuto speciale, che disciplina in modo compiuto anche gli oneri di partecipazione delle Province autonome al sistema della finanza statale – ne sanciva l’estraneità al sistema di premi e sanzioni previsto dall’art. 9 della legge n. 243 del 2012.

Pertanto, a fronte della contraddittorietà delle disposizioni, la Provincia autonoma di Trento ha deciso l’impugnativa per vedere affermata la prevalenza e la vigenza del comma 483, che ne esplicita l’esclusione da tale sistema (con prosecuzione del regime della legge n. 228 del 2012). In caso contrario, laddove si dovesse ritenere che la contraddittorietà normativa debba risolversi considerando operanti i riferimenti alla Provincia autonoma di Trento e ai suoi enti locali contenuti nel comma 475, lettere a) e b), la ricorrente ne contesta la legittimità costituzionale.

2.3.1.– Ove si ritenesse che le disposizioni del comma 475 riguardanti la Provincia autonoma di Trento non solo fossero operanti ma dovessero altresì considerarsi conformi alla Costituzione e allo statuto, la ricorrente in tal caso denuncia l’iniquità e l’irragionevolezza di un sistema che la costringerebbe a subire il regime sanzionatorio di cui al comma 475, ma senza partecipare al regime premiale di cui al comma 479.

2.3.2.– La Provincia autonoma di Trento deduce ulteriormente l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475, lettera a), della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui disciplina direttamente e in modo vincolante i rapporti finanziari degli enti locali con la medesima Provincia.

Evidenzia come la lettera a) preveda che gli enti locali ricadenti nel suo territorio siano privati dei trasferimenti correnti erogati dalla Provincia medesima in misura parti all’importo dello scostamento (saldo negativo): tale disposizione sarebbe pressoché identica a quella di cui all’art. 1, comma 723, legge n. 208 del 2015, il cui comma 723 è già stato impugnato davanti a questa Corte, presentando gli stessi vizi.

Precisa al riguardo la Provincia autonoma di Trento che tale impugnazione è coltivata sempre nell’avversata ipotesi che debba considerarsi la disposizione applicabile alla ricorrente nonostante l’esclusione disposta dal già menzionato comma 483. In tal caso – si prosegue – si tratterebbe di un mero “trasferimento” di un meccanismo sanzionatorio previsto per la generalità dei Comuni a quelli della ricorrente Provincia, solo adattandolo alla circostanza che è da essa che i Comuni ricevono parte delle proprie risorse, senza tenere alcun conto delle specifiche responsabilità e competenze della Provincia autonoma nel governo del sistema locale (fondate sugli artt. 79, 80 e 81 dello statuto, in particolare in materia di finanza locale) e delle regole proprie del rapporto tra fonti statali e fonti provinciali nelle materie di competenza provinciale, dettate dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Né, secondo la ricorrente, la competenza statale prevista – in collegamento con quella in materia di coordinamento della finanza pubblica – dall’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012 – o, comunque dal comma 4 del medesimo articolo – potrebbe giustificare tale meccanico trasferimento, essendo evidente, ad avviso della Provincia, che tale competenza generale andrebbe esercitata nel rispetto delle regole speciali poste dallo statuto di autonomia e dalle sue norme di attuazione, contenute, in particolare, negli artt. 79, commi 3 e 4, 80, comma 1, e 81, sussistendo unicamente un potere-dovere di adeguamento da parte della Provincia autonoma alla normativa statale, senza che essa possa applicarsi direttamente ed immediatamente nelle materie di sua competenza. Diversamente, il comma 475, lettera a), da un lato, ignorerebbe completamente la responsabilità e i poteri della Provincia autonoma, in contrasto con il citato art. 79 dello statuto, e inoltre disciplinerebbe direttamente la materia, anche in violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, stabilendo che ogni ente locale che non rispetti il vincolo del saldo non negativo subisca una corrispondente decurtazione del trasferimento provinciale per la parte corrente.

Secondo la ricorrente, spetterebbe invece alla medesima il compito di disciplinare autonomamente le conseguenze – all’interno del sistema provinciale – del mancato rispetto del principio del saldo non negativo da parte degli enti locali la cui azione essa regola e finanzia.

2.3.3.– La Provincia autonoma di Trento, inoltre, denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475, lettera b), della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui introduce sanzioni rispetto al sistema di pareggio di bilancio.

La ricorrente precisa che anche tale profilo di censura deve ritenersi proposto in via cautelativa, laddove non dovesse ritenersi prevalente il comma 483, che dispone la non applicazione alle Provincie autonome dell’intero comma 475.

In tal caso, il comma 475, lettera b), contrasterebbe con il principio di determinazione e di certezza sancito nell’accordo del 15 ottobre 2014 e trasfuso nell’art. 79 dello statuto speciale, in forza del quale i possibili trasferimenti finanziari dalla Provincia autonoma allo Stato devono ritenersi descritti in modo esaustivo dallo stesso art. 79, secondo quanto ivi espressamente affermato nel comma 1 e ribadito dal comma 2, secondo cui «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall’art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica». Inoltre, il comma 4 dell’art. 79 dispone espressamente che «nei confronti della regione e delle province e degli enti appartenenti al sistema territoriale regionale integrato non sono applicabili disposizioni statali che prevedono obblighi, oneri, accantonamenti, riserve all’erario o concorsi comunque denominati, ivi inclusi quelli afferenti il patto di stabilità interno, diversi da quelli previsti dal presente titolo». A sua volta, il successivo comma 4-quater dispone – nel teso all’epoca vigente – che «a decorrere dall’anno 2016, la regione e le province conseguono il pareggio del bilancio come definito dall’art. 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243», con la precisazione, contenuta nel seguente comma 4-quinquies, che «restano ferme le disposizioni in materia di monitoraggio, certificazione e sanzioni previste dai commi 460, 461 e 462 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228».

Secondo la ricorrente, si tratterebbe di un sistema compiuto, che non tollererebbe commistioni con un diverso sistema sanzionatorio o premiale.

2.3.4.– Ulteriormente, sempre nell’ipotesi di applicabilità del citato comma 475, lettera b), la Provincia autonoma di Trento ne deduce l’illegittimità laddove esso prevede che, «in caso di mancato versamento» degli importi previsti, «si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale». Si tratterebbe, ad avviso della ricorrente, di una disposizione che violerebbe palesemente il principio di leale collaborazione e dell’accordo, consentendo allo Stato non solo di determinare unilateralmente l’an e il quantum del presunto debito, ma addirittura di attribuirsi direttamente la somma in questione, sottraendola alla Provincia, approfittando del fatto, del tutto casuale, che essa si trovi presso la tesoreria statale. Per tale ragione una simile sottrazione, in assenza di qualunque giusto procedimento, violerebbe altresì le regole di base dell’autonomia finanziaria garantita dagli artt. 70 e seguenti dello statuto speciale.

2.3.5.– Infine, la Provincia autonoma di Trento lamenta l’incongruità e l’irragionevolezza del nesso che l’impugnato comma 475 cercherebbe di instaurare tra il meccanismo sanzionatorio del versamento per tre anni di un terzo dell’importo dello scostamento e la disposizione dell’art. 9, comma 2, della legge n. 243 del 2012. Quest’ultima, infatti, richiede che siano previste «misure di correzione tali da assicurarne il recupero entro il triennio successivo»: misure di correzione che portano a recuperare lo squilibrio, ma che, secondo la ricorrente, nulla avrebbero a che fare con il meccanismo afflittivo di cui al comma 475, lettera b), la cui applicazione non migliorerebbe, per l’ente che lo subisce, l’equilibrio tra entrate e uscite.

2.3.6.– In via ulteriormente subordinata la Provincia autonoma di Trento deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 479, lettera a), e 483, primo periodo, della legge n. 232 del 2016 nella parte in cui la coinvolgerebbero nel solo sistema sanzionatorio, ma non anche in quello premiale.

Tale impugnazione, si precisa, è proposta in via cautelativa, nel caso in cui la ricorrente soggiaccia allo specifico regime sanzionatorio di cui al comma 475, senza, tuttavia, partecipare al sistema premiale di cui al comma 479: tanto accadrebbe se si considerassero operanti e legittimi i riferimenti espliciti alle Province autonome contenuti nel comma 475 e, di converso, il comma 483, che assicurerebbe comunque la non applicazione del comma 479, il quale, del resto, riferisce il meccanismo premiale alle sole Regioni.

Una simile ricostruzione del significato complessivo delle disposizioni impugnate sarebbe per la ricorrente palesemente illegittimo, in quanto – si sostiene – la legge n. 243 del 2012 prevederebbe un impianto nel quale il sistema delle sanzioni non potrebbe essere disgiunto da quello dei premi, destinando i «proventi delle sanzioni a favore dei premi agli enti del medesimo comparto che hanno rispettato i propri obiettivi» (art. 9, comma 4, lettera c, della legge n. 243 del 2012). In attuazione di tali disposti, la legge n. 232 del 2016, accanto alle sanzioni del comma 475, introduce al comma 479 la previsione di corrispettive misure premiali. Sicché, laddove la Provincia autonoma fosse costretta a soggiacere al predetto sistema, l’incasso derivante dalle sanzioni – comprese quelle a suo carico, nell’ipotesi di uno squilibrio di bilancio – costituirebbe il fondo da ripartire tra gli enti virtuosi. Ma, in tal caso, il comma 483 escluderebbe dal sistema dei premi essa ricorrente e lo stesso farebbe il comma 479, lettera a), riferendosi soltanto alle Regioni. In questi termini, il comma 479, lettera a), e il comma 483, nella parte in cui ne esclude l’applicabilità alla Provincia autonoma di Trento, si porrebbero in contrasto con l’art. 9, comma 4, della legge rinforzata n. 243 del 2012, che include le autonomie speciali tra i destinatari del sistema sanzionatorio e di quello premiale.

Secondo la ricorrente, essendo la legge statale rinforzata vincolante per la legge ordinaria in forza dell’art. 81 Cost. e dell’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012, anche tali disposizioni risulterebbero violate. Inoltre, nelle parti indicate i predetti commi 483 e 479, lettera a), violerebbero anche il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto determinerebbero un’evidente e ingiustificata discriminazione tra le Province autonome – che si troverebbero esposte al sistema delle sanzioni, ove non riuscissero a conformarsi ai vincoli di bilancio, ma non potrebbero mai godere del riconoscimento di un comportamento virtuoso – e la totalità delle altre Regioni, per le quali potenzialmente opera il correlato beneficio.

Poiché, tuttavia, detta discriminazione verrebbe automaticamente meno escludendo le Province autonome dallo specifico sistema di premi e sanzioni di cui ai commi 475 e 479, come previsto appunto dal comma 483, tale esclusione terrebbe ferma la richiesta avanzata dalla ricorrente in via principale.

2.4.– Si è costituito anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Osserva la difesa dello Stato che le disposizioni in questione hanno la finalità di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, per cui si tratta di misure di risparmio riconducibili a una scelta di fondo del legislatore statale. In questa prospettiva le disposizioni legislative in oggetto sarebbero dunque espressione di un principio di coordinamento della finanza pubblica e, come tali, non si pongono in contrasto con l’autonomia riconosciuta dalla Costituzione all’ente ricorrente; peraltro, in termini generali, la specificità delle prescrizioni di per sé non sarebbe idonea a escludere il carattere di principio di una norma (è richiamata la sentenza n. 23 del 2014 di questa Corte).

Il Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre, evidenzia che, ai sensi dell’art. 105 dello statuto speciale, «[n]elle materie attribuite alla competenza della regione o della provincia, fino a quando non sia diversamente disposto con leggi provinciali o regionali, si applicano le leggi dello Stato». La citata disposizione prevederebbe dunque che, anche in caso di materie rientranti nella potestà legislativa esclusiva della Provincia autonoma, qualora la stessa non abbia legiferato e fino a quando ciò non avvenga, la normativa statale sia destinata a trovare applicazione.

3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con ricorso spedito per la notificazione il 20 febbraio 2017 e depositato il 24 febbraio 2017, iscritto al n. 22 del registro ricorsi del 2017, ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 463, 466, primo, secondo e quarto periodo, 483 e 519, della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 48, 49, 51, 63 e 65 della legge cost. 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); agli artt. 3, 25, secondo comma, 81, primo e sesto comma, 97, 117, terzo comma, 119, primo, secondo e sesto comma, e 136 Cost; all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; al principio dell’accordo; ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione e alle norme di attuazione contenute nel d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale); nel decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al d.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale), e nel decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale); all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e agli artt. 3, comma 2 e 9, della legge n. 243 del 2012.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia premette di non ignorare l’esistenza dell’art. l, comma 638, della legge n. 232 del 2016, ma parimenti ritiene che tale clausola di salvaguardia non sarebbe di per sé idonea a evitare che le disposizioni specificamente indirizzate alle autonomie speciali, e in particolar modo a essa ricorrente – tra cui quelle aventi contenuto lesivo dell’autonomia stessa, come le norme impugnate – possano trovare comunque applicazione.

3.1.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna l’art. l, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della legge n. 232 del 2016, per incompetenza, con violazione dell’art. 81, comma sesto, Cost., e dell’art. 5 della legge cost. n. l del 2012.

Premette la ricorrente che l’art. 1, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della legge n. 232 del 2016, altro non farebbe che riprodurre quanto stabilisce l’art. 9, commi 1 e 1-bis, della legge rinforzata n. 243 del 2012, come novellato dalla legge n. 164 del 2016. Sennonché – obietta la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la competenza a dettare le regole conformative dell’obbligo del pareggio di bilancio, che grava sugli enti territoriali e sulla Regione medesima per effetto degli artt. 81 e 119 Cost. (e anche dell’art. 97 Cost.), deve ritenersi riservata, dall’art. 81, sesto comma, Cost., e dall’art. 5 della legge cost. n. l del 2012, a una legge rinforzata, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera. Ne conseguirebbe, secondo tale prospettazione, che la comune legge ordinaria non potrebbe sostituirsi alla legge rinforzata con riguardo agli oggetti riservati alla seconda, pena la violazione della riserva. Secondo la ricorrente, l’identità tra i precetti contenuti nelle disposizioni impugnate con quelli dettati dall’art. 9 della legge n. 243 del 2012 non escluderebbe ma, piuttosto, confermerebbe la sussistenza dell’invasione di competenza. Sarebbe poi violato, per effetto della riproduzione di norme riservate ad altra fonte, anche il principio di certezza del diritto (e dunque il principio di ragionevolezza), occultando ai cittadini e agli operatori l’effettiva fonte di validità e operatività del precetto.

Secondo la ricorrente, le considerazioni sopra esposte non potrebbero essere superate affermando che le norme impugnate abbiano carattere attuativo della legge rinforzata, ad esempio rappresentando un’applicazione all’esercizio finanziario 2017 delle regole generali stabilite dalla legge n. 243 del 2012. A suo avviso, infatti, sarebbe evidente il loro carattere duplicativo: il comma 466, esattamente come il citato art. 9, commi l e l-bis, detterebbe a sua volta norme generali, che si applicano a tutti i bilanci successivi, «[a] decorrere dall’anno 2017» per quanto riguarda l’obbligo di equilibrio e la composizione delle entrate e delle uscite finali, e «[a] decorrere dall’esercizio 2020» per quanto riguarda l’inclusione del fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, solo se finanziato dalle entrate finali.

3.2.– Fermo il carattere assorbente della censura rivolta all’art. l, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della legge n. 232 del 2016, la Regione autonoma impugna ulteriormente lo stesso comma 466, secondo e quarto periodo, laddove elenca i titoli di entrata e di spesa considerabili ai fini del rispetto della regola dell’equilibrio di bilancio, escludendo l’eventuale avanzo dell’esercizio precedente (secondo periodo) e ponendo limiti all’utilizzo dell’avanzo di bilancio (quarto periodo). Tali censure riprendono analoghe doglianze proposte contro le identiche disposizioni della legge n. 243 del 2012, novellata dalla legge n. 164 del 2016.

Espone la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia che, secondo quanto prevede il comma 466, tra le entrate finali che possono essere prese in considerazione ai fini dell’equilibrio di bilancio non troverebbe immediata collocazione l’eventuale avanzo dell’esercizio precedente. La ricorrente ritiene che la mancata espressa menzione di tale posta di bilancio possa essere intesa nel senso di divieto di utilizzazione, nel calcolo del bilancio in equilibrio, dell’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente. Tale timore sarebbe confermato dalla disciplina degli spazi finanziari coperti dall’avanzo dettata dall’art. 10, commi 3 e 4, della legge n. 243 del 2012. Le disposizioni citate pongono una disciplina limitativa all’utilizzo dell’avanzo di amministrazione, prevedendo che esso possa impiegato sulla base di intese a livello regionale o dei patti di solidarietà nazionali. In applicazione dell’art. l0, comma 4, l’art. l, comma 485, della stessa legge n. 232 del 2016 dispone che per «[…] favorire gli investimenti, da realizzare attraverso l’utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti e il ricorso al debito, per gli anni 2017, 2018 e 2019, sono assegnati agli enti locali spazi finanziari nell’ambito dei patti nazionali, di cui all’articolo 10, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, nel limite complessivo di 700 milioni di euro annui, di cui 300 milioni di euro destinati a interventi di edilizia scolastica».

Ove l’interpretazione descritta fosse corretta, ad avviso della ricorrente i concreti effetti lesivi della norma impugnata sarebbero particolarmente evidenti (e perciò anche irragionevolmente discriminatori) proprio per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che ha come principale fonte di entrata le compartecipazioni ai tributi erariali e il gettito derivante dalla presenza sul territorio regionale di grandi gruppi (e quindi di grandi contribuenti, che comunemente praticano operazioni societarie o intragruppo, con rilevanti effetti tributari), circostanze che renderebbero molto variabile, di anno in anno, la dimensione delle entrate regionali. A causa di ciò l’ammontare delle entrate non sarebbe prevedibile dalla ricorrente e quindi non sarebbe programmabile ex ante, dal momento che essa avrebbe contezza dell’entità della compartecipazione di sua spettanza solo a versamento avvenuto e dunque a saldo, secondo quanto previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale. La combinazione delle speciali regole costituzionali sulla finanza regionale con la particolare composizione dei soggetti passivi d’imposta, che rende mutevole la massa imponibile, e con i meccanismi di trasmissioni dei dati normativamente previsti, comporterebbe la fisiologica formazione di avanzi (o disavanzi) di bilancio. Questi costituirebbero una parte essenziale della finanza regionale e dovrebbero trovare la necessaria corrispondenza tra le voci di entrata dell’anno seguente, utili ai fini del pareggio di bilancio. Diversamente, la disposizione sarebbe, ad avviso della Regione, lesiva della propria autonomia finanziaria e illegittima sotto diversi profili, che vengono prospettati sulla base della premessa che un simile meccanismo non avrebbe alcuna base nella legge cost. n. l del 2012 (i cui principi, al contrario, sarebbero anch’essi in parte violati) e che, dunque, nella fissazione delle regole di equilibrio finanziario non potrebbero essere sovvertiti i principi di base dell’autonomia finanziaria regionale.

La ricorrente osserva al riguardo che l’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, una volta che sia stato accertato e rappresentato nei rendiconti, sarebbe un elemento patrimoniale della Regione autonoma, reso, tuttavia, dalla norma impugnata indisponibile per l’ente (salvo che alle condizioni di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, come novellata dalla legge n. 164 del 2016), generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale.

Ad avviso della Regione, la disposizione restrittiva verrebbe quindi a ledere le norme dello statuto speciale sulle quali si fonda la sua autonomia finanziaria e, dunque, le norme contenute nel Titolo IV della legge cost. n. l del 1963: l’art. 48 – che costruisce la finanza dell’ente come finanza propria della Regione – l’art. 49 – che le attribuisce quote dei tributi erariali – l’art. 51 – che individua le altre entrate della Regione – e l’art. 63, ultimo comma, che consente modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto. Sarebbero violate anche le corrispondenti norme sull’autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione contenute nell’art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., invocato anche in combinazione con l’art. l0 della legge cost. n. 3 del 2001, ove più favorevole. Considerando poi l’effetto sostanziale “sottrattivo” sopra descritto, secondo la Regione autonoma risulterebbe violato anche il principio dell’accordo, in applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra essa e lo Stato, principio sotteso agli artt. 63 e 65 dello statuto speciale, nonché alle norme di attuazione contenute nel d.P.R. n. 114 del 1965, nel d.lgs. n. 8 del 1997, nel d.lgs. n. 137 del 2007 e ribadito, con riferimento a tutte le Regioni a statuto speciale, dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009.

Secondo la ricorrente la norma non potrebbe nemmeno giustificarsi con le esigenze della solidarietà nazionale menzionate dall’art. 48 dello statuto speciale, o con quelle di concorso della Regione alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, menzionate dagli artt. 81, sesto comma, e 97, primo comma, Cost., nonché dall’art. 5, comma 2, della legge cost. n. l del 2012. Ad avviso della Regione autonoma, sarebbe ipotizzabile che l’avanzo di amministrazione venga “sterilizzato” ai fini dell’equilibrio del bilancio regionale allo scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea; ma tale forma di concorso alla sostenibilità del debito pubblico sarebbe comunque incompatibile con molteplici parametri costituzionali. Sarebbe violato, anzitutto, il principio per cui l’equilibrio complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in disavanzo e bilanci in attivo; la possibilità di compensazioni, del resto, sarebbe consentita soltanto nei limiti di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, in relazione alle operazioni di investimento. Tale principio, secondo la ricorrente, si ricaverebbe dall’art. 81, primo comma, Cost., che impone allo Stato di assicurare «l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio» e dall’art. 119, primo comma, Cost. che, analogamente, impone agli enti territoriali «l’equilibrio dei relativi bilanci».

La Regione deduce altresì la violazione dell’art. 97, primo comma, Cost., laddove impone a tutte le amministrazioni, sia singolarmente che nel loro complesso, di avere un bilancio in equilibrio. Al riguardo si precisa che la ricorrente sarebbe legittimata a far valere anche la violazione degli artt. 81, primo comma, e 97, primo comma, Cost., sia perché, come ritenuto in dottrina, quella dell’equilibrio dei rispettivi bilanci è una sorta di garanzia reciproca che tutti i livelli di governo mutuamente si prestano, sia perché la declinazione dell’equilibrio di bilancio come equilibrio complessivo, creato anche attraverso la sterilizzazione degli avanzi di amministrazione, avrebbe un ovvio impatto sull’autonomia finanziaria della Regione autonoma, la quale si vedrebbe impossibilitata a utilizzare ai fini del pareggio il saldo favorevole realizzato a consuntivo dell’esercizio precedente.

Ulteriormente, questo meccanismo violerebbe anche il principio di veridicità e di trasparenza dei bilanci e di responsabilità politica per gli stessi, implicito, oltre che nell’art. 81 Cost., nelle norme statutarie che riservano al Consiglio regionale l’approvazione dei bilanci. In tal caso, infatti, l’organo rappresentativo, che risponde al corpo elettorale, si troverebbe costretto dalla norma impugnata ad approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perché l’avanzo degli esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della Regione, non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, in quanto imputato al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione e in esso confuso.

In terzo luogo, sarebbe violato anche il principio sotteso all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale n. l del 2012, che vorrebbe appositamente regolate le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Osserva al riguardo la ricorrente che non potrebbe dirsi regolazione quello che è solo un effetto indiretto – per quanto voluto – di una regola contabile (non a caso contenuta in una disposizione che non si occupa del concorso degli enti territoriali alla sostenibilità del debito pubblico, oggetto, invece, di altra previsione).

Sotto tale profilo risulterebbero inoltre violati il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., dal momento che la norma produrrebbe effetti del tutto casuali e non correlati a una vera e propria “capacità contributiva” dell’ente, poiché la presenza di una avanzo di amministrazione non sarebbe di per sé sintomatica di una situazione finanziaria dell’ente realmente buona, né significherebbe che tutto quell’avanzo possa essere contabilizzato a servizio del debito consolidato della amministrazioni pubbliche. Detto rilievo di irragionevolezza sarebbe poi confermato, sul piano dei dati normativi, dal fatto che la norma impugnata si pone in contrasto con la logica interna del sistema delineato dalla legge rinforzata n. 243 del 2012, che configura il pareggio di bilancio come un obiettivo di medio termine (art. 3, comma 2: «[l]’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di medio termine»). La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sarebbe quindi costantemente ostacolata nel raggiungimento di questo obiettivo dalla permanente sottrazione alla propria disponibilità delle risorse che pure statutariamente le spettano, ma che non potrebbe ragionevolmente riuscire a impiegare nell’anno di riscossione per la struttura stessa del meccanismo di riscossione. In tal caso, sarebbe evidente la ridondanza di tale violazione sull’esercizio di competenze costituzionalmente riservate alla Regione autonoma, che richiedono l’approvazione di spese e l’erogazione di fondi.

3.3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia censura ulteriormente il predetto comma 466, quarto periodo, laddove stabilisce che «[…] a decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali».

Osserva che detta disposizione pone limiti alla rilevanza dell’avanzo di bilancio se utilizzato per finanziare il fondo pluriennale vincolato, consentendo, cioè, il computo di tale fondo ai fini dell’equilibrio di bilancio solo se sia stato finanziato tramite le entrate finali (e quindi non con l’avanzo di amministrazione).

Tali censure, che sono sul punto coincidenti con quelle della Provincia autonoma di Trento, considerano la previsione per cui, a partire dall’esercizio 2020, l’inclusione del fondo pluriennale vincolato tra le entrate e le spese finali è consentita solo nella parte in cui esso è finanziato con le entrate finali, con esclusione, quindi, della possibilità di considerare il fondo stesso ai fini dell’equilibrio di bilancio se esso sia stato finanziato tramite l’avanzo di esercizio. Secondo la Regione, tale disposizione restrittiva lederebbe anzitutto la propria autonomia finanziaria, violando le norme contenute nel Titolo IV dello statuto, in particolare l’art. 48 – che configura la finanza dell’ente come finanza propria – l’art. 49 – che attribuisce alla Regione autonoma quote dei tributi erariali – l’art. 51 – che individua le altre entrate della Regione autonoma – e l’art. 63, ultimo comma, che consente modifiche alle norme predette solo con il procedimento negoziato ivi previsto. Secondo la ricorrente, sarebbero lese anche le norme sull’autonomia finanziaria e patrimoniale della Regione dettate dall’art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., ove più favorevole, in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; nonché, in ragione degli effetti sostanzialmente sottrattivi che derivano dalla norma qui contestata, il principio dell’accordo, ricavabile dagli artt. 63 e 65 dello statuto speciale e confermato dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e dalle norme di attuazione elencate al precedente punto.

Ad avviso della ricorrente, tali limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato rimarrebbero incostituzionali anche nell’ipotesi in cui esse dovessero ritenersi strumentali alla sostenibilità del debito pubblico, per ragioni corrispondenti a quelle esposte al punto precedente in relazione alla problematica dell’avanzo di amministrazione. Sarebbe infatti violato anche il principio di cui all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, che vuole appositamente regolate le modalità con cui gli enti territoriali concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Inoltre, sarebbero lesi il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza, considerato che tale contributo sarebbe automaticamente generato in funzione dell’applicazione di una regola contabile che è dettata a tutt’altri fini e non di un reale capacità contributiva dell’ente, visto che la presenza dell’avanzo di bilancio non è necessariamente strutturale, bensì può dipendere – e nel caso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia effettivamente dipenderebbe – dalle regole costituzionali sulle entrate regionali, fondate sulle compartecipazioni, e dall’indisponibilità di informazioni sulla base imponibile, monopolizzate dallo Stato.

Anche in questo caso – si prosegue – analogamente a quanto accade con i limiti previsti dall’art. l, comma 466, secondo periodo, della legge n. 232 del 2016 per gli altri utilizzi dell’avanzo di bilancio, l’irragionevolezza della regola contestata si rifletterebbe negativamente sull’esercizio delle competenze legislative e amministrative della Regione, che tipicamente comportano programmazione di spesa. Poiché l’introduzione del fondo pluriennale vincolato è imposta dalla legislazione statale di armonizzazione della finanza pubblica, la sua limitata computabilità ai fini del pareggio, se finanziato con l’avanzo di bilancio, sarebbe lesiva anche del principio costituzionale di leale collaborazione.

3.4.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna anche l’art. 1, comma 483, della legge n. 232 del 2016, nel caso in cui tale disposizione si dovesse interpretare nel senso di coinvolgere la Regione nel sistema sanzionatorio relativo al pareggio di bilancio, ma non in quello premiale di cui al comma 479. Secondo la ricorrente, in tale ipotesi si produrrebbe la violazione della legge n. 243 del 2012, e in particolare dell’art. 9, comma 4, che prevede un impianto nel quale il sistema delle sanzioni non potrebbe essere disgiunto dal sistema dei premi.

Inoltre, l’art. l, comma 483, della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui escludesse la ricorrente Regione dal solo sistema dei premi, violerebbe anche il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), perché determinerebbe un’evidente e ingiustificata discriminazione tra essa – che si troverebbe esposta al sistema delle sanzioni, per l’ipotesi che non riuscisse a conformarsi ai vincoli di bilancio, ma non potrebbe mai godere del riconoscimento di un comportamento virtuoso – e la totalità delle altre Regioni, per le quali potenzialmente opera un siffatto riconoscimento.

3.5.– La ricorrente lamenta altresì l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, laddove avrebbe irragionevolmente escluso dall’accordo tra Stato e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia l’individuazione dell’annualità dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) di riferimento per la verifica degli accantonamenti dell’IMU finalizzati alla neutralità finanziaria, infrangendo il giudicato costituzionale formatosi con la sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte.

Espone che tale decisione ha dichiarato incostituzionale l’art. 1, commi 711, 712 e 729, della legge n. 147 del 2013 – nella parte in cui tali disposizioni si applicavano alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – in quanto contrastanti con gli artt. 49, 51, secondo comma, e 63, quarto comma, dello statuto e con il principio di leale collaborazione. La questione sottoposta allora all’attenzione di questa Corte riguardava l’imposizione alla Regione autonoma, al fine di preservare la neutralità finanziaria dopo la sostituzione dell’ICI con l’IMU, del sistema dell’accantonamento a favore dello Stato di una parte dei tributi altrimenti destinati agli enti locali, maggiore o minore a seconda delle previsioni di gettito e stabilita, peraltro, senza tenere conto del minor introito causato dai numerosi casi di esenzione dall’applicazione dell’IMU stessa (per effetto del comma 712). Nello stesso contesto si precisava che lo Stato può sì adottare delle determinazioni unilaterali (come accadeva per l’accantonamento), ma che tale metodo deve essere tuttavia inteso come rimedio provvisorio per assicurare una corretta fase di “sperimentazione finanziaria”, indispensabile per realizzare un neutrale trapasso al nuovo sistema tributario definito dalla riforma. Le determinazioni unilaterali, in altre parole, non potrebbero essere permanenti, ma, per loro natura, interinali. L’attribuzione del carattere permanente agli accantonamenti stabiliti unilateralmente su mere basi previsionali costituiva invece una violazione del principio dell’accordo, come emergeva confrontando la disposizione impugnata con il combinato delle norme contenute, rispettivamente, nell’art. 49 dello statuto speciale, che prevede le compartecipazioni regionali ai tributi erariali, nel successivo art. 51, secondo comma, il quale stabilisce la spettanza alla Regione di compartecipazioni e addizionali su tributi erariali che le leggi dello Stato attribuiscono agli enti locali del proprio territorio, e nell’art. 63, quarto comma, del medesimo statuto, il quale prevede il metodo dell’accordo, nonché nell’art. l, comma 159, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», volto ad assicurare la neutralità finanziaria correlata a nuove forme di imposizione in sostituzione di tributi vigenti.

Nel merito, la ricorrente evidenzia come già in occasione degli incombenti istruttori disposti in quel procedimento fosse emerso il «[…] vizio genetico derivante dalla grave sottovalutazione del precedente gettito effettivo dell’ICI, indefettibile termine di paragone per verificare la neutralità finanziaria delle compensazioni previste dalla riforma», cui sarebbe correlata «la sovrastima del maggior gettito dell’IMU, la quale altererebbe ulteriormente la forbice differenziale, riverberandosi sul calcolo dell’accantonamento per tutte le annualità successive» (sentenza n. 188 del 2016). Nella medesima sentenza, inoltre, si evidenziava che le disposizioni statutarie e il principio di leale collaborazione erano stati violati anche «[…] sotto un ulteriore profilo: ossia per la mancata previsione di una corretta condivisione, da parte dello Stato, dei dati analitici necessari ad effettuare in contraddittorio le compensazioni indispensabili ad assicurare la neutralità della riforma fiscale nelle relazioni finanziarie tra Stato ed enti territoriali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ed, eventualmente, le altre operazioni di cui all’art. 27 della legge n. 42 del 2009 finalizzate alla razionalizzazione delle risorse tributarie assegnate alla medesima Regione ed ai propri enti locali». Così, il legislatore aveva finito per offrire «un quadro opaco ed autoreferenziale per quel che concerne le dinamiche applicative del riparto del gettito», che si traduceva in un’«inadeguata traduzione del modello costituzionale nel meccanismo giuridico», recante pregiudizio alla «possibilità di un consapevole contraddittorio, finalizzato ad assicurare la cura di interessi generali quali l’equilibrio dei reciproci bilanci, la corretta definizione delle responsabilità politiche dei vari livelli di governo in relazione alle scelte e alle risorse effettivamente assegnate e la sostenibilità degli interventi pubblici in relazione alle possibili utilizzazioni alternative delle risorse contestate, nel tessuto organizzativo delle amministrazioni concretamente interessate al riparto del gettito fiscale». In sintesi, pertanto, si sarebbe evidenziato, per un verso, che era mancato il necessario accordo alla base delle modalità di compensazione per il maggiore o minore gettito derivante dalla sostituzione dell’ICI con l’IMU, onde conservare la neutralità finanziaria; per altro verso, a monte di ciò, veniva posto in luce come una discussione sul punto non potesse in ogni caso essere intavolata tra le parti in assenza di una reale condivisione dei dati di base volti ad assicurare la neutralità finanziaria dell’operazione nel suo complesso.

Tanto premesso, secondo la Regione ricorrente la disposizione di cui all’art. l, comma 519, della legge n. 232 del 2016, adottata in conseguenza della sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte, ne soddisferebbe solo parzialmente i dettami. Se infatti, da un lato, si dispone che «[i]l Ministero dell’economia e delle finanze e la regione Friuli Venezia Giulia procedono, mediante intesa da raggiungere entro il 30 giugno 2017, alla verifica della misura degli accantonamenti effettuati nei confronti della regione Friuli Venezia Giulia, ai sensi dell’articolo l, commi 711, 712 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per gli anni dal 2012 al 2015» – richiamandosi, quindi, al metodo dell’accordo imposto dalla sentenza poc’anzi citata – dall’altro, proprio con l’ultima parte del comma si viene a escludere dall’accordo un elemento di estrema importanza, sancendo cioè che la verifica riguarderà gli accantonamenti effettuati «per effetto delle modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare».

Osserva al riguardo la ricorrente che l’ultimo anno di applicazione dell’ICI è stato il 2011 e i rendiconti dei Comuni della Regione hanno registrato un gettito ICI nel 2011 superiore a quello del 2010.

Stando così le cose, secondo la ricorrente sarebbe evidente che il legislatore statale abbia determinato del tutto unilateralmente il referente temporale cui agganciare il parametro di valutazione del gettito, scegliendo, inoltre, non l’annualità più recente, e dunque quella meglio in grado di registrare l’effettiva dimensione del gettito del tributo locale, ma l’annualità precedente. Tale arbitraria scelta sarebbe pregiudizievole per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in quanto, attraverso di essa, si sovrastimerebbe il maggior gettito e dunque si determinerebbe un artificioso incremento delle spettanze dello Stato. Così facendo, inoltre, quest’ultimo escluderebbe dall’accordo proprio uno di quegli altri profili di natura contabile tra i quali rientra, come affermato nella citata sentenza n. 188 del 2016, «la verifica di congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie», così occultando – o comunque dando per già acquisito, a monte di ogni possibile discussione con la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – un dato invece fondamentale, quale quello dell’annualità di riferimento.

Secondo la ricorrente, l’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016 contrasterebbe, altresì, con l’art. 119 Cost. e con gli artt. 48, 49, 51, 63 e 65 dello statuto speciale, nonché con l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, in definitiva, con il principio dell’accordo, secondo i principi stabiliti dalla sentenza n. 188 del 2016. Infine, proprio perché si tratta di profili di incostituzionalità già sanzionati, sarebbe leso anche l’art. 136, Cost. e quindi sussisterebbe violazione del giudicato costituzionale.

3.6.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna l’art. 1, comma 463, della legge n. 232 del 2016, laddove questo dovesse essere inteso nel senso di determinare l’applicazione alla ricorrente, per l’anno 2016, delle sanzioni di cui all’art. 1, comma 723, della legge n. 208 del 2015.

Espone la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia che, secondo quanto dispone l’art. l, comma 463, primo periodo, della legge 232 del 2016, «[a] decorrere dall’anno 2017 cessano di avere applicazione i commi da 709 a 712 e da 719 a 734 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208», cioè alcune delle disposizioni della legge di stabilità 2016 in materia di pareggio di bilancio. La questione di costituzionalità sollevata dalla ricorrente riguarda l’interpretazione, in relazione alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, della decorrenza della cessazione di tale applicazione dall’anno 2017. Al riguardo, lo stesso comma 463 citato prosegue mantenendo fermi non solo «gli adempimenti degli enti territoriali relativi al monitoraggio e alla certificazione del saldo di cui all’articolo 1, comma 710, della legge 28 dicembre 2015, n. 208», ma anche «l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208». Di seguito, la disposizione precisa che «[s]ono fatti salvi gli effetti connessi all’applicazione nell’anno 2016 dei patti di solidarietà di cui ai commi da 728 a 732 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208» (terzo periodo). Una delle disposizioni alle quali il primo periodo dell’art. 1, comma 463, della legge n. 232 del 2016 toglie efficacia «a decorrere dall’anno 2017» è l’art. 1, comma 734, della legge n. 208 del 2015, il quale sanciva che «[p]er gli anni 2016 e 2017, alle regioni Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, alla Regione siciliana e alle province autonome di Trento e di Bolzano non si applicano le disposizioni di cui al comma 723 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’articolo l, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato». In estrema sintesi, secondo la ricorrente con detto comma 734 lo Stato applicava alle indicate autonomie speciali, tra le quali la ricorrente, sia la disciplina del patto di stabilità, sia quella del pareggio di bilancio, provvedendo tuttavia a escludere l’applicazione delle sanzioni in caso di violazione delle norme relative al pareggio di bilancio. La nuova disposizione di cui all’impugnato comma 463, nel primo periodo, sopprime tale esenzione a decorrere dall’anno 2017 mentre, contestualmente, nel secondo periodo, stabilisce che rimane ferma «l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208».

La ricorrente ritiene che un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione imporrebbe di ritenere che l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016 rimanga bensì «ferma», ma soltanto per le Regioni per le quali essa era fin dall’inizio prevista, con l’eccezione, cioè, delle autonomie speciali di cui all’art. 1, comma 734, della legge n. 208 del 2015. In altre parole, l’espressione «a decorrere dall’anno 2017» dovrebbe essere intesa come rivolta a sottoporre a monitoraggio e potenziale sanzione gli eventi contabili relativi al 2017, lasciano impregiudicati i corrispondenti eventi relativi al 2016, anche se la chiusura della relativa rendicontazione avverrà, come è ovvio, nel corso del 2017. Tale impostazione sarebbe del resto confortata proprio dalla presenza, all’interno del nuovo sistema, dell’art. 1, comma 483, della legge n. 232 del 2016, che ha tenore analogo a quello del citato comma 734, volto, cioè, a escludere le autonomie speciali dal sistema sanzionatorio del pareggio di bilancio.

La presente impugnazione viene prospettata, perciò, per la contraria ipotesi in cui si dovesse ritenere che le citate disposizioni del comma 463 sottopongano a monitoraggio e sanzione situazioni e comportamenti relativi al 2016, ossia a un periodo nel quale quelle situazioni e quei comportamenti ne erano esenti in ragione dell’art. 1, comma 734, della legge n. 208 del 2015. In questo caso, espone la ricorrente, il legislatore pretenderebbe di regolare l’esercizio trascorso con norme diverse da quelle che lo regolavano durante l’esercizio medesimo e, così facendo, renderebbe possibile applicare alla Regione autonoma Friuli¬Venezia Giulia delle sanzioni per comportamenti tenuti in un anno – il 2016 – nel quale essi non erano sanzionabili per espressa previsione della legge statale.

Tanto, secondo la ricorrente, contrasterebbe sia con l’art. 25, secondo comma, Cost., sotto il profilo del divieto di retroattività sanzionatoria, sia con il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3, Cost., da ritenersi lesi per il fatto che lo Stato avrebbe prima legiferato, esentando la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia dal regime delle sanzioni relative al pareggio di bilancio, e poi avrebbe eliminato tale esenzione, regolando così una fattispecie – evidentemente non più modificabile nelle sue caratteristiche storicamente consolidate – collocata nell’anno passato in modo opposto a quanto fatto mentre esso era in corso. Secondo la ricorrente sarebbe inoltre evidente, sempre in relazione all’art. 3 Cost., e anche in connessione con l’art. 97 Cost., la violazione del legittimo affidamento risposto dagli amministratori della Regione autonoma nella permanenza, per l’anno 2016 ormai trascorso, del regime disposto dal legislatore statale specificamente per il 2016. E tali violazioni ridonderebbero in una lesione della autonomia finanziaria regionale consacrata dagli artt. 48 e 49 dello statuto speciale.

4.– Si è costituito anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

La difesa dello Stato preliminarmente osserva che nell’ordinamento italiano l’allineamento del sistema di regole interne con i vincoli del nuovo patto europeo denominato Fiscal Compact è avvenuto con la legge cost. n. 1 del 2012, la quale, novellando gli artt. 81, 97, 117 e 119 Cost., ha introdotto un principio di carattere generale, secondo cui tutte le amministrazioni pubbliche devono assicurare l’equilibrio tra entrate e spese del bilancio e la sostenibilità del debito.

Le norme impugnate non sarebbero pertanto lesive dei princìpi in tema di riserva di legge rinforzata. Ciò in quanto il citato art. 81, sesto comma, Cost., nel prevedere che «[i]l contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale», non precluderebbe l’utilizzo di una legge ordinaria per la disciplina di dettaglio.

Nella fattispecie le norme oggetto di ricorso, nel rispetto dei princìpi di cui alla legge rinforzata, ne avrebbero richiamato il contenuto al fine di dare fondamento ai successivi meccanismi applicativi (monitoraggio e sanzioni).

In merito alla doglianza concernente il fatto che tra le entrate finali valide ai fini dell’equilibrio di bilancio non risulti anche l’avanzo di amministrazione dell’anno precedente, la difesa dello Stato rileva preliminarmente che l’art. 1, comma 466, della legge n. 232 del 2016 contiene le indicazioni relative alle nuove regole di finanza pubblica previste per le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano, le Città metropolitane, le Province e i Comuni al fine di adeguarle alle modifiche recentemente apportate dalla legge n. 164 del 2016 alla disciplina dell’equilibrio di bilancio, contenuta nella legge n. 243 del 2012, di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio.

In particolare, l’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012, inserito dall’art. 1, comma 1, lettera b), della citata legge n. 164 del 2016, al fine della determinazione del saldo di competenza tra entrate finali e spese finali, specifica che «le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio». Ne consegue che l’avanzo di amministrazione non risulterebbe ricompreso tra le voci di entrata che costituiscono gli equilibri di bilancio, declinati attraverso il rispetto del predetto saldo.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la previsione censurata risponda all’esigenza di coordinare le regole di finanza pubblica cui sono sottoposti gli enti territoriali con le regole europee della competenza economica, secondo cui gli avanzi di amministrazione realizzati in esercizi precedenti non sono conteggiati ai fini del conto consolidato delle Amministrazioni pubbliche utilizzato per la verifica del rispetto dei vincoli europei.

Non sarebbero quindi condivisibili le censure concernenti la violazione degli artt. 48, 49, 51 e 63 dello statuto speciale, atteso che le regole di finanza pubblica sarebbero connotate da una generalità e sistematicità che non accetta deroghe in favore di singoli enti.

Pur potendosi comprendere le difficoltà richiamate nel ricorso dovute alla variabilità delle entrate della Regione, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che esse debbano trovare soluzione non nell’ambito delle regole generali di finanza pubblica, ma semmai attraverso l’introduzione di meccanismi correttivi nell’attribuzione alla Regione del gettito da compartecipazione ai tributi erariali, ovvero mediante una modifica statutaria che sancisca il passaggio dal gettito riscosso al gettito maturato, come già avvenuto per le altre autonomie speciali.

Anche in relazione all’impugnazione del quarto periodo del citato comma 466, la difesa statale osserva che anche tale disposizione recepisce pedissequamente, con riferimento agli obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2017-2019, quanto espressamente previsto nella fonte sovraordinata e, in particolare, dal comma l-bis del novellato art. 9 della legge n. 243 del 2012.

Evidenzia al riguardo che il menzionato art. 9, anche nella versione originaria, precedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 164 del 2016, aveva provveduto a individuare i saldi rilevanti ai fini dell’equilibrio di bilancio, escludendo l’avanzo di amministrazione, nonché le entrate rinvenienti da debito, dalle voci di entrata che costituivano gli equilibri di bilancio.

Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama quanto già sopra osservato in merito al necessario coordinamento tra la contabilità utilizzata in sede europea e la contabilità adoperata dagli enti territoriali, tenuto conto che il pareggio di bilancio richiesto ai predetti enti trova una sua giustificazione nell’assunto che ognuno di essi contribuisce a determinare il saldo consolidato delle pubbliche amministrazioni su cui l’Italia ha un vincolo esterno da rispettare nei confronti dell’Unione europea.

Pertanto, non sarebbero fondate le censure concernenti la compressione dell’autonomia finanziaria formulate in riferimento allo statuto, atteso che le regole di finanza pubblica contenute nelle disposizioni in esame sono connotate da una generalità e sistematicità che non consente deroghe in favore di singoli enti.

Con riguardo all’impugnazione dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene il ricorso infondato, in quanto si baserebbe su una lettura non corretta della sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte.

Per quanto concerne il fatto che la norma sarebbe il frutto di una scelta unilaterale del legislatore nazionale, il Presidente del Consiglio dei ministri evidenzia come l’individuazione dell’annualità di riferimento per calcolare il gettito ICI rappresenti il punto di riferimento che si ritiene non debba essere oggetto di concertazione e condivisione con la Regione, né al momento della formulazione della norma, né tanto meno in fase di accordo. Ciò in quanto l’annualità 2010 rappresenterebbe l’anno di riferimento preso in considerazione dalla relazione tecnica allegata al decreto- legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, con il quale si è realizzato il passaggio dall’ICI all’IMU, il cui importo, di euro 9.193 milioni, rappresenterebbe il dato di contabilità nazionale rilevato dall’ISTAT, per il gettito ICI 2010, risultante dalla tabella allegata al predetto decreto-legge e che ne costituisce parte integrante.

La difesa statale rammenta che il passaggio dall’ICI all’IMU costituisce solo una fase della più complessa riforma fiscale programmata dalla legge n. 42 del 2009 e cominciata nel 2011 con il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), che contiene la disciplina dell’IMU, anticipata poi in via sperimentale proprio dall’art. 13 del d. l. n. 201 del 2011 «in tutti i comuni del territorio nazionale in base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23».

Pertanto, il valore del gettito dell’ICI così determinato rappresenterebbe un dato di finanza pubblica e, in quanto tale, farebbe venir meno le censure di unilateralità e autoreferenzialità del comportamento del legislatore nazionale.

D’altronde, lo stesso dato – si prosegue – sarebbe utilizzato al fine di definire i rapporti finanziari sia con i Comuni delle Regioni a statuto ordinario, della Regione Siciliana e della Sardegna nell’ambito del fondo di solidarietà comunale sia con le altre Regioni o Province autonome che hanno la competenza in materia di finanza locale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene dunque che il principio di indivisibilità di cui all’art. 5 Cost. imponga di considerare il dato del gettito dell’ICI riferito all’anno 2010 unico per tutto il territorio italiano al fine di definire i rapporti finanziari conseguenti all’introduzione in via sperimentale dell’IMU.

Alla luce del quadro di riferimento sopra descritto, si chiarirebbe anche la portata dell’art. 13, comma 17, del d. l. n. 201 del 2011, sulla quale non è intervenuta la citata sentenza n. 188 del 2016, laddove stabilisce che «[...] con le procedure previste dall’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d’Aosta, nonché le Province autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero al bilancio statale del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio territorio».

Pertanto, il dato dell’ICI 2010, pari a euro 9.193 milioni, dovrebbe ritenersi incontestabile anche sulla base di quanto ha ritenuto questa Corte e quindi sarebbe legittimo l’espresso riferimento operato dall’impugnato comma 519 alle «modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare».

Il resistente, inoltre, richiama quanto affermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 3 novembre 2015, n. 5008, che ha parzialmente accolto la doglianza avanzata dalla difesa dello Stato e ha precisato che il dato di gettito stimato dell’ICI relativo all’anno 2010, pari a euro 9.193 milioni, era stato alla base dell’accordo del 1° marzo 2012 che aveva definito l’importo della dotazione del citato fondo di solidarietà ed era immodificabile. Di conseguenza – si prosegue – la norma impugnata non poteva che far riferimento alle «modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare», considerato che l’utilizzo di un parametro di riferimento differente rispetto al dato ISTAT 2010 avrebbe comportato una disparità di trattamento nei confronti dei Comuni delle Regioni a statuto ordinario, con un’irragionevole e ingiustificata riduzione delle risorse finanziarie in loro favore, data la necessità di mantenere invariata la dotazione complessiva del fondo. L’utilizzo di un parametro differente avrebbe, in altri termini, comportato una violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e di indivisibilità sancito dall’art. 5 Cost. in un contesto di federalismo non competitivo, ma solidale, nonché del principio di ragionevolezza.

5.– Tutte le ricorrenti hanno depositato memoria in vista dell’udienza pubblica.

5.1.– La Provincia autonoma di Bolzano, richiamate le proprie difese, evidenzia che l’art. 1, comma 483, della legge n. 232 del 2016 è stato abrogato, a decorrere dal primo gennaio 2018, dall’art. 1, comma 828, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020). Dalle schede di lettura sulla legge di bilancio 2018 si intenderebbe che lo stesso legislatore statale riteneva operante tale disposizione. La ricorrente, infine, richiama quanto affermato dalla recente sentenza n. 247 del 2017 di questa Corte.

Da tutto quanto in precedenza esposto deriverebbe che la disposizione di cui alla lettera b) dell’impugnato comma 475, nella parte in cui prevede che in caso di mancato versamento degli importi previsti si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale, violi anche il principio di leale collaborazione e quello dell’accordo, in quanto consentirebbe allo Stato di determinare unilateralmente se sussista un debito, nonché a quanto esso ammonti, e, in più, anche di trattenere somme spettanti alla Provincia autonoma di Bolzano in forza dello statuto, in violazione dell’autonomia finanziaria a essa garantita.

5.2.– La Provincia autonoma di Trento rammenta che nel proprio ricorso, con riferimento alle limitazioni poste dall’impugnato comma 466, relativamente all’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, aveva lamentato che le disposizioni censurate strumentalizzassero una regola contabile a un fine di mero e contingente coordinamento della finanza pubblica.

Tale strumentalità – si prosegue – sarebbe confermata dallo stesso atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, in cui si riconosce che le disposizioni in questione hanno la finalità di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dalla appartenenza all’Unione europea e le si qualifica come «espressione di un principio di coordinamento della finanza pubblica».

Senonchè, obietta la Provincia autonoma di Trento, proprio tale strumentalizzazione delle regole sull’equilibrio del bilancio al fine di produrre contribuzioni alla finanza pubblica sarebbe stato censurato dalla sentenza n. 247 del 2017 di questa Corte, che ha stabilito la corretta interpretazione dell’art. 1, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, della legge n. 164 del 2016, dopo aver premesso che, ove le norme limitative dell’utilizzo del fondo pluriennale vincolato (tra cui quella che stabilisce che «a decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali») fossero interpretate come fonte di contribuzione ai vincoli di finanza pubblica, esse sarebbero illegittime sotto molteplici profili, tra i quali quelli dedotti nel presente giudizio.

Secondo la ricorrente, pertanto, la stessa conclusione si imporrebbe anche con riferimento all’impugnato comma 466, quarto periodo, di tenore letterale identico a quello dell’art. 1, comma 1, lettera a), terzo periodo, della legge n. 164 del 2016, e quindi tale disposizione andrebbe assoggettata alla stessa interpretazione correttiva o, al contrario, qualora fosse intesa nel senso fatto proprio dal Presidente del Consiglio dei ministri, se ne dovrebbe dichiarare l’illegittimità costituzionale.

5.3.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in merito alla dedotta violazione della riserva di legge rinforzata costituita dall’art. 9 della legge n. 243 del 2012, non nega che il comma 466 «recepisce pedissequamente» – come afferma anche il Presidente del Consiglio dei ministri – quanto prescrive l’art. 9, comma 1¬bis, della legge rinforzata n. 243 del 2012, senonché, per la Regione autonoma, tale identità testuale e precettiva, lungi dall’escludere la sussistenza del vizio, ne costituirebbe il fondamento, dacché quelle norme dovevano essere contenute nella fonte rinforzata e quindi tanto dimostrerebbe l’incompetenza della comune legge ordinaria.

Né, secondo la medesima ricorrente, varrebbe obiettare, come argomenta invece l’Avvocatura generale dello Stato, che la riserva di legge di cui all’art. 5 della legge cost. n. l del 2012 e all’art. 81, sesto comma, Cost. non precluderebbe una disciplina di dettaglio oppure che la ripetizione del contenuto dell’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012 a opera del comma 466 serva a dare fondamento a meccanismi applicativi regolati dai corrimi successivi. Osserva al riguardo la ricorrente che i due argomenti sarebbero intrinsecamente contradditori, perché o la disciplina è effettivamente di dettaglio e quindi potrebbe essere contenuta nella legge ordinaria, oppure, se funge da fondamento della disciplina di dettaglio, dovrebbe ritenersi logicamente una disciplina di principio e quindi dovrebbe essere collocata nella fonte rinforzata.

Peraltro, per effetto della coincidenza con quanto dispone l’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012, secondo la Regione si tratterebbe di una disciplina sostanzialmente riproduttiva di quella posta con legge rinforzata e che, quindi, non potrebbe essere di dettaglio rispetto a sé stessa, risultando in definitiva viziata da incompetenza in riferimento all’art. 81, sesto comma, Cost., e all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012.

La ricorrente osserva inoltre che, come avvenuto con le disposizioni censurate e quelle concernenti i limiti per l’utilizzo del fondo pluriennale vincolato, lo Stato persevererebbe nel riprodurre norme in materia di equilibrio di bilancio in occasionali leggi di bilancio. Tanto confermerebbe le censure regionali sullo strumentale utilizzo di tali disposizioni ai fini di contingenti esigenze di finanza pubblica, producendo quegli «effetti novativi sulla disciplina specificativa dei principi costituzionali di natura finanziaria e di quelli ad essi legati da un rapporto di interdipendenza», già censurati dalla sentenza n. 247 del 2017 di questa Corte in relazione all’abuso della tecnicità contabile.

Ciò dimostrerebbe, altresì, l’interesse sostanziale della Regione a vedere rimosse quelle disposizioni dalla legge ordinaria, per quanto le norme continuino a vivere nell’ordinamento, trovando la loro fonte stabile e condivisa, perché rinforzata, nell’art. 9, comma 1-bis, della legge n. 243 del 2012, il quale dovrà però essere interpretato in base alle direttive indicate nella citata sentenza n. 247 del 2017. Tale interesse avrebbe ricevuto espressa sanzione nella giurisprudenza costituzionale, la quale avrebbe ritenuto pienamente ammissibili – sul presupposto della lesività delle norme impugnate – le censure dirette contro disposizioni della legge n. 164 del 2016 che violavano la riserva di legge di cui all’art. 81, sesto comma, Cost.

Con riferimento all’illegittimità delle limitazioni poste all’utilizzabilità dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato, sollevate dalla ricorrente con riferimento al secondo e quarto periodo del comma 466, anche la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si richiama a quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 247 del 2017. Le ragioni ivi esposte imporrebbero quindi, ad avviso della ricorrente, la dichiarazione di incostituzionalità del comma 466, secondo e quarto periodo, in relazione ai parametri evocati o, in alternativa, un’interpretazione adeguatrice delle medesime disposizioni.

Relativamente alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, la ricorrente rammenta che la necessità di definire consensualmente con la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia le regolazioni finanziarie conseguenti alla riforma della fiscalità locale è stata affermata nella sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte, la quale ha censurato, tra l’altro, sia la carenza di neutralità dell’operazione di passaggio dall’ICI all’IMU, sia la carenza di trasparenza. In proposito rammenta come la pronuncia abbia sottolineato che la pianificazione del riparto di risorse conseguente alla riforma deve necessariamente utilizzare metodologie di stima preventiva, ma che tale operazione «rimane un fenomeno intrinsecamente giuridico e costituzionalmente rilevante», perché «riguarda anche gli interessi delle diverse collettività locali coinvolte, le quali hanno diritto ad un’informazione chiara e trasparente sull’utilizzazione del prelievo obbligatorio e sulla imputabilità delle scelte politiche sottese al suo impiego». La sentenza ha sì giustificato il sacrificio preventivo della fiscalità territoriale, ma ciò «in attesa della definitiva attuazione del parametro normativa, una volta che siano disponibili con chiarezza i dati necessari per il conguaglio tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia del gettito proveniente dalle diverse tipologie tributarie interessate dalla riforma».

Pertanto, secondo la ricorrente, se appare logico che, in vista dell’anticipazione dell’IMU al 2012, disposto nell’ambito della manovra realizzata dal d. l. n. 201 del 2011, il legislatore abbia operato, anche per procedere agli accantonamenti, sulla base dei dati disponili e quindi dell’ICI 2010 secondo stime di gettito, sarebbe, al contrario, del tutto irragionevole che nel procedere al conguaglio non si tenesse conto dei dati effettivi, una volta che questi siano disponibili. Al riguardo evidenzia che il rinvio, contenuto nel d. l. n. 201 del 2011, ai dati dell’ICI 2010 è stato fatto in sede preventiva e di programmazione, mentre la citata sentenza n. 188 del 2016 avrebbe riconosciuto il diritto della Regione a un conguaglio a consuntivo, il quale non potrà che tenere conto dei dati effettivi.

Rammenta inoltre come la menzionata sentenza abbia sottolineato che «il Presidente del Consiglio dei ministri non rispond[e] alla censura regionale, secondo cui le stime contenute nelle disposizioni impugnate avrebbero un vizio genetico derivante dalla grave sottovalutazione del precedente gettito effettivo dell’ICI, indefettibile termine di paragone per verificare la neutralità finanziaria delle compensazioni previste dalla riforma», con conseguente «sovrastima del maggior gettito dell’IMU, la quale altererebbe ulteriormente la forbice differenziale, riverberandosi sul calcolo dell’accantonamento per tutte le annualità successive», ma ha anche aggiunto che «malgrado le puntuali richieste istruttorie in proposito formulate da questa Corte, non vi è traccia nella risposta dell’Avvocatura generale dello Stato di informazioni e quantificazioni finanziarie circa il problema sollevato dalla ricorrente in ordine al mancato rispetto della neutralità finanziaria».

Dunque – prosegue la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – non solo non vi sarebbe alcun giudicato costituzionale sul punto relativo al gettito dell’ICI, ma piuttosto il significato sarebbe esattamente opposto a quello sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri: non nel senso dell’incontestabilità del dato di partenza (cioè il gettito dell’ICI riferito all’anno 2010), bensì della necessità di quantificare il gettito di tale imposta secondo dati reali e condivisi. E tale giudicato, appunto, sarebbe violato dalla pretesa della norma impugnata di imporre unilateralmente un determinato anno di riferimento. Infine, secondo la ricorrente sarebbe del tutto irrilevante la giurisprudenza amministrativa citata dal resistente, che considera immodificabile il dato di riferimento all’anno 2010 in quanto su di esso era intervenuto l’accordo con l’Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). In proposito, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia replica di non essere mai stata parte di tale accordo, funzionale alla determinazione del fondo di solidarietà comunale, cui i Comuni friulani non partecipano, sicché, da un lato, a nulla rileverebbe che il gettito dell’ICI 2010 fosse stato assunto quale base per la determinazione del fondo; dall’altro, l’adozione dei dati reali per il conguaglio sarebbe priva di ogni effetto sulla dotazione di quel fondo e non ne avrebbe alcuno sui Comuni delle Regioni a statuto ordinario.

Considerato in diritto 1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato, tra gli altri, i commi 463, 466, primo, secondo e quarto periodo, 483 e 519 dell’art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 81, primo e sesto comma, 97, 117, terzo comma, 119, primo, secondo e sesto comma, 136 Cost. e all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) – in relazione agli artt. 3 e 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), come modificato dalla legge 12 agosto 2016, n. 164 (Modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali) – agli artt. 48, 49, 51, 63 e 65 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia); ai principi di ragionevolezza e di leale collaborazione e a quello dell’accordo in materia di finanza regionale (di cui agli artt. 63 e 65 dello statuto speciale e 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione»); nonché in relazione alle norme di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1965, n. 114 (Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale), al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 8 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia recanti modifiche ed integrazioni al D.P.R. 23 gennaio 1965, n. 114, concernente la finanza regionale); al decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 137 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia in materia di finanza regionale).

2.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la Provincia autonoma di Bolzano ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, comma 475, lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 79, commi 1, 3 e 4, 80, 81, 103, 104 e 107 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) – in relazione alle corrispondenti norme di attuazione (in particolare, artt. 17 e 18 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale», e decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra gli atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento») – agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. e all’accordo del 15 ottobre 2014, recepito dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)»; al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; agli artt. 81 e 97 Cost., anche in relazione alla legge cost. n. l del 2012 e alla legge n. 243 del 2012.

3.– Con il ricorso indicato in epigrafe, la Provincia autonoma di Trento ha impugnato, tra gli altri, l’art. 1, commi 466, quarto periodo, 475, lettere a) e b), 479, lettera a), e 483, primo periodo (nella parte in cui richiama il precedente comma 479), della legge n. 232 del 2016 in riferimento agli artt. 8, 16, 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto di autonomia – in relazione alle corrispondenti norme di attuazione (in particolare, artt. 17, 18 e 19 del d.lgs. n. 268 del 1992; art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992); all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474, recante «Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità» – agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. e all’accordo del 15 ottobre 2014, recepito dalla legge n. 190 del 2014; al principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 Cost. e all’art. 81 Cost., anche in relazione alla legge cost. n. 1 del 2012 e alla legge n. 243 del 2012.

4.– Riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe, i giudizi relativi a quelle precedentemente descritte debbono essere riuniti, in ragione della parziale coincidenza delle norme censurate e dei parametri evocati.

Seguendo l’ordine delle disposizioni impugnate, ai fini del presente giudizio le doglianze delle ricorrenti possono essere sinteticamente rappresentate come segue.

4.1.– L’art. 1, comma 463, della legge n. 232 del 2016 è stato impugnato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 97 Cost. e agli artt. 48 e 49 dello statuto speciale.

I motivi dell’impugnazione sono dichiaratamente cautelativi in relazione alle potenziali interpretazioni del complesso dettato normativo.

La ricorrente teme che l’abrogazione dell’art. 1, comma 734, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» – il quale aveva previsto che, per gli anni 2016 e 2017, alle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige/Südtirol, alla Regione Siciliana e alle Province autonome di Trento e di Bolzano non si applicassero le disposizioni di cui al comma 723 e restasse ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’art. l, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)», come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato, e «l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208» – possa indurre a interpretare il comma 463 nel senso di sottoporre (retroattivamente) a monitoraggio e sanzione situazioni e comportamenti relativi al 2016, cioè a un periodo nel quale gli enti friulani ne sarebbero stati esenti in ragione del medesimo comma 734 dell’art. 1 della legge n. 208 del 2015.

4.2.– L’art. l, comma 466, della legge n. 232 del 2016 è stato impugnato dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, limitatamente al primo, secondo e quarto periodo, e dalla Provincia autonoma di Trento, limitatamente al quarto periodo, in rifermento agli artt. 81, 97 e 119, Cost., all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 e ai principi di ragionevolezza e di eguaglianza, oltre che ai parametri contenuti nei rispettivi statuti.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia impugna la norma nella parte in cui elenca i titoli di entrata e di spesa considerati ai fini del rispetto dell’equilibrio di bilancio, escludendo l’eventuale avanzo di amministrazione dalla parte attiva del bilancio stesso. Nel corso dell’udienza la difesa della Regione – che al momento del ricorso non conosceva la sopravvenuta sentenza n. 247 del 2017 di questa Corte – ha dichiarato di condividere l’interpretazione adeguatrice contenuta in tale sentenza, perimetrando le proprie censure sul diverso regime che entrerebbe in vigore nell’esercizio 2020.

Ciò anche in considerazione del fatto che l’avanzo di amministrazione sarebbe un cespite di proprietà dell’ente territoriale e non potrebbe essere “espropriato” per finalità afferenti ai vincoli generali di finanza pubblica.

Secondo la ricorrente, i concreti effetti lesivi della norma impugnata sarebbero particolarmente intensi e irragionevolmente discriminatori proprio per se stessa, in quanto la diacronia nella riscossione delle entrate costituenti la principale risorsa regionale (compartecipazioni ai tributi erariali) e la disomogeneità temporale della maturazione dei proventi derivati dalle operazioni sociali e infragruppo delle aziende di notevoli dimensioni operanti sul territorio renderebbero molto variabile, di anno in anno, la dimensione delle entrate regionali, «non prevedibile e non programmabile ex ante […]».

L’avanzo di amministrazione dell’esercizio precedente, una volta accertato e rappresentato nei rendiconti, sarebbe un elemento patrimoniale della Regione, che la norma impugnata renderebbe indisponibile da parte dell’ente (salvo che alle condizioni di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, come novellata dalla legge n. 164 del 2016), generando una situazione equivalente alla sottrazione materiale di risorse, analoga alla previsione di una riserva all’erario o di un accantonamento di entrata a valere sulle quote di tributi erariali di spettanza regionale.

La disposizione lederebbe anche le norme dello statuto speciale sulle quali è fondata l’autonomia finanziaria. Considerando poi l’effetto sostanziale “sottrattivo”, risulterebbe violato anche il principio dell’accordo, in applicazione del metodo pattizio che regola i rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ad avviso della ricorrente, la norma non potrebbe nemmeno giustificarsi con le esigenze della solidarietà nazionale o con quelle di concorso della Regione alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, menzionate dagli artt. 81, sesto comma, e 97, primo comma, Cost., nonché dall’art. 5, comma 2, della legge cost. n. l del 2012.

L’avanzo di amministrazione potrebbe essere “sterilizzato” ai fini dell’equilibrio del bilancio regionale allo scopo di essere poi riversato e contabilizzato nel conto consolidato delle amministrazioni pubbliche ai fini della rendicontazione europea, ma tale forma di concorso alla sostenibilità del debito pubblico, secondo la ricorrente, sarebbe comunque incompatibile con molteplici parametri costituzionali. Sarebbe violato, anzitutto, il principio per cui l’equilibrio complessivo deve risultare dalla sommatoria di bilanci in equilibrio e non dalla somma algebrica di bilanci in disavanzo e bilanci in attivo; la possibilità di compensazioni, del resto, sarebbe consentita soltanto nei limiti di cui all’art. 10 della legge n. 243 del 2012, in relazione alle operazioni di investimento.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia lamenta anche la violazione degli artt. 81 e 97 Cost., la cui combinazione costituirebbe una sorta di garanzia reciproca per tutti i livelli di governo, sia sotto il profilo dell’equilibrio individuale che di quello complessivo dei bilanci.

Il descritto meccanismo violerebbe, inoltre, secondo la ricorrente, il principio di veridicità, di trasparenza dei bilanci e di responsabilità politica, implicito, oltre che negli artt. 81 e 97 Cost., nelle norme statutarie che ne riservano al Consiglio regionale l’approvazione. L’organo rappresentativo regionale, che risponde al corpo elettorale, si troverebbe costretto dalla norma impugnata ad approvare un bilancio non trasparente e non veritiero, perché l’avanzo degli esercizi precedenti, pur registrato nelle scritture contabili della Regione, non sarebbe utilizzabile ai fini del pareggio di bilancio, in quanto verrebbe imputato al consolidamento dei conti della pubblica amministrazione e in esso confuso. L’elettore verrebbe così privato della possibilità di comprendere l’effettivo andamento della finanza regionale e di valutare corrispondentemente l’operato degli amministratori e dei rappresentanti eletti.

Risulterebbero infine violati il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza, dal momento che la norma produrrebbe effetti del tutto casuali e non correlati a una vera e propria “capacità contributiva” dell’ente, poiché la presenza di un avanzo di amministrazione non sarebbe di per sé sintomatica di una favorevole situazione finanziaria, né potrebbe significare che l’avanzo possa essere contabilizzato a servizio del debito consolidato delle amministrazioni pubbliche.

La ricorrente contesta poi la disposizione secondo cui, a partire dall’esercizio 2020, l’inclusione del fondo pluriennale vincolato tra le entrate e le spese finali sarebbe consentita solo nella parte in cui esso è finanziato con le entrate finali.

La disposizione lederebbe anzitutto l’autonomia finanziaria della Regione e avrebbe effetti sostanzialmente sottrattivi delle risorse necessarie per finanziare le funzioni statutariamente assegnate. Le limitazioni alla computabilità del fondo pluriennale vincolato sarebbero incostituzionali in relazione all’eventuale finalizzazione alla sostenibilità del debito pubblico, anche in riferimento ai principi in tema di equilibrio di bilancio e sostenibilità del debito di cui agli artt. 81 e 97 Cost.

Sarebbero altresì lesi il principio di ragionevolezza e il principio di eguaglianza, in quanto tale contributo, così indirettamente imposto, sarebbe automaticamente generato in funzione dell’applicazione di una regola contabile dettata per fini diversi dalla reale “capacità contributiva” dell’ente, visto che la presenza di un avanzo di bilancio potrebbe dipendere – come nel caso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – dalla peculiarità dei flussi finanziari inerenti alle entrate regionali.

Le censure dell’art. 1, comma 466, quarto periodo, della legge n. 232 del 2016 da parte della Provincia autonoma di Trento sono sostanzialmente coincidenti con quelle rivolte alla medesima norma dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

4.3.– Il successivo comma 475, lettere a) e b), è stato impugnato dalle Province autonome di Trento e di Bolzano in riferimento agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello statuto speciale, in relazione alle corrispondenti norme di attuazione; agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001; al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. e all’accordo del 15 ottobre 2014, recepito dalla legge n. 190 del 2014, e, quindi, al principio pattizio; al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e agli artt. 97 e 81 Cost., anche in relazione alla legge cost. n. l del 2012 e alla legge n. 243 del 2012.

Il comma citato introdurrebbe misure sanzionatorie a carico degli enti locali in caso di mancato conseguimento del saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. La norma in questione disciplinerebbe gli effetti del mancato conseguimento del «saldo non negativo» da parte dei Comuni, introducendo una disciplina specifica per la Regione Siciliana e la Regione autonoma della Sardegna, nonché per le autonomie speciali che hanno competenza in materia di finanza locale (Regione autonoma Valle d’Aosta, Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e Province autonome).

Secondo le ricorrenti, tale norma interferirebbe con l’assetto dei rapporti finanziari intercorrenti con lo Stato, che comprende anche la finanza dei Comuni dei rispettivi territori, come previsto nello statuto speciale, anche a seguito dell’accordo del 15 ottobre 2014 e delle conseguenti modificazioni statutarie intervenute.

Il comma impugnato, inoltre, non sarebbe conforme alle previsioni statutarie che attribuiscono alle Province autonome la potestà legislativa esclusiva e la corrispondente potestà amministrativa in materia di finanza locale.

L’obbligo di effettuare un versamento all’entrata del bilancio dello Stato in relazione allo scostamento registrato, di importo corrispondente a un terzo, si porrebbe in contrasto con l’autonomia finanziaria prevista dal Titolo VI dello statuto speciale e disciplinata in particolare dall’art. 79, comma 4, dello stesso – a seguito dell’accordo del 15 ottobre 2014 – come modificato ai sensi dell’art. 104 dello statuto.

Le Province autonome evidenziano, con riguardo all’art. 117, terzo comma, Cost., che esse non gravano sul bilancio dello Stato per il finanziamento della spesa dei propri Comuni. Inoltre, le medesime rispondono direttamente dell’obiettivo macroeconomico assegnato dallo Stato su base provinciale attraverso gli accordi.

Quindi, le somme sottratte agli enti locali non potrebbero comunque confluire nelle casse erariali.

4.4.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato anche il combinato disposto dei commi 479 e 483 dell’art. 1 della legge n. 232 del 2016, in riferimento all’art. 81 Cost., all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012 e all’art. 9, comma 4, della cosiddetta legge rinforzata n. 243 del 2012.

Le ricorrenti dubitano che tali disposizioni includano le autonomie speciali nel sistema delle relazioni finanziarie collegato alla riscossione delle sanzioni e all’erogazione dei premi da parte dello Stato.

La legge n. 232 del 2016, accanto alle previsioni sanzionatorie di cui all’art. 1, comma 475, introduce, al comma 479, anche quella di corrispettive misure premiali.

Secondo le ricorrenti, mentre il comma 475 prevede espressamente una riduzione dei trasferimenti erariali a carico degli enti locali inadempienti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, il successivo comma 479 non farebbe menzione, per il regime premiale, delle autonomie speciali.

L’art. 1, comma 483, della medesima legge n. 232 del 2016 – poi abrogato, a decorrere dal 1° gennaio 2018, dall’art. 1, comma 828, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020) – nella formulazione vigente al momento del ricorso stabiliva che «[p]er le Regioni Friuli-Venezia Giulia e Trentino Alto Adige nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai comma 475 e 479 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’articolo 1, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato».

Secondo le ricorrenti, il sistema delineato risulterebbe contraddittorio e sarebbe illegittimo nel caso in cui si considerassero prevalenti e vigenti i riferimenti alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, alla Provincia autonoma di Trento e ai rispettivi enti locali, contenuti nel comma 475, lettere a) e b). Risulterebbe, infatti, discriminatorio e iniquo partecipare al sistema sanzionatorio di cui al comma 475, senza poter partecipare al sistema premiale di cui al comma 479. Sarebbe violato, in particolare, il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), determinandosi un’ingiustificata discriminazione tra le ricorrenti – che si troverebbero esposte al sistema delle sanzioni, per l’ipotesi in cui non riuscissero a conformarsi ai vincoli di bilancio, senza poter beneficiare del riconoscimento di un comportamento virtuoso – e la totalità delle altre Regioni, per le quali potenzialmente opera tale riconoscimento.

4.5.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato l’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, in quanto contrasterebbe, oltre che con l’art. 3 Cost., per l’irragionevolezza della scelta di riferirsi al gettito dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) percepito in un anno arbitrariamente individuato, con l’art. 119 Cost. e con gli artt. 48, 49, 51, 63 e 65 dello statuto speciale, nonché con l’art. 27 della legge n. 42 del 2009 e, in definitiva, con il principio dell’accordo, secondo i principi stabiliti dalla sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte. Infine, trattandosi di profili di violazione ivi già accertati, la norma contrasterebbe con l’art. 136 Cost., per violazione del giudicato costituzionale derivante dalla citata sentenza.

La disposizione di cui all’art. l, comma 519, della legge n. 232 del 2016 sarebbe stata adottata, secondo la ricorrente, in conseguenza della menzionata sentenza n. 188 del 2016, sostanzialmente disattendendone i contenuti.

Se, per un verso, la norma impugnata dispone che «[i]l Ministero dell’economia e delle finanze e la Regione Friuli Venezia Giulia procedono, mediante intesa da raggiungere entro il 30 giugno 20l7, alla verifica della misura degli accantonamenti effettuati nei confronti della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, ai sensi dell’articolo l, commi 711, 712 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per gli anni dal 2012 al 2015» – richiamandosi quindi al metodo dell’accordo imposto dalla richiamata pronuncia – essa stabilisce, poi, che la verifica ha a oggetto gli accantonamenti realizzati «per effetto delle modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare».

In tal modo il legislatore statale avrebbe individuato del tutto unilateralmente il riferimento temporale cui agganciare il parametro di valutazione del gettito, scegliendo non l’annualità relativa ai singoli accantonamenti, ma un’annualità unica, arbitrariamente identificata nel 2010, esercizio finanziario in cui l’andamento del gettito è risultato essere, in sede di conguaglio, maggiormente favorevole allo Stato.

Tale arbitraria scelta sarebbe pregiudizievole per la ricorrente, in quanto consentirebbe una sovrastima del maggior gettito, determinando un artificioso incremento delle spettanze dello Stato. In tal modo, inoltre, quest’ultimo escluderebbe dall’accordo proprio uno di quegli «altri profili di natura contabile» tra i quali rientrerebbe «la verifica di congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie», così occultando o comunque dando per già acquisito, a monte di ogni possibile interlocuzione con la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, un dato considerato fondamentale nella sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte, quale quello dell’annualità di riferimento.

5.– Seguendo l’ordine delle disposizioni impugnate, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri possono, a loro volta, essere, ai fini del presente giudizio, così sinteticamente rappresentate.

5.1.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il comma 463 sancirebbe «il venir meno delle precedenti disposizioni in materia di pareggio di bilancio degli enti territoriali».

Il Presidente del Consiglio dei ministri, pur ammettendo che tale disposizione, di carattere generale, faccia venir meno, a decorrere dall’anno 2017, l’applicazione dei commi da 709 a 712 e da 719 a 734 dell’art. l della legge n. 208 del 2015, precisa che «il comma 734 è riprodotto dal comma 483 della legge n. 232 del 2016, il quale stabilisce che resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’art. 1, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato». Quindi, non vi sarebbero le ventilate modifiche al quadro legislativo previgente, di cui si duole la ricorrente.

5.2.– Con riguardo alla lamentata lesione dell’autonomia finanziaria regionale dovuta alla mancata inclusione dell’avanzo di amministrazione tra le entrate finali, che impedirebbe il raggiungimento del pareggio di bilancio, il Presidente del Consiglio dei ministri fa presente che la norma censurata risponderebbe all’esigenza di coordinare le regole di finanza pubblica, cui sono sottoposti gli enti territoriali, con le regole europee della competenza economica, secondo le quali gli avanzi di amministrazione realizzati in esercizi precedenti non sarebbero conteggiati ai fini del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche utilizzato per la verifica del rispetto dei vincoli europei.

La censura rivolta all’art. 1, comma 466, quarto periodo, della legge n. 232 del 2016 in materia di fondo pluriennale vincolato non sarebbe fondata, perché la disposizione non farebbe che recepire pedissequamente quanto espressamente previsto nella fonte sovraordinata, il comma 1-bis del novellato art. 9 della legge n. 243 del 2012, il quale individua i saldi rilevanti ai fini dell’equilibrio di bilancio.

5.3.– Con riguardo alle censure mosse nei confronti dell’art. 1, comma 475, lettere a) e b), delle legge n. 232 del 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che esso si inserirebbe in un sistema normativo articolato e complesso, finalizzato al perseguimento di obiettivi di contenimento della spesa pubblica derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.

Tali previsioni costituirebbero principi di coordinamento della finanza pubblica che non potrebbero che trovare uniforme applicazione anche nei confronti delle autonomie speciali e dei rispettivi enti locali e, come tali, non si porrebbero in contrasto con l’autonomia riconosciuta dalla Costituzione alle ricorrenti.

La Regione o la Provincia autonoma che si sottraesse a misure destinate a operare sull’intero territorio nazionale non adempirebbe all’obbligo solidaristico di cui agli artt. 2 e 5 Cost., avvantaggiando indebitamente i propri residenti rispetto ai cittadini del restante territorio nazionale.

5.4.– Le censure rivolte all’art. 1, commi 479 e 483, della legge n. 232 del 2016, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, sarebbero infondate, in quanto il comma 483 prevederebbe espressamente che alle ricorrenti non si applicano le disposizioni in materia di sanzioni e premialità connesse alla disciplina del pareggio di bilancio di cui ai commi 475 e 479, trovando, invece, applicazione il regime sanzionatorio connesso alla disciplina del patto di stabilità interno.

A decorrere dall’anno 2018, con il venir meno del vincolo di quest’ultimo, il corpus giuridico di riferimento sarebbe costituito dalla sola disciplina del pareggio di bilancio, in attuazione degli accordi rispettivamente sottoscritti con lo Stato (in particolare, art. 8 del Protocollo d’intesa tra lo Stato e la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia del 23 ottobre 2014, recepito dall’art. 1, comma 517, della legge n. 190 del 2014, e punto 10 dell’accordo tra lo Stato e la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano del 15 ottobre 2014, recepito dal comma 4-quater dell’art. 79 dello statuto speciale).

5.5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene non fondate le censure promosse nei confronti dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, in quanto sarebbero basate su una lettura non corretta della sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte.

Per quanto riguarda l’annualità ICI di riferimento, la difesa statale fa presente che essa sarebbe frutto di un’elaborazione tecnica predisposta nell’ambito della complessa riforma fiscale programmata dalla legge n. 42 del 2009. Il valore dell’ICI così determinato sarebbe un dato di finanza pubblica e, quindi, prerogativa del legislatore statale.

Inoltre, secondo la difesa statale, in un contesto di federalismo solidale, l’utilizzo di un parametro differente, determinando una disparità di trattamento nei confronti dei Comuni delle Regioni a statuto ordinario – che, data la necessità di mantenere invariata la dotazione complessiva del fondo di solidarietà comunale, avrebbero visto ridursi le risorse finanziarie in loro favore – avrebbe comportato una violazione del principio di uguaglianza, nonché del principio di ragionevolezza.

6.– All’esame delle questioni dovrà procedersi secondo un ordine che conduce a dare la precedenza a quelle che investono parametri della Costituzione piuttosto che dei singoli statuti speciali, dal momento che riguardano omogenei ambiti di riferimento, così da meritare un contestuale scrutinio.

6.1.– Quanto alle questioni promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia nei confronti dell’art. 1, comma 463, della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 97 Cost., nonché agli artt. 48 e 49 dello statuto speciale, occorre premettere che la disposizione oggetto di contestazione è formulata con una tecnica normativa ambigua a causa dei continui rinvii ad altre disposizioni potenzialmente antagoniste, tanto da giustificare, da un lato, la cautelativa impugnazione della ricorrente e, dall’altro, la rassicurante replica della difesa statale.

La disposizione prevede che «[a] decorrere dall’anno 2017 cessano di avere applicazione i commi da 709 a 712 e da 719 a 734 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Restano fermi gli adempimenti degli enti territoriali relativi al monitoraggio e alla certificazione del saldo di cui all’articolo 1, comma 710, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nonché l’applicazione delle sanzioni in caso di mancato conseguimento del saldo 2016, di cui al medesimo comma 710, accertato ai sensi dei commi da 720 a 727 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Sono fatti salvi gli effetti connessi all’applicazione nell’anno 2016 dei patti di solidarietà di cui ai commi da 728 a 732 dell’articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208».

Le questioni – come sintetizzate nel precedente punto 4.1. – non sono fondate nei sensi appresso indicati.

Dalla formulazione dell’impugnato comma 463 emerge una comune ratio delle norme in relazione alle quali sono disposti rinvii e abrogazioni. Essa è rinvenibile in due complementari principi già affermati da questa Corte: a) per quel che riguarda il sistema informativo, non sono lesivi dell’autonomia degli enti locali «gli obblighi di trasmissione all’amministrazione centrale di dati ed informazioni, […] che debbono necessariamente rispettare criteri di omogeneità ai fini della comparazione e del consolidamento dei dati. E, una volta riconosciuta la competenza del Ministero a provvedere al coordinamento informativo, non ha fondamento la censura secondo cui si attribuirebbe ad esso una potestà [normativa, nel caso in esame] fuori dalle materie di competenza statale esclusiva» (sentenza n. 36 del 2004); b) per quel che attiene al sistema sanzionatorio, «[l]a finanza delle Regioni a statuto speciale è […] parte della “finanza pubblica allargata” nei cui riguardi lo Stato aveva e conserva poteri di disciplina generale e di coordinamento, nell’esercizio dei quali poteva e può chiamare pure le autonomie speciali a concorrere al conseguimento degli obiettivi complessivi di finanza pubblica» (sentenza n. 425 del 2004). Ne consegue che – anche in relazione al sistema sanzionatorio che costituisce naturale deterrente per ogni singola infrazione degli enti territoriali ai vincoli di finanza pubblica – non può essere ipotizzata «una differenziazione per gli enti operanti nelle autonomie speciali in relazione ad un aspetto […] che non può non accomunare tutti gli enti operanti nell’ambito del sistema della finanza pubblica allargata» (sentenza n. 425 del 2004).

Ciò è tanto vero che in nessuno degli accordi stipulati dallo Stato con le autonomie speciali in materia di finanza pubblica – e men che meno nei relativi statuti speciali – viene configurata un’esenzione dal sistema informativo nazionale e da quello sanzionatorio riservato agli enti sub-regionali o sub-provinciali che pongono in essere violazioni dei vincoli nazionali ed europei od omettono di perseguire i correlati obiettivi.

Adempimenti, obiettivi e sanzioni devono essere parametrati, nell’ambito delle autonomie speciali, alla peculiare disciplina dei singoli statuti e degli accordi stipulati con lo Stato. Sotto tale profilo, il sistema sanzionatorio nazionale deve essere rapportato alla specifica disciplina degli enti locali della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, così come i proventi delle sanzioni eventualmente applicate devono confluire nelle casse regionali, anziché in quelle statali, dal momento che è la Regione stessa a finanziare i medesimi enti locali e a rispondere per il mancato conseguimento dell’obiettivo macroeconomico assegnato su base regionale. Analogo discorso vale per la “certificazione dei saldi” da parte degli enti locali operanti nel territorio dell’autonomia speciale.

Pur dovendosi osservare – con riguardo alla norma impugnata – che «l’accentuarsi della complessità tecnica della legislazione in materia finanziaria possa determinare effetti non in linea con il dettato costituzionale e creare delle zone d’ombra in grado di rendere ardua la giustiziabilità di disposizioni non conformi a Costituzione [… e che] è concreto il rischio che un tale modo di legiferare pregiudichi la trasparenza in riferimento al rapporto tra politiche di bilancio, responsabilità politica delle strategie finanziarie e accessibilità alle informazioni da parte delle collettività amministrate» (sentenza n. 247 del 2017), è comunque ragionevole dedurre dalla complessa trama della norma impugnata che nessuna delle disposizioni in essa richiamate abbia mai comportato l’esonero, per gli enti territoriali delle autonomie speciali, dagli obblighi informativi relativi alle esigenze della finanza pubblica allargata e neppure dal sistema sanzionatorio delle infrazioni, ferme restando le peculiarità dell’ordinamento finanziario di tali autonomie precedentemente menzionato.

In definitiva, la riconduzione di tutte le disposizioni coinvolte nella formulazione dell’impugnato comma 463 alla medesima ratio legis, come sopra specificata, comporta la non fondatezza delle questioni sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

6.2.– In ordine alle questioni promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti del primo, secondo e quarto periodo del successivo comma 466 – come sintetizzate nel precedente punto 4.2. – è necessaria una premessa inerente alla pregressa giurisprudenza di questa Corte e al contesto in cui si colloca detta norma.

6.2.1.– Già in precedenza era stato impugnato – con i ricorsi iscritti ai numeri 68, 69, 70, 71 e 74 del registro ricorsi 2016 – l’art. 1, comma 1, lettere b), ed e), della legge n. 164 del 2016, sulla base dell’assunto secondo cui tale norma avrebbe precluso l’utilizzazione dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato alle loro naturali scadenze. Con due distinte sentenze questa Corte aveva respinto tale interpretazione, adottandone un’altra, costituzionalmente orientata.

Quanto all’avanzo di amministrazione, è stato affermato che «[l]e intese [in ordine alla volontaria messa a disposizione da parte degli enti territoriali del proprio avanzo di amministrazione] costituiscono […] lo strumento per garantire un equilibrio di bilancio non limitato al singolo ente ma riferito all’intero comparto regionale. […] [S]e è vero che nella previsione è presente un obbligo procedimentale che condiziona l’immediata utilizzabilità degli avanzi di amministrazione, è anche vero che la concreta realizzazione del risultato finanziario rimane affidata al dialogo fra gli enti interessati che l’avvio dell’intesa dovrebbe comportare. […] Alla stregua di tali considerazioni […] non si è in presenza di una espropriazione dei residui di amministrazione. […] Egualmente infondata è l’ulteriore censura della Regione, secondo cui la norma introdurrebbe il vincolo di utilizzare i risultati di amministrazione per i soli investimenti, violando, così, la sua autonomia finanziaria. La disposizione, in effetti, dà per scontato il vincolo, ma ciò fa solo nei limiti connessi al positivo espletamento dell’intesa» (sentenza n. 252 del 2017) e che «gli enti territoriali in avanzo di amministrazione hanno la mera facoltà – e non l’obbligo – di mettere a disposizione delle politiche regionali di investimento una parte o l’intero avanzo. È infatti nella piena disponibilità dell’ente titolare dell’avanzo partecipare o meno alle intese in ambito regionale. Solo in caso di libero esercizio di tale opzione l’ente può destinare l’avanzo all’incremento degli spazi finanziari regionali» (sentenza n. 247 del 2017).

Per quel che riguarda il fondo pluriennale vincolato, nella medesima pronuncia era stato ribadito che «accertamenti, impegni, obbligazioni attive e passive rimangono rappresentati e gestiti in bilancio secondo quanto programmato a suo tempo dall’ente territoriale. Pertanto, l’iscrizione o meno nei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei titoli 1, 2 e 3 della spesa deve essere intesa in senso meramente tecnico-contabile, quale criterio armonizzato per il consolidamento dei conti nazionali. Tale aggregazione contabile non incide né quantitativamente né temporalmente sulle risorse legittimamente accantonate per la copertura di programmi, impegni e obbligazioni passive concordate negli esercizi anteriori alle scadenze del fondo pluriennale vincolato. [… L]a qualificazione normativa del fondo pluriennale vincolato costituisce una definizione identitaria univoca dell’istituto, la cui disciplina è assolutamente astretta dalla finalità di conservare la copertura delle spese pluriennali. Ciò comporta che nessuna disposizione – ancorché contenuta nella legge rinforzata – ne possa implicare un’eterogenesi semantica e funzionale senza violare l’art. 81 della Costituzione» (sentenza n. 247 del 2017).

Quanto, infine, ai contenuti della “legge rinforzata”, era stato affermato che la stessa individua le modalità di perseguimento del “pareggio” (recte: equilibrio) di bilancio, come enunciato all’art. 81 Cost., ma non può ridefinirlo attraverso indiretti tecnicismi contabili, perché tale interpretazione «non risulta neppure in linea con i precetti di copertura e di equilibrio contenuti nell’art. 81 Cost. Il bilancio non può considerarsi in equilibrio in assenza di copertura delle spese impegnate e degli oneri derivanti da obbligazioni già perfezionate. Tale copertura avviene attraverso l’accantonamento e il conseguente vincolo giuridico posto su cespiti appropriati. La ventilata possibilità che il vincolo autorizzatorio all’esecuzione di tali spese – nella fattispecie contenuto nel fondo pluriennale vincolato – possa essere rimosso ex lege, costringendo l’ente territoriale a trovare nuove coperture o a rendersi inadempiente, è un’opzione ermeneutica che entra in diretta collisione con i precetti contenuti nell’art. 81 Cost. Neppure la legge rinforzata potrebbe introdurre una statuizione di tal genere: quest’ultima colliderebbe con il principio di previa e costante copertura della spesa dal momento dell’autorizzazione fino a quello dell’erogazione. In definitiva, la disciplina degli equilibri economico-finanziari del bilancio di competenza non può prescindere dai profili giuridici inerenti alla gestione dei cespiti attivi e passivi e, di conseguenza, dal risultato di amministrazione, nella cui determinazione non possono confluire partite contabili aleatorie o di incerta realizzazione. Ove fosse condivisa la lettura delle ricorrenti, il concetto di equilibrio dei singoli bilanci pubblici sarebbe sottomesso a una serie di potenziali variabili normative che metterebbero in crisi non solo l’equilibrio patrimoniale dell’ente, ma la sua stessa immagine di soggetto operante sul mercato in qualità di committente» (sentenza n. 247 del 2017).

Corollario di tali pronunce è che – ove le norme contenute nella legge rinforzata, o comunque riconducibili al coordinamento della finanza pubblica, precludessero l’utilizzazione negli esercizi successivi dell’avanzo di amministrazione e dei fondi destinati a spese pluriennali – il cosiddetto pareggio verrebbe invece a configurarsi come “attivo strutturale inertizzato”, cioè inutilizzabile per le destinazioni già programmate e, in quanto tale, costituzionalmente non conforme agli artt. 81 e 97 Cost.

Tenuto conto che le spese di natura pluriennale coincidono quasi specularmente con le risorse destinate agli investimenti, verrebbe, tra l’altro, contraddetto il principio di anticiclicità delle politiche di bilancio introdotto dal nuovo art. 81, primo comma, Cost., poiché per contrastare le fasi avverse del ciclo economico non potrebbero essere impiegate nemmeno le risorse già disponibili per gli investimenti.

Infine, per quel che riguarda i tecnicismi contabili inerenti alle rilevazioni statistiche in ambito nazionale ed europeo, questa Corte ha affermato che essi possono essere elaborati liberamente dal legislatore purché la loro concatenazione non alteri concetti base dell’economia finanziaria quali «risultato di amministrazione» e «fondo pluriennale vincolato» e, più in generale, non violi i principi costituzionali della copertura delle spese, dell’equilibrio del bilancio (art. 81 Cost.) e della “chiamata” degli enti territoriali ad assicurare la sostenibilità del debito (art. 97, primo comma, secondo periodo, Cost.).

È stato in proposito chiarito che «[l]’iscrizione o meno nei titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dell’entrata e nei titoli 1, 2 e 3 della spesa deve essere intesa in senso tecnico-contabile, come criterio matematico armonizzato ai fini del consolidamento dei conti nazionali, mentre devono ritenersi inalterate e intangibili le risorse legittimamente accantonate per la copertura di programmi, impegni e obbligazioni passive concordate negli esercizi anteriori alla scadenza. Gli aggregati in discussione – è bene ricordarlo – non esauriscono la consistenza del bilancio degli enti territoriali per cui, ove non specificamente ivi inserito, il fondo pluriennale vincolato può trovare allocazione e gestione conforme in diversa partita contabile» (sentenza n. 247 del 2017).

6.2.2.– Tanto premesso, le questioni proposte dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti dell’art. 1, comma 466, primo, secondo e quarto periodo, della legge n. 232 del 2016, in riferimento agli artt. 81 e 97 Cost., sono anzitutto ammissibili, in quanto è correttamente prospettata la ridondanza della pretesa violazione sulla loro autonomia.

Esse sono inoltre fondate in riferimento ai citati parametri, nonché all’art. 119 Cost. Il menzionato comma 466 è illegittimo nella parte in cui stabilisce che, a partire dal 2020, ai fini della determinazione dell’equilibrio del bilancio le spese vincolate nei precedenti esercizi debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di competenza. È illegittimo altresì nella parte in cui non prevede che l’impiego dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato abbia effetti neutrali rispetto alla determinazione dell’equilibrio del bilancio di competenza.

Una lettura logico-sistematica della disposizione induce a ritenere che – a differenza di quanto ritenuto nelle richiamate sentenze n. 247 e n. 252 del 2017 di questa Corte in ordine all’art. 1, comma 1, della legge n. 164 del 2016 – non è possibile un’interpretazione adeguatrice della stessa.

La norma stabilisce che «[a] decorrere dall’anno 2017 gli enti di cui al comma 465 del presente articolo devono conseguire il saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali, ai sensi dell’articolo 9, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 243. Ai sensi del comma 1-bis del medesimo articolo 9, le entrate finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2, 3, 4 e 5 dello schema di bilancio previsto dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e le spese finali sono quelle ascrivibili ai titoli 1, 2 e 3 del medesimo schema di bilancio. Per gli anni 2017-2019, nelle entrate e nelle spese finali in termini di competenza è considerato il fondo pluriennale vincolato, di entrata e di spesa, al netto della quota riveniente dal ricorso all’indebitamento. A decorrere dall’esercizio 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali. Non rileva la quota del fondo pluriennale vincolato di entrata che finanzia gli impegni cancellati definitivamente dopo l’approvazione del rendiconto dell’anno precedente».

Essa, dando attuazione al contenuto delle disposizioni precedentemente oggetto di interpretazione adeguatrice, stabilisce che dal 2020 «tra le entrate e le spese finali è incluso il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali».

La pur ambigua formulazione lascia intendere che le somme vincolate nei precedenti esercizi, siano esse provenienti dall’avanzo o dagli altri cespiti soggetti a utilizzazione pluriennale, debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di competenza.

Si tratta di una precisazione semantica e funzionale incompatibile con l’interpretazione adeguatrice seguita nella sentenza n. 247 del 2017 di questa Corte.

Ciò significa che, a differenza di quanto consentito fino al 2019, per il 2020 (esercizio finanziario che viene già in rilievo per effetto della programmazione triennale 2018-2020) gli enti territoriali sarebbero astretti tra due alternative, entrambe non conformi ai principi contenuti nei parametri evocati dalle ricorrenti: a) rinuncia a onorare gli impegni e le obbligazioni passive previste dal fondo pluriennale vincolato a far data dal 2020; b) ricerca di una nuova copertura per impegni e obbligazioni già perfezionati negli anni precedenti secondo una scansione pluriennale inscindibilmente collegata al programma realizzativo degli investimenti e degli interventi aventi cadenza diacronica rispetto al singolo esercizio finanziario (per naturale articolazione, il fondo pluriennale vincolato e l’avanzo di amministrazione in esso eventualmente confluito sono serventi a conservare le risorse destinate agli investimenti e agli interventi pluriennali secondo il cronoprogramma della loro esecuzione).

Tale inevitabile preclusione all’interpretazione costituzionalmente orientata viene peraltro confermata dalla circolare del Ministero dell’economia e delle finanze del 20 febbraio 2018, n. 5, recante «Chiarimenti in materia di pareggio di bilancio per il triennio 2018-2020 per gli enti territoriali di cui all’articolo 1, commi da 465 a 508, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017), come modificata dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Legge di bilancio 2018)», laddove si ribadisce che l’interpretazione adeguatrice di questa Corte vale fino al 2019, mentre per il 2020 dovrebbe entrare in vigore proprio la previsione contestata dalle ricorrenti: «[s]i ritiene che gli strumenti previsti dal legislatore […] rappresentino un efficace mezzo di utilizzo – e progressivo smaltimento – dell’avanzo di amministrazione da parte degli enti territoriali, in linea con le interpretazioni della Corte costituzionale espresse nella richiamata sentenza n. 247 del 2017. […] Il richiamato comma 466 precisa, inoltre, che, a decorrere dal 2020, tra le entrate e le spese finali è incluso il Fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa, finanziato dalle entrate finali. Come già precedentemente evidenziato, per Fondo pluriennale di entrata e di spesa finanziato dalle entrate finali – valido ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica a decorrere dall’esercizio 2020 – si intende il Fondo al netto della quota finanziata dal ricorso all’indebitamento e di eventuali quote derivanti da mutui e prestiti confluite in avanzo di amministrazione».

A prescindere dal complesso e non di rado oscuro ordito normativo, in ordine al quale questa Corte ha già rilevato un deficit di trasparenza bisognoso di un tempestivo e definitivo superamento, non v’è dubbio che la mancata previsione della “neutralità finanziaria” per tutte le partite di entrata e spesa di natura pluriennale derivanti da programmi, già perfezionati in termini di copertura negli esercizi precedenti, comporta un evidente vulnus per l’ente territoriale con riguardo sia al principio del pareggio di cui all’art. 81 Cost., sia a quello dell’art. 97, primo comma, primo periodo, Cost. (equilibrio individuale degli enti facenti parte della finanza pubblica allargata: sentenza n. 247 del 2017). Infatti, nell’ambito delle spese di natura pluriennale e, in particolare, degli investimenti, il principio della copertura consiste nell’assoluto equilibrio tra risorse e spese, sia in fase previsionale che durante l’intero arco di realizzazione degli interventi.

La sottrazione ex lege di parte delle risorse attuative di programmi già perfezionati negli esercizi precedenti finisce per ledere anche l’autonomia dell’ente territoriale che vi è sottoposto. La riduzione di quelle necessarie per l’attuazione – da parte degli enti territoriali – del piano pluriennale degli interventi, la cui piena copertura è ascrivibile a precedenti esercizi, pregiudica l’autonomia e la sana gestione finanziaria di tali enti, «entrando in contrasto con detti parametri costituzionali, nella misura in cui non consente di finanziare adeguatamente le funzioni. [… In tale prospettiva il] principio del buon andamento – ancor più alla luce della modifica intervenuta con l’introduzione del nuovo primo comma dell’art. 97 Cost. ad opera della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) – è strettamente correlato alla coerenza della legge [o, nel caso dell’ente locale, della delibera] di bilancio con la programmazione delle attività e dei servizi che si intendono finanziare a legislazione vigente» (sentenza n. 10 del 2016).

Con riguardo alla fattispecie in esame, la riduzione in itinere dei fondi stanziati per fronteggiare spese pluriennali e la conseguente incertezza sulla loro definitiva entità non consentono una proficua utilizzazione degli stessi, in quanto «[s]olo in presenza di un ragionevole progetto di impiego è possibile realizzare una corretta ripartizione delle risorse […] e garantire il buon andamento dei servizi con esse finanziati» (sentenza n. 188 del 2015).

6.2.3.– La complessità della disciplina posta in essere dal legislatore statale e le eccezioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato impongono alcune precisazioni circa gli effetti della presente pronuncia e delle precedenti (sentenze n. 247 e n. 252 del 2017), in ordine agli equilibri della finanza pubblica allargata.

Per quel che riguarda l’impiego dell’avanzo di amministrazione, è stato già affermato che, sia nel caso in cui venga volontariamente destinato a liberare spazi finanziari in ambito regionale (sentenza n. 252 del 2017), sia nel caso in cui venga impiegato dall’ente titolare, il saldo di tali opzioni risulterà comunque pari a zero, poiché entrambe sono ancorate ad una quantità sicura e delimitata, l’avanzo libero (ferma restando l’utilizzazione dell’avanzo vincolato alle scadenze e per gli scopi previsti dal “vincolo”), e, nell’ambito di tale grandezza, si espandono e si riducono in modo complessivamente circoscritto.

Parimenti, il fondo pluriennale vincolato è strutturato proprio in modo da preservare l’equilibrio complessivo tra risorse e fabbisogno di spesa, malgrado l’inevitabile diacronia delle relative transazioni finanziarie nel periodo di attuazione dei singoli progetti (art. 3 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, recante «Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42»).

È evidente, tuttavia, che gli avanzi di amministrazione degli enti territoriali, impiegabili per liberare spazi finanziari o consentire nuove spese agli enti che ne sono titolari, e le riserve conservate nel fondo pluriennale vincolato devono essere assoggettati a una rigorosa verifica in sede di rendiconto.

Per questo motivo il legislatore ha previsto puntuali controlli di legittimità-regolarità delle sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci consuntivi degli enti territoriali (procedura di parifica per i rendiconti regionali, controllo ex art. 148-bis del decreto legislativo 18 agosto del 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali», come introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e, del decreto- legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012», convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, sui rendiconti degli enti locali).

Peraltro, le manipolazioni finanziarie del risultato di amministrazione degli enti territoriali sono state recentemente oggetto di pronuncia della Corte di cassazione, la quale le ha inquadrate nelle fattispecie penali di falsità ideologica di cui agli artt. 479 e seguenti del codice penale (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 30 marzo 2018, n. 14617).

Inoltre, questa Corte ha sottolineato (sentenza n. 274 del 2017) che gli avanzi di amministrazione correttamente accertati non possono essere confusi con i saldi di cassa, cioè le liquidità momentanee esistenti in corso di esercizio che talune Regioni hanno utilizzato in passato secondo una prassi che ha prodotto gravi lesioni agli equilibri dei rispettivi bilanci a causa delle mancate verifiche delle relative coperture.

I saldi attivi di cassa, infatti, non sono di per sé sintomatici di sana e virtuosa amministrazione, in quanto legati a una serie di variabili negative – tra le quali spicca la possibile esistenza di debiti sommersi – in grado di dissimulare la reale situazione economico-finanziaria dell’ente.

Al contrario, l’avanzo di amministrazione correttamente accertato – come sostenuto dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – determina la sussistenza di veri e propri cespiti impiegabili sia direttamente che per liberare spazi finanziari di altri enti, secondo la mutua solidarietà su base regionale.

In definitiva, la tutela del principio di “neutralità finanziaria” rivendicato dalle ricorrenti coincide proprio con la modifica in parte qua della disposizione impugnata e, pertanto, alla luce delle esposte considerazioni gli effetti della presente declaratoria di incostituzionalità dell’art. 1, comma 466, della legge n. 232 del 2016 – nei termini precedentemente specificati – non comportano aggravi alle complessive risultanze della finanza pubblica allargata da parte delle gestioni di bilancio degli enti territoriali.

6.2.4.– Restano assorbite le ulteriori censure rivolte al citato comma 466.

6.3.– Le questioni sollevate dalle Province autonome di Trento e di Bolzano nei confronti dell’art. 1, comma 475, lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016 e quella sollevata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia verso il comma 483 in correlazione con tale disposizione (considerato 4.4) sono fondate, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui si prevede che gli importi delle sanzioni eventualmente applicate agli enti locali vengano versati nel bilancio statale anziché in quello delle predette autonomie speciali.

La disposizione impugnata stabilisce che, «[a]i sensi dell’articolo 9, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, in caso di mancato conseguimento del saldo di cui al comma 466 del presente articolo: a) l’ente locale è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo di solidarietà comunale in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato. Le province della Regione siciliana e della regione Sardegna sono assoggettate alla riduzione dei trasferimenti erariali nella misura indicata al primo periodo. Gli enti locali delle regioni Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta e delle province autonome di Trento e di Bolzano sono assoggettati ad una riduzione dei trasferimenti correnti erogati dalle medesime regioni o province autonome in misura pari all’importo corrispondente allo scostamento registrato. Le riduzioni di cui ai precedenti periodi assicurano il recupero di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, e sono applicate nel triennio successivo a quello di inadempienza in quote costanti. In caso di incapienza, per uno o più anni del triennio di riferimento, gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue di ciascuna quota annuale, entro l’anno di competenza delle medesime quote, presso la competente sezione di tesoreria provinciale dello Stato, al capo X dell’entrata del bilancio dello Stato, al capitolo 3509, articolo 2. In caso di mancato versamento delle predette somme residue nell’anno successivo, il recupero è operato con le procedure di cui ai commi 128 e 129 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228; b) nel triennio successivo la regione o la provincia autonoma è tenuta ad effettuare un versamento all’entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente a un terzo dello scostamento registrato, che assicura il recupero di cui all’articolo 9, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243. Il versamento è effettuato entro il 31 maggio di ciascun anno del triennio successivo a quello di inadempienza. In caso di mancato versamento si procede al recupero di detto scostamento a valere sulle giacenze depositate a qualsiasi titolo nei conti aperti presso la tesoreria statale […]».

Questa Corte ha affermato – in tema di sanzioni agli enti locali insistenti sui territori delle Province autonome di Trento e di Bolzano (e il principio è altresì valido per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia) – che «la materia della finanza provinciale di Trento e di Bolzano è ispirata al principio dell’accordo, il quale nel caso di specie si è manifestato, tra l’altro, attraverso una legislazione peculiare finalizzata all’attuazione e al rispetto dei vincoli macroeconomici di matrice europea e nazionale. È altresì indiscutibile che la vigilanza e la concreta attuazione di tale specifico quadro finanziario – ferma restando la competenza in termini di controllo di legittimità-regolarità sui bilanci degli enti locali da parte della competente sezione di controllo della Corte dei conti (sentenza n. 40 del 2014) – è demandata alle Province autonome in coerenza con gli obiettivi assegnati alla finanza provinciale. Le disposizioni provinciali – emanate a seguito dello specifico strumento dell’accordo – assumono così carattere di “parametro normativo primario per la gestione finanziaria degli enti sub-regionali tra i quali, appunto, gli enti locali territorialmente interessati” (sentenza n. 40 del 2014). Tuttavia il carattere generale e indefettibile dei vincoli di finanza pubblica esige che, indipendentemente dallo speciale regime di cui godono gli enti locali delle autonomie speciali nel perseguimento degli obiettivi macroeconomici, i colpevoli scostamenti registrati nelle singole gestioni di bilancio debbano trovare riscontro in un omogeneo sistema sanzionatorio, proporzionato all’entità delle infrazioni – nel caso in esame riferite ad un ordito normativo di matrice regionale o provinciale – commesse dagli enti locali. Dunque, a prescindere dalla complessa e costante successione delle diverse formulazioni normative che lo hanno espresso nel tempo, il principio di indefettibilità delle sanzioni per gli enti territoriali che si discostano colpevolmente dagli obiettivi di finanza pubblica – se inteso in modo conforme alla peculiare disciplina provinciale [e regionale] – non contrasta coi parametri statutari invocati dalle ricorrenti e le relative censure risultano pertanto infondate» (sentenza n. 94 del 2018).

Se l’indefettibilità di un comune regime sanzionatorio – pur articolato nel tempo in modo mutevole in ragione dei profili tecnici attuativi dei vincoli europei e nazionali – per tutti gli enti locali interessati al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica spiega per quale motivo non venga in rilievo nella sua determinazione la competenza del legislatore provinciale, ciò non comporta che il legislatore statale possa prescrivere che l’importo delle sanzioni eventualmente applicate agli enti locali delle autonomie speciali – cui è demandato, nell’ambito della propria competenza in materia di finanza locale, il finanziamento dei propri enti e la responsabilità dell’obiettivo macroeconomico assegnato – debba confluire nelle casse dello Stato anziché in quelle delle autonomie stesse.

La disposizione impugnata deve essere quindi dichiarata costituzionalmente illegittima in parte qua in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., “coordinamento della finanza pubblica”.

6.3.1.– Restano assorbite le ulteriori censure rivolte dalle Province autonome all’art. 1, comma 475, della legge n. 232 del 2016.

6.4. – Le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento nei confronti dell’art. 1, comma 483, della legge n. 232 del 2016, anche in combinato disposto col precedente comma 479, lettera a), in riferimento agli artt. 81 e 97 Cost., all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012, all’art. 9, comma 4, della legge n. 243 del 2012 e ai rispettivi parametri statutari, non sono fondate nei sensi appresso indicati.

L’art. 1, comma 479, della legge n. 232 del 2016, per la parte che qui interessa, prevede che «a) alle regioni che rispettano il saldo di cui al comma 466 e che conseguono un saldo finale di cassa non negativo fra le entrate e le spese finali, sono assegnate, con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, entro il 30 luglio di ciascun anno, le eventuali risorse incassate dal bilancio dello Stato alla data del 30 giugno ai sensi del comma 475, lettera b), per essere destinate alla realizzazione di investimenti. L’ammontare delle risorse per ciascuna regione è determinato mediante intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Le regioni che conseguono il saldo finale di cassa non negativo trasmettono al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato le informazioni concernenti il monitoraggio al 31 dicembre del saldo di cui al comma 466 e la certificazione dei relativi risultati, in termini di competenza e in termini di cassa, secondo le modalità previste dai decreti di cui al comma 469. Ai fini del saldo di cassa rileva l’anticipazione erogata dalla tesoreria statale nel corso dell’esercizio per il finanziamento della sanità registrata nell’apposita voce delle partite di giro, al netto delle relative regolazioni contabili imputate al medesimo esercizio […]».

L’art. 1, comma 483, della legge n. 232 del 2016 stabilisce che «[p]er le regioni Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, nonché per le province autonome di Trento e di Bolzano, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 475 e 479 del presente articolo e resta ferma la disciplina del patto di stabilità interno recata dall’articolo 1, commi 454 e seguenti, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, come attuata dagli accordi sottoscritti con lo Stato».

Le censure sono proposte dalle ricorrenti in via cautelativa, qualora non si ritenesse prevalente la clausola di “non applicabilità” contenuta nel comma 483 – peraltro abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2018 – laddove si dovesse intendere che le autonomie speciali siano coinvolte nel sistema sanzionatorio previsto dal comma 475 ma non in quello premiale, previsto dal comma 479.

A prescindere dall’incerto orientamento legislativo in materia di clausole di salvaguardia, che caratterizza il delicatissimo settore delle relazioni finanziarie tra Stato e autonomie speciali, la disposizione impugnata è suscettibile di applicazione alle autonomie speciali ricorrenti soltanto nei sensi precedentemente specificati. Le ricorrenti operano – come già precisato – in un regime che è eterogeneo ed esterno rispetto all’ordinario sistema di finanziamento degli enti locali, ma non sono esentate dal sistema sanzionatorio generale. Valgono sul punto anche le precedenti osservazioni di cui al considerato 6.3 in ordine alla soggezione delle autonomie speciali al sistema sanzionatorio, pur nella peculiarità delle rispettive regole di finanza pubblica.

In definitiva, dalle esposte considerazioni deriva inequivocabilmente che le autonomie ricorrenti – mentre sono soggette ai vincoli e agli obiettivi di finanza pubblica secondo la peculiare disciplina per esse prevista – non partecipano ai fondi statali che riguardano rispettivamente l’incameramento dell’importo delle sanzioni e la correlata erogazione dei premi afferenti al regime ordinario degli altri enti territoriali. Dal che deriva la non fondatezza delle questioni in esame.

6.5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016, promossa in riferimento all’art. 136 Cost. per violazione del giudicato costituzionale relativo alla sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte, deve essere anteposta, rispetto alle altre, in quanto riveste carattere di priorità logica, proprio perché «attiene all’esercizio stesso del potere legislativo, che sarebbe inibito dal precetto costituzionale di cui si assume la violazione (ex plurimis, sentenze n. 5 del 2017, n. 245 del 2012 e n. 350 del 2010)» (sentenza n. 231 del 2017).

La ricorrente ritiene che detta disposizione riproduca la medesima norma, in tema di relazioni economico-finanziarie con lo Stato – l’art. 1, comma 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)» – già dichiarata illegittima (sentenza n. 188 del 2016) nella parte in cui si applica alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

La questione è fondata.

In tema di violazione del giudicato costituzionale, questa Corte «ha già precisato (ex plurimis, sentenze n. 250 e n. 5 del 2017, n. 72 del 2013 e n. 350 del 2010) che tale vizio sussiste ogniqualvolta una disposizione intenda “mantenere in piedi o […] ripristinare, sia pure indirettamente, […] gli effetti di quella struttura normativa che aveva formato oggetto della […] pronuncia di illegittimità costituzionale” (sentenza n. 72 del 2013), ovvero “ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale” (sentenza n. 350 del 2010). Pertanto, il giudicato costituzionale è violato non solo quando il legislatore adotta una norma che costituisce una “mera riproduzione” (sentenze n. 73 del 2013 e n. 245 del 2012) di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche quando la nuova disciplina mira a “perseguire e raggiungere, ‘anche se indirettamente’, esiti corrispondenti” (sentenze n. 73 del 2013, n. 245 del 2012, n. 922 del 1988, n. 223 del 1983, n. 88 del 1966)» (sentenza n. 231 del 2017).

La disposizione impugnata prevede che «[i]l Ministero dell’economia e delle finanze e la regione Friuli Venezia Giulia procedono, mediante intesa da raggiungere entro il 30 giugno 2017, alla verifica della misura degli accantonamenti effettuati nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia, ai sensi dell’articolo 1, commi 711, 712 e 729, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, per gli anni dal 2012 al 2015, per effetto delle modifiche intervenute rispetto all’anno 2010 in materia di imposizione locale immobiliare».

L’art. 1, comma 729, della legge n. 147 del 2013 era stato dichiarato illegittimo nella parte riferita alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – dopo un’analitica istruttoria finanziaria effettuata in contraddittorio con le parti (ordinanza istruttoria del 14 gennaio 2016) – dalla sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte per violazione del principio di neutralità degli effetti fiscali della riforma in tema di relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, principio fissato dal combinato dei commi 157 e 159 dell’art. 1 della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», norme interposte in relazione ai profili attuativi di detta riforma. Ciò in quanto il legislatore statale, anziché conguagliare il preventivo accantonamento secondo il gettito effettivamente maturato dopo la sostituzione dell’ICI con l’imposta municipale propria (IMU) aveva «proceduto in via unilaterale mediante la stabilizzazione dell’accantonamento, determinato su base esclusivamente estimatoria. Avendo la ricorrente richiamato il criterio di neutralità previsto dal combinato dei suddetti commi 157 e 159, è in relazione a questi ultimi che deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale della disposizione impugnata» (sentenza n. 188 del 2016).

La declaratoria di incostituzionalità era sorretta da plurime ragioni, tra le quali è utile ricordare «b) la norma impugnata non configura[va] l’accantonamento come istituto provvisorio suscettibile di rideterminazione, nel senso già precisato da questa Corte con la sentenza n. 77 del 2015; c) non [era] stato rispettato il principio di neutralità degli effetti della riforma nell’ambito delle relazioni finanziarie tra Stato e Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia; d) la norma impugnata non prevede[va] l’ostensibilità dei dati analitici di composizione del gettito, necessari per compiere le operazioni di conguaglio, stabilizzare e mettere a regime le entrate fiscali della Regione e dei propri enti locali. […] In ordine alle dichiarate illegittimità sono necessarie alcune precisazioni circa gli effetti dalle stesse prodotti sul meccanismo dell’accantonamento. Quest’ultimo, proprio in base al principio dell’equilibrio dinamico del bilancio, verrà meno a far data dalla pubblicazione della presente sentenza, fermo restando tuttavia che per i decorsi esercizi gli accantonamenti effettuati in via preventiva dovranno essere conciliati con i dati del gettito fiscale accertato, restituendo alla Regione ricorrente le somme trattenute in eccedenza» (sentenza n. 188 del 2016).

La norma in esame – anziché prevedere i termini finanziari iniziali e finali di paragone del conguaglio tra le somme accantonate e il gettito effettivamente accertato, idonei a rendere effettivamente neutrali gli effetti della riforma fiscale – ripropone quale termine “convenzionale” «per gli anni dal 2012 al 2015» il gettito 2010, cioè il meno favorevole alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in ragione delle “oscillazioni” del gettito fiscale di tale Regione, dipendenti, tra l’altro, dalla sua posizione transfrontaliera.

Al di là del fatto che il conguaglio deve avvenire su dati reali e non teorici per tramutare l’accantonamento in contributo definitivo per la finanza statale, è chiaro che, nel caso in esame, il legislatore statale ha perseguito – sia pure attraverso una diversa tecnica normativa – lo stesso risultato cui tendeva la norma dichiarata illegittima con la sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte (in senso conforme, sentenza n. 231 del 2017).

Alla luce della giurisprudenza costituzionale, l’impugnato comma 519, perseguendo esiti corrispondenti a quelli dell’art. 1, comma 729, della legge n. 147 del 2013, già ritenuto costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 188 del 2016 di questa Corte nella parte riferita alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, contrasta con l’art. 136 Cost., violando il giudicato costituzionale.

Esso, pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo poiché determina il contributo definitivo agli obiettivi di finanza pubblica dovuto dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia in riferimento alle risultanze del gettito 2010, anziché a quelle degli esercizi in cui sono stati effettuati gli accantonamenti, e non prevede che la determinazione dei relativi conguagli sia effettuata in contraddittorio con la Regione stessa, attraverso la condivisione dei dati fiscali analitici, relativi ai periodi di imposizione soggetti agli accantonamenti interessati al conguaglio.

6.5.1.– Restano assorbite le altre censure relative all’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016.

 

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 466, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), nella parte in cui stabilisce che, a partire dal 2020, ai fini della determinazione dell’equilibrio del bilancio degli enti territoriali, le spese vincolate provenienti dai precedenti esercizi debbano trovare finanziamento nelle sole entrate di competenza e nella parte in cui non prevede che l’inserimento dell’avanzo di amministrazione e del fondo pluriennale vincolato nei bilanci dei medesimi enti territoriali abbia effetti neutrali rispetto alla determinazione dell’equilibrio dell’esercizio di competenza;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 475, lettere a) e b), della legge n. 232 del 2016 nella parte in cui prevede che gli enti locali delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione Friuli-Venezia Giulia sono tenuti a versare l’importo della sanzione per il mancato conseguimento dell’obiettivo di finanza pubblica al bilancio dello Stato anziché a quello delle suddette autonomie speciali;

3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, della legge n. 232 del 2016;

4) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 463, della legge n. 232 del 2016, promossa, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 97 della Costituzione, nonché agli artt. 48 e 49 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 479, lettera a), e 483, della legge n. 232 del 2016, promosse, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., agli artt. 81 e 97 Cost., all’art. 5 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e all’art. 9, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe.