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Corte costituzionale - sentenza del 3 luglio 2017, Nr. 191
Legge 28 dicembre 2015, n. 208 – legge di stabilità 2016 – incarichi dirigenziali - competenza provinciale-illegittimità costituzionale – incarichi dirigenziali - operatività clausola salvaguardia-non fondatezza del ricorso – razionalizzazione e trasparenza degli acquisti delle amministrazioni pubbliche-competenza provinciale - operatività clausola salvaguardia-non fondatezza del ricorso – personale delle pubbliche amministrazioni - operatività clausola salvaguardia-non fondatezza del ricorso – società a controllo pubblico-non fondatezza del ricorso – razionalizzazione e trasparenza degli acquisti delle amministrazioni pubbliche - utilizzo della madrelingua-non fondatezza del ricorso

Sentenza 3 luglio 2017 (14 luglio 2017), n. 191; Pres. Grossi, Red. Sciarra

 

Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso notificato il 26 febbraio-7 marzo 2016, depositato il 4 marzo e iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2016, la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 219, 236, 469, secondo periodo, 470, 505, 510, 512, 515, 516, 517, 548, 549, 672, 675 e 676 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», prospettando la violazione degli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e delle relative norme di attuazione (art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, recante «Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità» e d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e sanità approvate con decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474»); degli artt. 79, 80 e 81 dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione (artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento»; artt. 17, 18 e 19 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale», e art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica»); degli artt. 99 e 100 dello statuto e delle relative norme di attuazione (d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari»); dell’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, «in combinato disposto con l’articolo 10 della legge costituzionale n. 3/2001», in tema di “tutela della salute” e “organizzazione”; degli artt. 116 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione, «anche in relazione all’articolo 120 della Costituzione».

1.1.– La Provincia autonoma di Bolzano, dopo aver passato in rassegna le prerogative e le competenze che le spettano in considerazione dell’autonomia finanziaria attribuita dal Titolo VI dello statuto, ha illustrato, al punto d) del ricorso, le norme che formano oggetto di impugnazione, che riguardano: l’indisponibilità dei posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche, vacanti alla data del 15 ottobre 2015 (art. 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015); le limitazioni dell’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche dirigenziale (art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015); l’obbligo delle amministrazioni pubbliche di provvedere agli approvvigionamenti di beni e servizi informatici e di connettività esclusivamente tramite la Consip spa o i soggetti aggregatori (art. 1, comma 512, primo periodo, della medesima legge), obbligo preordinato a garantire un risparmio di spesa (art. 1, comma 515), derogabile solo in ipotesi tassative (art. 1, comma 516) e sanzionato con la responsabilità disciplinare e per danno erariale (art. 1, comma 517); l’obbligo per gli enti del Servizio sanitario nazionale di avvalersi in via esclusiva delle centrali regionali di committenza o di Consip spa (art. 1, comma 548) e la responsabilità disciplinare e per danno erariale di chi vìoli tali prescrizioni (art. 1, comma 549); i limiti massimi dei compensi da corrispondere ad amministratori, dirigenti e dipendenti delle società direttamente o indirettamente controllate dalle amministrazioni pubbliche e dalle amministrazioni dello Stato (art. 1, comma 672), e l’obbligo di dare pubblicità al conferimento di incarichi di collaborazione, di consulenza o professionali (art. 1, comma 675), obbligo che costituisce condizione per il pagamento del relativo compenso (art. 1, comma 676); la definizione dei criteri per determinare gli oneri per i rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018 e gli oneri che derivano dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale in regime di diritto pubblico, dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione statale (art. 1, comma 469, secondo periodo), e al personale convenzionato con il servizio sanitario nazionale (art. 1, comma 470); l’obbligo, per le amministrazioni pubbliche che intendano acquistare beni o servizi di importo unitario stimato superiore a un milione di euro, di approvare, entro il mese di ottobre di ciascun anno, il programma biennale e i suoi aggiornamenti annuali (art. 1, comma 505); l’obbligo di procedere ad acquisti centralizzati, salvo che nell’ipotesi eccezionale di inidoneità del bene o del servizio oggetto di convenzione e previa valutazione dell’organo di vertice amministrativo, specificamente motivata e trasmessa al competente ufficio della Corte dei conti (art. 1, comma 510).

1.2.– La parte ricorrente argomenta che tali previsioni, ove siano applicate anche alle Province autonome, «interferiscono, in particolare, con le attribuzioni delle Province autonome in materia di organizzazione, anche del servizio sanitario (“ordinamento dei propri uffici e del relativo personale”, ai sensi dell’articolo 8, n. 1) St.); “igiene e sanità” ai sensi dell’articolo 9, n. 10) St.; corrispondenti funzioni amministrative ai sensi dell’articolo 16 St.; “organizzazione” e “tutela della salute” ai sensi dell’articolo 117, commi quarto e terzo, della Costituzione, in combinato disposto con l’articolo 10 della legge costituzionale n. 3/2001) e di autonomia finanziaria, anche in particolare nel settore sanitario (in particolare articoli 79, 80 e 81 dello Statuto di autonomia e, più in generale, Titolo VI dello stesso Statuto speciale e relative norme di attuazione, tra le quali in particolare il d.lgs. n. 266/1992 e il d.lgs. n. 268/1992; articolo 34, comma 3, della legge n. 724/1994) e sono lesive delle stesse, anche con riferimento agli articoli 116 e 119 della Costituzione, nonché per violazione del principio di leale collaborazione, anche perché il legislatore non si è limitato ad enunciare norme di principio (cfr. Corte cost., sentenza n. 159/2008)».

La Provincia autonoma di Bolzano soggiunge che deve essere «garantito il diritto all’uso della propria madrelingua, e ciò vale anche nell’ambito dell’acquisto di beni e di servizi» e prospetta, sotto tale profilo, «la violazione degli artt. 99 e 100 dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione di cui al d.P.R. n. 574/1988».

1.3.– In vista dell’udienza, il 18 aprile 2017, la ricorrente ha depositato una memoria illustrativa e ha ribadito le conclusioni già formulate nel ricorso introduttivo.

La Provincia autonoma di Bolzano osserva che le norme impugnate non sono state preventivamente concordate e si rivolgono anche alle Province autonome o comunque producono effetti indiretti nei loro confronti. Risulterebbe così vanificata la funzione della clausola di salvaguardia sancita dall’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015 e parrebbe ardua un’interpretazione adeguatrice suscettibile di rendere la disciplina compatibile con l’ordinamento statutario.

Sarebbe la stessa difesa dello Stato a ricondurre le previsioni in esame ai princìpi di coordinamento della finanza pubblica, così confermando l’obbligo delle Province autonome di ottemperare alle prescrizioni della legge statale.

La Provincia autonoma di Bolzano ribadisce che i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali sono governati dal principio dell’accordo e dal “principio di consensualità”, che precludono ogni modificazione unilaterale ad opera dello Stato. Per contro, le norme impugnate inciderebbero arbitrariamente sull’autonomia organizzativa e di spesa della Provincia autonoma ricorrente.

Quanto all’art. 1, commi 219 e 236, della legge n. 208 del 2015, la Provincia autonoma di Bolzano prospetta, per l’ipotesi in cui non trovi applicazione la clausola di salvaguardia, la violazione degli artt. 8, numero 1), e 79 dello statuto di autonomia, dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, o dell’art. 117, quarto comma, Cost., alla stregua della “clausola di maggior favore” prevista dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché degli artt. 3 e 97 Cost.

Ad avviso della parte ricorrente, i citati commi hanno un carattere preciso e specifico, non si configurano come norme di riforma economico-sociale o come princìpi di coordinamento della finanza pubblica e attengono alla materia dell’organizzazione degli uffici provinciali, attribuita alla potestà legislativa esclusiva della Provincia (art. 8, numero 1, dello statuto). La Provincia ha l’obbligo di adeguarsi a tale disciplina, in forza dell’art. 2 del d.l.gs. n. 266 del 1992, nei soli limiti previsti dall’art. 4 dello statuto di autonomia.

Peraltro, in forza dell’art. 79, quarto comma, dello statuto, spetterebbe alla Provincia autonoma di Bolzano provvedere alle finalità di coordinamento della finanza pubblica, enunciate da specifiche disposizioni legislative dello Stato, e assumere autonome misure di razionalizzazione e di contenimento della spesa.

La Provincia autonoma di Bolzano svolge le medesime considerazioni anche per l’art. 1, commi 512, 515, 516 e 517, sempre che tali previsioni siano ritenute applicabili anche alle Province autonome.

A tale riguardo, la parte ricorrente evidenzia di avere già istituito, nell’esercizio della propria competenza in materia di organizzazione degli uffici, l’Agenzia per i procedimenti e la vigilanza in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, e di avere già garantito il rispetto del «principio della organizzazione razionale e non atomistica degli acquisti».

La Provincia autonoma ricorrente assume che le disposizioni impugnate comprimano indebitamente la facoltà di organizzare nel modo ritenuto più opportuno gli acquisti dei beni strumentali e «l’autonomia finanziaria dal lato della spesa statutariamente riconosciuta».

Quanto alle norme sugli approvvigionamenti sanitari (art. 1, commi 548 e 549), la Provincia autonoma di Bolzano ribadisce di avere già istituito l’Agenzia per i procedimenti e la vigilanza in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e puntualizza che le disposizioni impugnate non dovrebbero trovare applicazione nella Provincia autonoma, in virtù della clausola di salvaguardia già menzionata.

Ove si privilegiasse una diversa interpretazione, le disposizioni in esame, contrassegnate da un carattere di estremo dettaglio, sarebbero lesive delle competenze attribuite alla Provincia alla stregua dell’art. 9, numero 10), dello statuto di autonomia, e contrasterebbero con l’autonomia statutaria in materia di finanza, «in quanto adottate in violazione delle condizioni poste dall’art. 79 dello Statuto».

Lo Stato, difatti, non avrebbe titolo a dettare norme di coordinamento finanziario, poiché la Provincia autonoma non partecipa al Fondo sanitario nazionale e autofinanzia il servizio sanitario.

Quanto all’art. 1, commi 672, 675 e 676, che limitano i compensi degli amministratori e dei dipendenti delle società a controllo pubblico, la Provincia autonoma di Bolzano invoca l’applicazione della citata clausola di salvaguardia e, nell’ipotesi in cui tale clausola non sia operativa, ravvisa la violazione degli artt. 8, numero 1), e 79 dello statuto, dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, o dell’art. 117, quarto comma, Cost., se più favorevole ai sensi dell’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001.

Nella prospettiva della parte ricorrente, i citati commi presenterebbero carattere analitico e di estremo dettaglio, in violazione della potestà legislativa della Provincia autonoma e della sua autonomia finanziaria, e riconoscerebbero al Ministero dell’economia e delle finanze «un potere normativo sulla Provincia».

In virtù della clausola di salvaguardia, dovrebbe essere esclusa anche l’applicazione diretta dell’art. 1, commi 469 e 470, che disciplinano l’allocazione degli oneri per i rinnovi contrattuali.

La tesi di un obbligo di puntuale adeguamento, propugnata dalla difesa dello Stato, renderebbe più stridente il contrasto con l’art. 79, secondo comma, dello statuto, che regolamenta la modifica delle modalità con cui la Provincia autonoma concorre al conseguimento degli obiettivi della finanza pubblica, nel rispetto della procedura delineata dall’art. 104 dello statuto, e con l’art. 79, quarto comma, della medesima fonte statutaria, che affida alla Provincia autonoma il compito di provvedere al raggiungimento delle finalità di coordinamento della finanza pubblica, enunciate da specifiche disposizioni statali.

Ove si concludesse per l’estraneità della disciplina al coordinamento della finanza pubblica, bisognerebbe riconoscere la competenza della Provincia autonoma di Bolzano in base all’art. 8, numero 1), dello statuto di autonomia.

Con specifico riguardo all’art. 1, comma 470, la Provincia autonoma di Bolzano ne ravvisa il contrasto con l’art. 79 dello statuto e, ove si riconduca la disciplina alla materia della sanità, con l’art. 9, numero 10), dello statuto e con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, nonché con l’art. 117, terzo comma, Cost., invocato in base alla “clausola di maggior favore” di cui all’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001.

Quanto all’art. 1, commi 505 e 510, la Provincia argomenta che tali disposizioni non avrebbero alcuna incidenza sul conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e non potrebbero, pertanto, essere annoverate tra i princìpi di coordinamento della finanza pubblica.

Le norme impugnate, se ritenute applicabili alle Province autonome, sarebbero lesive della competenza esclusiva attribuita alla Provincia autonoma di Bolzano in materia di ordinamento degli uffici provinciali e del personale (art. 8, numero 1, dello statuto) e dell’autonomia finanziaria della Provincia autonoma (art. 79 dello statuto).

1.4.– Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare non fondate le questioni promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano.

L’Avvocatura generale dello Stato pone l’accento sull’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015, che sancisce l’applicabilità alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano delle disposizioni della legge di stabilità per il 2016 compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.

La norma citata, caratterizzata da una formulazione letterale inequivocabile, perseguirebbe l’obiettivo di tutelare le prerogative della Provincia autonoma, impedendo l’applicazione di quelle discipline che contrastino con la normativa statutaria.

Peraltro, le modalità operative della clausola di salvaguardia dovrebbero tener conto del contesto in cui le disposizioni impugnate si iscrivono: si tratterebbe, invero, di interventi adottati in una congiuntura di crisi eccezionale, «che non consente indugi negli interventi programmati, in nome del superiore principio di solidarietà nazionale e per evitare il grave rischio della compromissione dell’unità economica della Repubblica» e ben giustifica il discostarsi dal “modello consensualistico”.

Quanto alle norme in tema di criteri uniformi per gli acquisti di beni e servizi informatici e di connettività da parte degli enti del Servizio sanitario nazionale e per l’aggregazione degli acquisti di beni e servizi da parte dei medesimi enti (art. 1, commi 548 e 549), non vi sarebbe alcuna lesione delle competenze provinciali.

La Provincia di Bolzano, difatti, avrebbe istituito un proprio soggetto aggregatore (l’Agenzia per i procedimenti e la vigilanza in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) e la norma statale si limiterebbe a confermare la previsione, non impugnata, dell’art. 9, comma 3, del decreto- legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.

Quanto alle disposizioni dell’art. 1, commi 219, 236, 469, secondo periodo, 470, 505 e 510, della legge n. 208 del 2015, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che si collocano in un contesto normativo complesso, segnato dalle previsioni del decreto- legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e del citato d. l. n. 66 del 2014. Il legislatore, con tali misure, si riprometterebbe di conseguire significativi risparmi di spesa pubblica anche nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, razionalizzando gli acquisti da parte delle pubbliche amministrazioni, soprattutto nel settore sanitario, e rafforzando l’acquisizione centralizzata.

Le previsioni impugnate si prefiggerebbero di garantire a tali previsioni «piena ed immediata applicazione da parte di tutti [i] soggetti pubblici cui le stesse sono rivolte», dettando, anche per le autonomie speciali, princìpi di coordinamento della finanza pubblica. La natura dettagliata delle previsioni citate non sarebbe incompatibile con il carattere di principio di coordinamento della finanza pubblica.

Quanto all’art. 1, commi 512, 515, 516 e 517, riguardanti l’approvvigionamento di beni e servizi in materia di informatica e connettività ad opera delle pubbliche amministrazioni, l’Avvocatura generale dello Stato replica che perseguono la finalità di realizzare l’obiettivo del risparmio di spesa annuale, razionalizzando gli acquisti di beni e servizi in materia informatica e realizzando «un governo unitario e un maggior coordinamento dell’attuazione dei progetti informatici nella pubblica amministrazione, anche in linea con quanto stabilito dal codice dell’amministrazione digitale e dall’Agenda digitale italiana».

Quanto all’art. 1, commi 505 e 510, che imporrebbero, a dire della Provincia autonoma ricorrente, oneri e adempimenti gravosi e si rivelerebbero norme di minuto dettaglio, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce che si tratta di previsioni preordinate a rafforzare l’acquisizione centralizzata e a garantire risparmi di spesa tramite la riduzione dei prezzi unitari di acquisto, in un’ottica di trasparenza, di razionale programmazione e di costante controllo delle spese relative agli acquisti di beni e di servizi di importo rilevante.

L’Avvocatura generale dello Stato, «anche in relazione alle disposizioni in oggetto», reputa «corretto riconoscere l’operatività della clausola di salvaguardia».

Le disposizioni impugnate, ad ogni modo, si configurerebbero come princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica e non interferirebbero con la potestà legislativa esclusiva della Provincia autonoma in tema di organizzazione degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto.

Per quel che attiene all’art. 1, commi 219, 236, 469, 505, 510, 512, 515, 516, 548, 549, 672 e 675, l’Avvocatura generale dello Stato nota conclusivamente che tali disposizioni si inseriscono nel solco di precedenti interventi legislativi, come quelli recati dall’art. 2 del d. l. n. 95 del 2012, e si atteggiano come princìpi di coordinamento della finanza pubblica, rispettosi delle condizioni di transitorietà della misura adottata e di non esaustività degli strumenti dettati dalla normativa statale per conseguire l’obiettivo.

A conferma del margine di autonomia comunque riconosciuto, si richiama la previsione dell’art. 1, comma 221, che consente a Regioni ed enti locali di effettuare la ricognizione delle dotazioni organiche dirigenziali e il riordino delle competenze degli uffici dirigenziali, allo scopo di evitare eventuali duplicazioni e di garantire «la maggiore flessibilità della figura dirigenziale nonché il corretto funzionamento degli uffici».

1.5.– In prossimità dell’udienza, il 18 aprile 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa, confermando le conclusioni già formulate nell’atto di costituzione.

Quanto alle norme in materia di limitazioni al trattamento accessorio del personale (art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015) e ai compensi degli amministratori e del personale delle società pubbliche controllate (art. 1, comma 672, della medesima legge), l’Avvocatura generale dello Stato evidenzia che esse sono componente indispensabile degli interventi di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica attuati dal legislatore statale, il quale ha dovuto porre regole comuni e uniformi, «in considerazione dell’unitarietà del quadro di finanza pubblica».

Il legislatore nazionale, allo scopo di coordinare la finanza pubblica, ben potrebbe adottare norme suscettibili di applicarsi con valenza generale a tutta la pubblica amministrazione e alle autonomie speciali, nel rispetto degli statuti e delle relative norme di attuazione.

A sua volta, la disciplina in tema di acquisti di beni e servizi (art. 1, commi 505 e 510) risponderebbe a esigenze di razionalizzazione e di riduzione degli sprechi di risorse pubbliche.

Anche il sistema di approvvigionamento delle amministrazioni pubbliche disciplinato dall’art. 1, commi 512, 515, 516 e 517 sarebbe diretto a perseguire obiettivi di «ottimizzazione e razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi informatici e di risparmio di spesa da perseguire sull’intero territorio nazionale».

Le norme in tema di approvvigionamento degli enti del servizio sanitario nazionale (art. 1, commi 548 e 549) non presenterebbero alcun contenuto innovativo rispetto alla vigente legislazione e si limiterebbero a disciplinare situazioni specifiche, nelle more della piena attuazione dell’art. 9 del d. l. n. 66 del 2014.

2.– Con ricorso notificato il 29 febbraio 2016, depositato il successivo 10 marzo e iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2016, la Provincia autonoma di Trento ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 219, 236, 469, secondo periodo, 470, 505, 510, 512, 515, 516, 517, 548, 549, 672, 675 e 676 della legge n. 208 del 2015, prospettando la violazione di numerosi parametri statutari e costituzionali, nei termini di séguito esposti.

2.1.– La Provincia autonoma di Trento ha impugnato l’art. 1, commi 219 e 236, della legge n. 208 del 2015, riguardanti, rispettivamente, l’indisponibilità dei posti dirigenziali di prima e di seconda fascia vacanti alla data del 15 ottobre 2015 e la limitazione dell’ammontare complessivo delle risorse annualmente destinate al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale.

Ad avviso della ricorrente, i commi citati non dovrebbero essere applicati alle Province autonome in forza della clausola di salvaguardia sancita dall’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015, che così recita: «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».

Ove fossero, invece, direttamente applicabili, tali commi contrasterebbero con gli artt. 8, numero 1), e 79 del d.P.R. n. 670 del 1972, con l’art. 2 delle norme di attuazione di cui al d.lgs. n. 266 del 1992, con l’art. 117, quarto comma, Cost. (in combinazione con l’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001), ove norma più favorevole, e con gli artt. 3 e 97 Cost.

L’art. 8, numero 1), dello statuto assegna alle Province autonome la potestà di carattere primario di emanare norme legislative in materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto», nei limiti tracciati dall’art. 4 del medesimo statuto.

L’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 266 del 1992 impone alle Province autonome, entro sei mesi dalla pubblicazione, di adeguarsi ai princìpi recati dagli atti legislativi dello Stato, adottati nel rispetto degli artt. 4 e 5 dello statuto. Nelle more dell’adeguamento, hanno applicazione le leggi provinciali.

In contrasto con tali previsioni, la normativa statale invaderebbe l’àmbito riservato alla potestà legislativa primaria della Provincia, dettando norme di carattere preciso e specifico, che non configurano riforme di carattere economico-sociale.

L’art. 1, comma 219, in particolare, escluderebbe la facoltà della Provincia autonoma di assumere personale dirigenziale, con la regola dell’indisponibilità dei posti già occupati e della risoluzione dei contratti già stipulati dall’ente pubblico.

La lesione delle attribuzioni della ricorrente sarebbe ancor più palese alla luce della complessiva disciplina della materia, nel frattempo adottata con la legge della Provincia autonoma di Trento 3 aprile 2015, n. 7 (Riordino della dirigenza e dell’organizzazione della Provincia: modificazioni della legge sul personale della Provincia 1997, della legge finanziaria provinciale 2015 e della legge provinciale sull’Europa 2015), che persegue l’obiettivo di stabilire un nuovo ordinamento della dirigenza provinciale e delle strutture organizzative della Provincia, «al fine di rendere più efficiente il sistema pubblico provinciale attraverso la rimodulazione dell’articolazione organizzativa e il riordino della dirigenza, anche con riferimento alla programmazione del fabbisogno di dirigenti e ad appropriate modalità di reclutamento e conferimento degli incarichi dirigenziali, per favorire maggiore coinvolgimento e responsabilizzazione dei dirigenti nel governo dell’autonomia».

La ricorrente ribadisce tali considerazioni con riguardo all’art. 1, comma 236, che limita l’ammontare del trattamento accessorio, denunciandone anche il contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e con quello di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

Tale contrasto si ripercuoterebbe sulle competenze provinciali, poiché impedirebbe alla Provincia «di chiedere lavoro straordinario ai propri impiegati oppure di retribuire il lavoro straordinario da questi prestato».

L’irragionevolezza si rivelerebbe anche nel fatto che siano risolti, con efficacia retroattiva, i contratti stipulati in data successiva al 15 ottobre 2015, per posti solo successivamente divenuti indisponibili: tale meccanismo precluderebbe ogni margine di apprezzamento della Provincia.

Tali disposizioni non potrebbero superare il vaglio di legittimità costituzionale, neppure se fossero ricondotte ai princìpi di coordinamento della finanza pubblica: di tali princìpi, le disposizioni impugnate non presenterebbero i caratteri salienti, in quanto si atteggerebbero come norme minute e autoapplicative, che travalicano i vincoli che lo Stato può imporre alla Provincia ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e dell’art. 4 dello statuto.

2.2.– La Provincia autonoma di Trento censura, altresì, l’art. 1, commi 512, 515, 516 e 517 della legge n. 208 del 2015, ravvisando un contrasto con gli artt. 8, numero 1), e 79 dello statuto, con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, o, se più favorevole, con l’art. 117, quarto comma, Cost. (in combinazione con l’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001), con l’art. 119, primo comma, Cost., nonché con gli artt. 3 e 97 Cost.

Le norme impugnate, volte a rendere esclusiva l’acquisizione mediante Consip spa o mediante i soggetti aggregatori, con riguardo al sistema di approvvigionamento delle amministrazioni pubbliche e delle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, non sarebbero direttamente applicabili, in forza della citata clausola di salvaguardia di cui all’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015. Spetterebbe agli enti ad autonomia speciale dare attuazione al principio di centralizzazione degli acquisti (è richiamata la sentenza n. 220 del 2013).

Ove non operasse la clausola di salvaguardia, le norme impugnate, che non si limitano a fissare tetti di spesa, ma sanciscono direttamente l’obbligatorietà del ricorso a Consip spa, contrasterebbero, in primo luogo, con l’art. 8, numero 1), dello statuto, che prevede una potestà primaria in materia di organizzazione degli uffici provinciali, estesa alla disciplina degli acquisti dei beni necessari al loro funzionamento, della destinazione del risparmio ottenuto e della responsabilità derivante dalla violazione delle norme.

La limitazione delle facoltà di acquisto, attuata con prescrizioni oltremodo restrittive, sarebbe lesiva dell’autonomia finanziaria in materia di spesa, tutelata dallo statuto e dall’art. 119, primo comma, Cost.

Non varrebbe richiamare, in senso contrario, la facoltà di avvalersi anche dei soggetti aggregatori delle Province autonome, facoltà che sussiste soltanto per i beni e i servizi disponibili presso gli stessi soggetti, né la previsione, relativa a casi del tutto marginali, che consente di derogare a tali modalità di acquisto per i beni e i servizi informatici.

Quanto alla norma che individua l’organo dell’amministrazione provinciale competente all’esercizio del potere autorizzatorio, essa sarebbe costituzionalmente illegittima per contrasto con l’autonomia organizzativa della Provincia autonoma, tutelata dall’art. 8, numero 1), dello statuto, o dall’art. 117, quarto comma, Cost., ove si atteggi come norma più favorevole.

2.3.– Quanto all’art. 1, commi 548 e 549, della legge n. 208 del 2015, che estendono agli approvvigionamenti sanitari la disciplina degli acquisti tramite Consip spa, non sarebbero applicabili alla Provincia autonoma di Trento, in ragione dell’invocata clausola di salvaguardia.

Ove non si condividesse tale percorso argomentativo, la norma in esame violerebbe l’art. 9, numero 10), dello statuto, l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, o l’art. 117, terzo comma, Cost. (in combinazione con l’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001), se più favorevole.

Il legislatore, difatti, non avrebbe introdotto un principio fondamentale, idoneo a limitare la potestà legislativa concorrente della Provincia autonoma, ma avrebbe posto una stringente normativa di dettaglio, di immediata applicazione, che prevede l’obbligo di avvalersi di Consip spa e delle centrali regionali di committenza per l’approvvigionamento sanitario (art. 1, comma 548, della legge n. 208 del 2015), disciplina minuziosamente le eccezioni a tale regola e ne sanziona la violazione con la responsabilità dirigenziale ed erariale.

Quand’anche si volessero inquadrare queste previsioni tra quelle di coordinamento della finanza pubblica, esse contravverrebbero alle regole enunciate dall’art. 79 dello statuto, che esclude un’immediata cogenza delle norme in esame.

2.4.– La Provincia autonoma di Trento ha impugnato anche l’art. 1, commi 672, 675 e 676, della legge n. 208 del 2015, che limitano i compensi degli amministratori e dei dipendenti di società a controllo pubblico, e ha invocato, in primo luogo, la clausola di salvaguardia dell’art. 1, comma 992, che determinerebbe l’inapplicabilità di tali norme alle Province autonome.

Ove la clausola di salvaguardia non operasse, le norme esaminate, in quanto provviste di un contenuto analitico e dettagliato, contrasterebbero con l’art. 8, numero 1), e con l’art. 79 dello statuto e violerebbero la potestà legislativa e l’autonomia finanziaria della Provincia (è citata la sentenza n. 159 del 2008).

In particolare, la rigida classificazione, affidata a un decreto di incerta natura e suscettibile di impedire la gestione delle società pubbliche con criteri retributivi incentivanti, lederebbe l’autonomia organizzativa della Provincia (art. 8, numero 1, dello statuto).

Anche a volere ricondurre tale misura entro l’alveo del coordinamento della finanza pubblica, si profilerebbe un contrasto con l’art. 79, quarto comma, dello statuto. Si tratterebbe, difatti, di «ulteriore intervento non ammesso», contenuto in una «fonte non legislativa», in violazione della menzionata norma statutaria, che allude a «specifiche disposizioni legislative dello Stato».

2.5.– La Provincia autonoma di Trento ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 469, secondo periodo, e 470, della legge n. 208 del 2015, che disciplinano l’allocazione dei costi riguardanti gli oneri per i rinnovi contrattuali, anche con riferimento al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.

Ad avviso della ricorrente, le norme censurate non sarebbero direttamente applicabili e opererebbe la citata clausola di salvaguardia.

Ove tali norme fossero applicabili, si prospetterebbe un contrasto con l’art. 79, secondo comma, dello statuto, che impone la procedura dell’art. 104 del medesimo statuto per la modifica delle modalità con le quali la Provincia autonoma concorre al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.

La norma impugnata contemplerebbe, per contro, l’unilaterale decisione del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro per la semplificazione e del Ministro per l’economia e le finanze.

Anche a volere annoverare tale decreto tra le misure di coordinamento della finanza pubblica, sarebbe violato l’art. 79, quarto comma, dello statuto, che sancisce l’inapplicabilità alle Province autonome di disposizioni statali che prevedono obblighi, oneri e concorsi comunque denominati, e affida alla Provincia autonoma il compito di attuare il coordinamento della finanza pubblica, adeguando la propria legislazione, con le forme disciplinate dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, ai princìpi che costituiscono limiti ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto.

Peraltro, tale disciplina, ove fosse estranea all’àmbito del coordinamento della finanza pubblica, violerebbe l’art. 8, numero 1), dello statuto, che affida alla potestà primaria della Provincia la disciplina dell’organizzazione e del personale provinciale.

Identiche considerazioni si imporrebbero anche per l’art. 1, comma 470.

Anche a volerla ricondurre al campo della sanità, materia di potestà concorrente, la normativa censurata, atteggiandosi come disciplina di estremo dettaglio, contrasterebbe con l’art. 9, numero 10), dello statuto, con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, e con l’art. 117, terzo comma, Cost., ove sia norma più favorevole alla stregua dell’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001.

2.6.– La Provincia autonoma di Trento invoca l’applicazione della clausola di salvaguardia anche per l’art. 1, commi 505 e 510, della legge n. 208 del 2015. Il comma 505 impone alle amministrazioni l’approvazione, entro il mese di ottobre di ciascun anno, del programma biennale degli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato superiore a un milione di euro, la comunicazione di esso alle strutture e agli uffici preposti al programma di gestione e la sua pubblicazione sul profilo del committente dell’amministrazione e sul sito informatico presso l’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture presso l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC); il comma 510 subordina la possibilità di procedere ad acquisti autonomi al requisito dell’inidoneità dei beni oggetto di convenzione e a una previa autorizzazione dell’organo di vertice amministrativo, specificamente motivata e trasmessa al competente ufficio della Corte dei conti.

Qualora non operasse la clausola di salvaguardia, le previsioni richiamate, in quanto dettagliate e direttamente applicabili, contrasterebbero con gli artt. 8, numero 1), e 79 dello statuto, e 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, o con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., se più favorevole.

La norma che identifica l’organo dell’amministrazione provinciale chiamato ad esercitare il potere autorizzatorio lederebbe, in particolare, l’autonomia organizzativa della Provincia autonoma, tutelata dall’art. 8, numero 1), dello statuto e dall’art. 117, quarto comma, Cost., invocato in virtù della “clausola di maggior favore”.

2.7.– In prossimità dell’udienza, il 19 aprile 2017, la Provincia autonoma di Trento ha depositato una memoria illustrativa, confermando le conclusioni già formulate e puntualizzando le argomentazioni del ricorso alla luce della normativa sopravvenuta.

Quanto alle norme in materia di approvvigionamento di beni e servizi (art. 1, commi 505, 510, 512, 515, 516, 517, 548 e 549 della legge n. 208 del 2015), la ricorrente rivendica la propria competenza a disciplinare la materia, oggi già regolamentata dall’art. 36-ter della legge della Provincia autonoma di Trento 19 luglio 1990, n. 23 (Disciplina dell’attività contrattuale e dell’amministrazione dei beni della Provincia autonoma di Trento), che prevede un sistema di acquisti organico e razionale, volto a conseguire obiettivi di risparmio e di razionalizzazione.

Quanto al programma biennale di acquisti di beni dal costo unitario superiore a un milione di euro (art. 1, comma 505), le esigenze di trasparenza e razionalizzazione potrebbero essere perseguite con modalità alternative, che non ledano le competenze attribuite alla Provincia autonoma dagli artt. 8, numero 1), e 79 dello statuto, e 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, oppure, se più favorevole, dall’art. 117, terzo e quarto comma, Cost.

Anche la compressione dell’autonomia della Provincia con riguardo all’organo deputato ad autorizzare l’acquisto diretto (art. 1, comma 510) non sarebbe l’unico modo per conseguire gli obiettivi di razionalizzazione e risparmio.

Le norme in esame non potrebbero essere neppure qualificate come princìpi di coordinamento della finanza pubblica. Esse, ad avviso della parte ricorrente, adoperano mezzi «irragionevolmente penetranti rispetto a quanto si sarebbe potuto disporre».

Anche l’art. 1, commi 512, 515, 516 e 517, che introduce disposizioni minute e di dettaglio, sarebbe lesivo delle competenze della Provincia autonoma di Trento e dell’autonomia organizzativa e finanziaria: si individuano direttamente le centrali di acquisto alle quali è obbligatorio rivolgersi e i soggetti deputati ad autorizzare gli acquisti, prevedendo comunicazione all’ANAC e all’Agenzia per l’Italia digitale (AGID).

La Provincia autonoma ricorrente rileva che i commi 512 e 515 sono stati modificati all’art. 1, comma 419, lettere a) e c), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019): se la modifica del comma 515 è meramente formale, il comma 512, inteso nel senso della reintroduzione delle convenzioni quadro, potrebbe essere ritenuto satisfattivo.

Rimarrebbero comunque impregiudicate le censure riguardanti le altre disposizioni e il secondo periodo del comma 512.

Peraltro, relativamente ai commi da 512 a 517, la stessa difesa dello Stato si sarebbe orientata a riconoscere l’operatività della clausola di salvaguardia.

Quanto all’art. 1, commi 548 e 549, l’approvvigionamento di materiale sanitario presso Consip spa presenterebbe un contenuto cogente, che travalica la finalità di offrire criteri orientativi o di accordare una mera facoltà.

Il fatto che la Provincia autonoma di Trento abbia istituito un autonomo soggetto aggregatore non sarebbe ragione sufficiente per sottrarre l’azione di tale soggetto alla disciplina provinciale.

La ricorrente reputa ininfluente il fatto che le disposizioni in esame riproducano il contenuto di altra disposizione non impugnata, in quanto nei giudizi in via principale non opera l’istituto dell’acquiescenza.

Peraltro, la Provincia autonoma nega che l’art. 9, comma 3, del d. l. n. 66 del 2014, provvisto di un mero contenuto ricognitivo, abbia il carattere cogente della norma impugnata, lesiva dell’autonomia provinciale in materia di sanità (art. 9, numero 10, dello statuto) e in materia finanziaria (art. 79 dello statuto o, se più favorevole, art. 117, terzo comma, Cost.).

Il carattere lesivo sarebbe ancor più evidente, in ragione del fatto che la Provincia autonoma finanzia la sanità con risorse proprie, senza gravare sul Fondo sanitario nazionale.

Con riguardo all’art. 1, commi 219 e 236, la Provincia autonoma di Trento nega che si tratti di princìpi di coordinamento della finanza pubblica. La normativa citata, ove non si ritenesse applicabile la clausola di salvaguardia, invaderebbe la potestà primaria in materia di ordinamento degli uffici provinciali e del personale addetto (art. 8, numero 1, dello statuto), e, in quanto destinata a trovare immediata applicazione, contrasterebbe con l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, che stabilisce l’obbligo delle Province autonome di adeguarsi, nei limiti segnati dallo statuto, ai princìpi enunciati dagli atti legislativi dello Stato.

Le norme impugnate entrerebbero in conflitto anche con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché, comminando la risoluzione ex lege dei contratti di lavoro, precluderebbero una razionale programmazione delle risorse umane. Tali considerazioni avvalorano, ad avviso della parte ricorrente, la ridondanza della violazione di parametri estranei al riparto delle competenze sulle attribuzioni costituzionalmente riservate alle Province autonome.

Sulle previsioni in tema di allocazione degli oneri dei rinnovi contrattuali (art. 1, commi 469, secondo periodo, e 470), la difesa della Provincia richiama la normativa di attuazione nel frattempo intervenuta – il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 aprile 2016, recante «Criteri di determinazione degli oneri per i rinnovi contrattuali, ai sensi dell’articolo 1, comma 469, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016)» – che statuiva direttamente e in maniera autoapplicativa la riduzione degli oneri, prima di essere sostituita dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2017, recante «Ripartizione del Fondo di cui all’articolo 1, comma 365, della legge 11 dicembre 2016, n. 232. (Legge di bilancio 2017)», che determina una unilaterale sovrapposizione dello Stato alla competenza provinciale.

Tale congegno si tradurrebbe in una violazione del metodo pattizio (artt. 79, secondo e quarto comma, e 104 dello statuto) e della regola dell’inapplicabilità alle Province autonome di disposizioni statali che prevedono obblighi, oneri e concorsi comunque denominati (e men che meno se posti da fonti secondarie): l’obbligo di adeguamento ai princìpi di coordinamento della finanza pubblica, peraltro non ravvisabili nella fattispecie in esame, sussisterebbe esclusivamente nei limiti posti dagli artt. 4 e 5 dello statuto e dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

Le norme impugnate, in considerazione della loro attinenza all’organizzazione del personale provinciale, si porrebbero in contrasto con l’art. 8, numero 1), dello statuto.

Quanto all’art. 1, comma 470, della legge n. 208 del 2015, la Provincia autonoma di Trento ravvisa la violazione dell’art. 9, numero 10), dello statuto e dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992.

Quanto alle norme che fissano il tetto ai compensi nelle società controllate, la ricorrente rileva che l’art. 1, comma 672, è stato medio tempore abrogato dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che ne ha riprodotto il contenuto nell’art. 11 e prevede una clausola di salvaguardia ancora più ampia (art. 23 del d.lgs. n. 175 del 2016).

L’art. 1, commi 675 e 676, riguardante gli obblighi di trasparenza relativi al conferimento degli incarichi, è stato riprodotto nell’art. 15-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), testo normativo che contiene una specifica clausola di salvaguardia (art. 49, comma 4).

L’abrogazione e la contestuale riproduzione delle disposizioni impugnate confermerebbero, attraverso la previsione di specifiche clausole di salvaguardia, che esse non sono applicabili alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Ove si accedesse a una diversa interpretazione, non si potrebbe ritenere cessata la materia del contendere: la questione di legittimità costituzionale dovrebbe essere trasferita alla nuova formulazione delle norme, che riproduce il medesimo contenuto lesivo delle disposizioni originariamente censurate e non ha una valenza innovativa.

Le disposizioni in esame, che contemplerebbero «soluzioni precise ed esaustive (quando non minute)», con inevitabile ingerenza nelle sfere di autonomia spettanti alla Provincia autonoma di Trento, violerebbero gli artt. 8, numero 1), e 79 dello statuto, e non potrebbero in alcun modo essere ricondotte ai princìpi di coordinamento della finanza pubblica.

2.8.– Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha svolto, a sostegno della declaratoria di infondatezza del ricorso, argomenti che ricalcano quelli illustrati nel giudizio introdotto con ricorso iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2016 (si veda retro, punto 1.4.).

Tali argomenti sono stati ripresi anche nella memoria illustrativa depositata in vista dell’udienza.

3.– Con ricorso notificato il 26-29 febbraio 2016, depositato il successivo 8 marzo e iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2016, la Regione Veneto ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 219 e 228, della legge n. 208 del 2015, per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. e del principio di leale collaborazione, sancito dagli artt. 5 e 120 Cost.

3.1.– La parte ricorrente assume che l’art. 1, comma 219, applicabile anche al personale dirigenziale delle Regioni, contrasti con l’art. 117, terzo comma, Cost.

La norma impugnata, difatti, non potrebbe essere annoverata tra gli interventi statali rivolti al coordinamento della finanza pubblica, poiché – come emerge dalla stessa relazione tecnica – non produrrebbe effetti di sorta sui saldi di finanza pubblica.

Ad ogni modo, la norma in esame presenterebbe un carattere «puntuale ed esaustivo», incompatibile con i caratteri che dovrebbero contraddistinguere i princìpi di coordinamento della finanza pubblica.

La norma impugnata confliggerebbe altresì con l’art. 117, quarto comma, Cost., poiché invaderebbe la competenza residuale delle Regioni nella materia “ordinamento e organizzazione amministrativa delle Regioni”, che include anche la disciplina dei profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico.

Inoltre, la disciplina impugnata non contemplerebbe alcuna forma di raccordo con le Regioni, in violazione del principio di leale collaborazione consacrato dagli artt. 5 e 120 Cost.

La ricorrente prospetta anche il contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., sul presupposto che la disciplina censurata determini «una illegittima reformatio in peius del regime vigente per i dirigenti assunti dopo la data del 15 ottobre 2015 e prima dell’entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, colpiti dalla risoluzione di diritto del proprio contratto, con una palese violazione del principio del legittimo affidamento […] e del buon andamento della Pubblica amministrazione».

Il contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost. inciderebbe sull’autonomia organizzativa della Regione, ridondando in lesione delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.

3.2.– La Regione Veneto denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 228, della legge n. 208 del 2015, che consente alle Regioni e agli enti locali, per il triennio 2016-2018, di procedere ad assunzione di personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno di tali anni, ad una spesa pari al 25 per cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente.

Per il personale collocato in mobilità degli enti di area vasta e destinato a funzioni non fondamentali, la disposizione conferma le percentuali stabilite dall’art. 3, comma 5, del decreto- legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114: 80 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente per gli anni 2016 e 2017 e 100 per cento per l’anno 2018.

La norma impugnata, per il biennio 2017-2018, deroga alla previsione che consente di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato nel limite del 100 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente. Una tale possibilità è prevista dall’art. 3, comma 5-quater, del d. l. n. 90 del 2014 per Regioni ed enti locali “virtuosi”, che abbiano, come la Regione Veneto, un’incidenza delle spese di personale sulla spesa corrente pari o inferiore al 25 per cento.

Ad avviso della Regione ricorrente, la norma impugnata, con automatismo illegittimo, «non proporzionato e incongruente sotto il profilo della connessione razionale e della necessità», senza tener conto della situazione dell’ente pubblico dal punto di vista della dotazione di personale, limiterebbe la capacità organizzativa di una Regione “virtuosa”, in misura non giustificata dall’esigenza di riassorbire il personale riallocato degli enti di area vasta.

Pertanto, la norma contrasterebbe con gli artt. 3 e 97 Cost., con «lesione dell’autonomia costituzionalmente garantita alla Regione dagli artt. 117, III e IV comma, 118 e 119 Cost.».

3.3.– In prossimità dell’udienza, il 18 aprile 2017, la Regione Veneto ha depositato una memoria illustrativa, confermando le conclusioni già rassegnate nel ricorso.

Quanto all’art. 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015, la Regione Veneto esclude che possa configurarsi come intervento di coordinamento della finanza pubblica e ribadisce il rilievo che la previsione non avrebbe alcun effetto sui saldi finanziari e, in virtù del suo «carattere puntuale ed esaustivo», non lascerebbe alcuno spazio all’autonomia regionale.

La disposizione censurata inciderebbe in maniera diretta sull’ordinamento e sull’organizzazione amministrativa delle Regioni, materia di competenza residuale regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. e comprensiva dei profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico.

Un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale si coglierebbe nella mancata previsione di qualsiasi forma di concertazione e di raccordo con le Regioni, in contrasto con il principio di leale collaborazione, tutelato dagli artt. 5 e 120 Cost.: la Regione ricorrente richiama, a tale riguardo, le enunciazioni della sentenza n. 251 del 2016, che ha ritenuto doverosa, in ragione delle molteplici interferenze con le competenze regionali, l’intesa in sede di Conferenza unificata.

La Regione registra la mancata attuazione della riforma della dirigenza pubblica, che farebbe venir meno il carattere transitorio del “blocco” delle assunzioni dirigenziali, disposto dalla norma impugnata «[n]elle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124 […]».

Quanto al meccanismo, che determina la reformatio in peius del regime vigente per i dirigenti assunti dopo il 15 ottobre 2015 e prima dell’entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, con conseguente risoluzione di diritto dei contratti, sarebbe lesivo del principio di legittimo affidamento (art. 3 Cost.) e del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

Tale violazione si rifletterebbe «sulla competenza regionale ex art. 117, comma 4, della Costituzione in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa della Regione».

Anche l’art. 1, comma 228, della legge n. 208 del 2015 violerebbe l’autonomia regionale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa e non terrebbe conto della situazione dell’ente pubblico e del comportamento “virtuoso” della Regione ricorrente.

L’automatismo, insito nella disposizione impugnata, contrasterebbe con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione e con il principio di ragionevolezza, «sotto il profilo sia dell’incongruenza tra mezzi e fini sia della mancanza di proporzionalità (per la non necessaria, e in ogni caso eccessiva, limitazione dell’autonomia regionale in relazione allo scopo della norma)».

3.4.– Nel giudizio si è costituito, con memoria del 7 aprile 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di respingere le questioni di legittimità costituzionale promosse dalla Regione Veneto.

Le norme sul personale dirigenziale delle Regioni (art. 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015) sarebbero riconducibili ai princìpi di coordinamento della finanza pubblica, che comprendono anche norme puntuali volte a realizzare in concreto le finalità del coordinamento finanziario, e si collocherebbero nel solco di altri interventi di riduzione del personale dirigenziale delle amministrazioni pubbliche, come quelli attuati con l’art. 2 del d. l. n. 95 del 2012.

Peraltro, la previsione impugnata non esaurisce gli strumenti e le modalità dettate dalla norma statale per il perseguimento dell’obiettivo: l’art. 1, comma 221, della legge n. 208 del 2015, difatti, prevede che Regioni ed enti locali possano operare una ricognizione delle relative dotazioni organiche dirigenziali e riordinare le competenze degli uffici dirigenziali, in modo da razionalizzare e contenere la spesa pubblica, evitare duplicazioni e garantire «una maggiore flessibilità della figura dirigenziale ed il corretto funzionamento degli uffici».

Quanto all’art. 1, comma 228, della legge n. 208 del 2015, l’Avvocatura generale dello Stato ribadisce gli argomenti già svolti con riguardo alle finalità di razionalizzazione della norma, che si configura come principio di coordinamento della finanza pubblica e mira a «far fronte alla razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica legata alla cessazione del personale».

3.5.– Nell’approssimarsi dell’udienza, il 18 aprile 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria illustrativa e ha insistito per il rigetto del ricorso della Regione Veneto.

L’Avvocatura generale dello Stato ribadisce che le disposizioni impugnate si raccordano a precedenti interventi di riduzione del personale dirigenziale delle amministrazioni pubbliche e sono componente indispensabile degli interventi di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica.

Anche in ragione dell’eccezionalità della situazione economica e dell’unitarietà del quadro di finanza pubblica, sarebbe ineludibile la necessità di fissare regole comuni e omogenee, che «costituiscono piena attuazione del coordinamento della finanza pubblica, di cui agli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione».

4.– All’udienza del 10 maggio 2017, le parti hanno ribadito le conclusioni rassegnate negli scritti difensivi.

Considerato in diritto 1.– La Provincia autonoma di Bolzano, con ricorso iscritto al n. 10 del registro ricorsi 2016, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 219, 236, 469, secondo periodo, 470, 505, 510, 512, 515, 516, 517, 548, 549, 672, 675 e 676 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», ritenendo violati gli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e le relative norme di attuazione (art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, recante «Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità» e d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e sanità approvate con decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474»); gli artt. 79, 80 e 81 dello statuto di autonomia e le relative norme di attuazione (artt. 2 e 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento»; artt. 17, 18 e 19 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale», e art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica»); gli artt. 99 e 100 dello statuto e le relative norme di attuazione (d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari»); l’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, «in combinato disposto con l’articolo 10 della legge costituzionale n. 3/2001», in tema di “tutela della salute” e “organizzazione”; gli artt. 116 e 119 Cost. e il principio di leale collaborazione, «anche in relazione all’articolo 120 della Costituzione».

2.– La Provincia autonoma di Trento, con il ricorso iscritto al n. 20 del registro ricorsi 2016, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale delle medesime disposizioni della legge di stabilità 2016, per contrasto con gli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), 79 e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, con gli artt. 2 e 4 del d.lgs. n. 266 del 1992 e, se norma più favorevole, con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost. (in combinazione con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»), con l’art. 119 Cost. e con gli artt. 3 e 97 Cost.

3.– La Regione Veneto, con ricorso iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2016, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 219 e 228, della legge n. 208 del 2015, prospettando la violazione degli artt. 3, 5, 97, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost..

4.– Deve essere riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione di altre disposizioni della legge n. 208 del 2015.

4.1.– I giudizi, così delimitati, devono essere riuniti, in ragione della loro connessione oggettiva, per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.

5.– Occorre, in primo luogo, esaminare le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015, impugnato dalla Regione Veneto e dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.

5.1.– L’art. 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015, applicabile anche alle amministrazioni regionali, statuiva che fossero resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e di seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), «come rideterminati in applicazione dell’articolo 2 del decreto- legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, vacanti alla data del 15 ottobre 2015, tenendo comunque conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o con incarico di studio e del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa».

Lo stesso art. 1, comma 219, disponeva che – alla data della sua entrata in vigore (1° gennaio 2016) – vi fosse la cessazione di diritto, con risoluzione dei relativi contratti, degli incarichi conferiti dopo il 15 ottobre 2015 e prima dell’entrata in vigore della legge (1° gennaio 2016) a copertura dei posti dirigenziali resi indisponibili.

5.2.– La Regione Veneto censura tale disciplina per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Essa, difatti, non potrebbe essere annoverata tra gli interventi statali rivolti al coordinamento della finanza pubblica, poiché non produce effetti di sorta sui saldi di finanza pubblica, e presenta un carattere «puntuale ed esaustivo, che non lascia alcuno spazio aperto alla autonomia regionale, perché definisce uno specifico temporale di applicazione, precise categorie dirigenziali incluse ed escluse, puntuali conseguenze sui rapporti già in essere», in contrasto con le caratteristiche dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica.

Sarebbe violato anche l’art. 117, quarto comma, Cost. La disposizione impugnata inciderebbe indebitamente sulla materia “ordinamento e organizzazione amministrativa”, di competenza residuale delle Regioni, comprensiva della disciplina dei profili pubblicistico-organizzativi.

La Regione ricorrente deduce anche la violazione degli artt. 5 e 120 Cost., espressivi del principio di leale collaborazione, argomentando che la disciplina impugnata, pur determinando un’interferenza con le competenze regionali, «evidentemente non risolvibile con il mero criterio della prevalenza del legislatore statale», non prevede alcuna forma di “raccordo” con le Regioni. Tale mancanza di raccordo determinerebbe anche un contrasto con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.

La normativa in esame contrasterebbe altresì con gli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui prevede la risoluzione di diritto del contratto per i dirigenti assunti dopo il 15 ottobre 2015 e prima dell’entrata in vigore della legge n. 208 del 2015, in violazione del legittimo affidamento riposto dai dirigenti, tutelato dall’art. 3 Cost., e del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Il contrasto con i parametri estranei al riparto delle competenze tra Stato e Regioni si rifletterebbe sull’autonomia organizzativa della Regione e perciò ridonderebbe «in una lesione delle competenze regionali di cui agli artt. 117, III e IV comma, e 118 Cost.».

Anche le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno formulato censure nei confronti della medesima disposizione, pur muovendo dal presupposto che la normativa in esame non si applichi nei loro confronti, per effetto della clausola di salvaguardia di cui all’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015.

Le Province autonome ricorrenti assumono che, ad ogni modo, la previsione impugnata limiti arbitrariamente la facoltà di reclutare i dirigenti, con lesione delle competenze normative provinciali in materia di «ordinamento degli uffici provinciali e del personale ad essi addetto» (art. 8, numero 1, dello statuto di autonomia), o della competenza residuale in materia di organizzazione amministrativa, attribuita dall’art. 117, quarto comma, Cost., ove il precetto costituzionale accordi un’autonomia più ampia.

La legislazione statale detterebbe norme «di carattere preciso e specifico», in violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, che non consente l’immediata applicazione delle norme emanate dal legislatore statale.

Quanto alla cessazione di diritto degli incarichi dirigenziali, la Provincia autonoma di Trento ravvisa anche il contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). La cessazione di diritto comminata dalla norma precluderebbe in maniera irragionevole alla pubblica amministrazione provinciale la possibilità di valutare autonomamente l’efficienza del personale reclutato.

5.3.– E’ utile evidenziare, preliminarmente, che l’art. 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015, è stato abrogato dall’art. 25, comma 4, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche».

La nuova disciplina è entrata in vigore a decorrere dal 22 giugno 2017, alla stregua delle regole generali enunciate dall’art. 73, terzo comma, Cost.

Occorre verificare se, alla stregua di tale sopravvenienza normativa, possa dirsi cessata la materia del contendere. Per giurisprudenza costante di questa Corte, «perché possa dichiararsi la cessazione della materia del contendere è necessario il concorso di due requisiti: lo ius superveniens deve avere carattere satisfattivo delle pretese avanzate con l’atto introduttivo del giudizio e le disposizioni oggetto d’impugnazione non devono avere avuto medio tempore applicazione (da ultimo, sentenze n. 8 del 2017, n. 257, n. 253, n. 242 e n. 199 del 2016)» (sentenza n. 59 del 2017, punto 3.1. del Considerato in diritto).

Nel caso di specie, la norma abrogata ha avuto applicazione per un arco temporale rilevante, dal 1° gennaio 2016, data di entrata in vigore della legge di stabilità 2016, fino al 21 giugno 2017. Tale circostanza, di per sé, esclude la cessazione della materia del contendere.

5.4.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015 è fondata, in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost.

La norma impugnata era destinata a operare nelle more dell’adozione dei decreti legislativi attuativi degli artt. 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), riguardanti, rispettivamente, la «Riorganizzazione dell’amministrazione dello Stato», la «Dirigenza pubblica», il «Riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche», e nelle more «dell’attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni», relativi al processo di riordino degli enti di area vasta e di ricollocazione del personale.

La previsione restrittiva faceva salvi solo «i casi per i quali, alla data del 15 ottobre 2015, sia stato avviato il procedimento per il conferimento dell’incarico e, anche dopo la data di entrata in vigore della presente legge, quelli concernenti i posti dirigenziali in enti pubblici nazionali o strutture organizzative istituiti dopo il 31 dicembre 2011, i posti dirigenziali specificamente previsti dalla legge o appartenenti a strutture organizzative oggetto di riordino negli anni 2014 e 2015 con riduzione del numero dei posti e, comunque, gli incarichi conferiti a dirigenti assunti per concorso pubblico bandito prima della data di entrata in vigore della presente legge o da espletare a norma del comma 216, oppure in applicazione delle procedure di mobilità previste dalla legge».

In ogni altra ipotesi, le amministrazioni pubbliche avrebbero potuto conferire incarichi dirigenziali «solo nel rispetto del numero complessivo dei posti resi indisponibili».

Questa Corte è costante nell’affermare che i profili pubblicistico-organizzativi dell’impiego pubblico regionale «rientrano nell’ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, e quindi appartengono alla competenza legislativa residuale della Regione» (sentenza n. 149 del 2012, punto 4.2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 63 del 2012, punto 3.1. del Considerato in diritto), di cui all’art. 117, quarto comma, Cost.

Nel disciplinare l’indisponibilità dei posti dirigenziali di prima e di seconda fascia, vacanti alla data del 15 ottobre 2015, e la cessazione di diritto degli incarichi dirigenziali conferiti tra il 15 ottobre 2015 e il 1° gennaio 2016, la norma impugnata è riconducibile alla competenza residuale ex art. 117, quarto comma, Cost. in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, «entro cui si collocano le procedure concorsuali pubblicistiche per l’accesso al ruolo (così come a tutto il pubblico impiego: sentenze n. 310 del 2011 e n. 324 del 2010), il conferimento degli incarichi (sentenza n. 105 del 2013) e la durata degli stessi. Questa Corte ha ritenuto tali aspetti inerenti ai profili pubblicistico-organizzativi della dirigenza pubblica, così come di tutto il lavoro pubblico (fra le tante, sentenza n. 149 del 2012). Il legislatore statale interviene in questi casi solo per fissare principi generali a garanzia del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione (sentenza n. 105 del 2013)» (sentenza n. 251 del 2016, punto 4.2.1. del Considerato in diritto).

La disciplina in esame racchiude previsioni quanto mai dettagliate e penetranti anche in merito alla cessazione ope legis degli incarichi e alla risoluzione dei contratti e incide direttamente sul conferimento e sulla durata degli incarichi dirigenziali, aspetti devoluti alla competenza regionale residuale in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa.

La norma impugnata, circoscritta a un periodo transitorio e legata all’attuazione della riforma della pubblica amministrazione, non rappresenta espressione della competenza statale a fissare i princìpi generali a garanzia del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione.

5.5.– Deve essere, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 219, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui si applica anche alle amministrazioni delle Regioni e delle Province autonome.

5.6.– Restano assorbite le ulteriori censure formulate dalla Regione Veneto e dalle Province autonome ricorrenti nei confronti della medesima disposizione.

6.– La Regione Veneto ha impugnato anche l’art. 1, comma 228, ultimo periodo, della legge n. 208 del 2015, nella parte in cui «blocca, per il biennio 2017-2018, la possibilità per le Regioni e gli enti locali “virtuosi” di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato prescindendo dal limite del 25% del personale cessato nell’anno precedente».

6.1.– Ad avviso della Regione ricorrente la disciplina censurata confliggerebbe con il principio di ragionevolezza, di proporzionalità, di congruenza e con il buon andamento della pubblica amministrazione (artt. 3 e 97 Cost.) e imporrebbe una misura ispirata ad un arbitrario automatismo, non giustificata dall’esigenza di riassorbire il personale riallocato degli enti di area vasta.

Sarebbero violati anche gli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost., sul presupposto che l’intervento normativo in discussione limiti l’autonomia organizzativa di una Regione “virtuosa”, in misura non giustificata dall’esigenza di riassorbire il personale riallocato degli enti di area vasta e senza tener conto della situazione dell’ente pubblico dal punto di vista della dotazione di personale. Si delineerebbe in tal modo un automatismo illegittimo, «non proporzionato e incongruente sotto il profilo della connessione razionale e della necessità».

6.2.– Si deve rilevare, in via preliminare, che le modificazioni apportate dall’art. 16, comma 1-bis, del decreto- legge 24 giugno 2016, n. 113 (Misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2016, n. 160; dall’art. 1, comma 479, lettera d), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019); e dall’art. 22, commi 2 e 3, del decreto- legge 24 aprile 2017, n. 50 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, sono intervenute su altre previsioni del citato art. 1, comma 228, e non hanno inciso sullo specifico precetto impugnato dalla Regione ricorrente.

6.3.– La questione non è fondata.

6.3.1.– La norma impugnata si inserisce in un contesto di misure volte a limitare la spesa relativa al personale degli enti territoriali.

L’art. 3, comma 5-quater, del decreto- legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, prevede che le Regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno, quando l’incidenza della spesa relativa al personale sulla spesa corrente sia pari o inferiore al 20 per cento, possano procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, a decorrere dal 1º gennaio 2014, «nel limite dell’80 per cento della spesa relativa al personale di ruolo cessato dal servizio nell’anno precedente e nel limite del 100 per cento a decorrere dall’anno 2015», fermi restando i «vincoli generali sulla spesa di personale».

L’ultimo periodo dell’impugnato art. 1, comma 228, sospende tale facoltà per gli anni 2017 e 2018 e rende così generale l’applicazione della regola enunciata dal primo periodo del medesimo comma, che consente alle amministrazioni assoggettate al patto di stabilità interno di procedere alle assunzioni a tempo indeterminato di personale di qualifica non dirigenziale per gli anni 2016, 2017 e 2018 «nel limite di un contingente di personale corrispondente, per ciascuno dei predetti anni, ad una spesa pari al 25 per cento di quella relativa al medesimo personale cessato nell’anno precedente».

6.3.2.– Per ragioni di coordinamento finanziario ben può il legislatore statale imporre in via transitoria agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio, atti a contenere il tasso di crescita della spesa corrente rispetto agli anni precedenti (sentenza n. 36 del 2004).

Come traspare anche dai dati contabili acquisiti nel corso dei lavori parlamentari, la norma impugnata incide su un aggregato rilevante della spesa corrente, che si identifica nella spesa per il personale, voce di importanza strategica, nelle sue molteplici componenti, per l’attuazione del patto di stabilità interno (sentenza n. 169 del 2007).

La disciplina prefigurata dal legislatore reca princìpi di coordinamento della finanza pubblica, nel rispetto dei requisiti che la giurisprudenza di questa Corte ha individuato per escludere l’illegittimità delle misure limitative dell’autonomia regionale (sentenza n. 218 del 2015). Essa, invero, non prevede in modo esaustivo strumenti e modalità di perseguimento degli obiettivi, comunque rimessi all’apprezzamento delle Regioni, e presenta un carattere transitorio e delimitato nel tempo, circoscritto al biennio 2017-2018, periodo in cui si ripristina la vigenza della regola generale e si sospende l’applicazione di una disciplina derogatoria più flessibile, legata a situazioni di modesta incidenza della spesa del personale rispetto alla spesa corrente.

Quanto al paventato trattamento deteriore degli enti “virtuosi”, questa Corte ha osservato che il carattere generale degli interventi di riordino impone una disciplina uniforme e che questa disciplina, di per sé priva di intenti premiali o punitivi, non può essere diversamente calibrata in ragione di presunte specificità territoriali (sentenze n. 176 e n. 159 del 2016).

7.– Lo scrutinio delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale, promosse dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, impone di verificare preliminarmente l’operatività della clausola di salvaguardia, enunciata dall’art. 1, comma 992, della citata legge n. 208 del 2015 con la seguente formulazione: «Le disposizioni della presente legge sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3».

7.1.– Posta a presidio delle prerogative regionali e provinciali statutarie e di attuazione statutaria, tale clausola, come più volte ribadito da questa Corte (fra le tante, sentenze n. 23 del 2014 e n. 241 del 2012), riveste la funzione di limite per l’applicazione delle disposizioni della legge statale in cui ciascuna clausola è inserita e implica che le disposizioni della legge statale non siano applicabili nei confronti degli enti a statuto speciale, se in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione.

L’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015, introdotto nel corso dell’esame al Senato al precipuo scopo di tutelare le autonomie speciali (emendamento 50.0.14), non contempla una mera formula di stile, priva di significato normativo, ma ha la precisa funzione di rendere applicabili le disposizioni della medesima legge agli enti ad autonomia differenziata, a condizione che tali disposizioni non siano lesive delle prerogative regionali e provinciali.

L’operatività delle clausole di salvaguardia deve essere esclusa nei particolari casi in cui singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale (fra le tante, sentenza n. 40 del 2016).

Si deve dunque verificare, con riguardo alle singole disposizioni impugnate, se esse si rivolgano espressamente anche agli enti dotati di autonomia speciale, con l’effetto di neutralizzare la portata della clausola generale.

7.2.– La non applicabilità delle disposizioni di legge statale lesive delle prerogative delle autonomie speciali assume una declinazione diversa a seconda che il contrasto si risolva nell’invasione di una sfera di competenza dell’ente autonomo, al di fuori dei casi di intreccio con competenze statali.

Con riguardo alle Province autonome di Trento e di Bolzano, sono le stesse norme di attuazione, e in particolare l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, a porre a carico degli enti autonomi un generale obbligo di adeguamento a «principi e norme costituenti limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e recati da atto legislativo dello Stato», il cui mancato rispetto costituisce vizio di legittimità costituzionale delle disposizioni legislative regionali o provinciali.

Un peculiare obbligo di adeguamento si è delineato con riguardo alle misure di contenimento della spesa pubblica, definite dalle leggi di stabilità in vista del perseguimento degli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica, anche alla luce dei vincoli derivanti dall’adesione all’Unione europea.

Infatti, questa Corte ha più volte riconosciuto che le autonomie speciali, nonostante siano titolari di autonomia finanziaria, devono comunque assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, al fine di garantire la sostenibilità del sistema nel quale esse stesse sono incluse (fra le tante, sentenza n. 19 del 2015). La tutela dell’unità economica della Repubblica assume a tale riguardo rilievo preponderante e si affianca all’obbligo di prevenire squilibri di bilancio, con specifico riferimento all’andamento dei conti pubblici degli enti a ordinamento particolare (fra le tante, sentenza n. 39 del 2014).

Una clausola di salvaguardia di portata generale, come quella racchiusa nella legge di stabilità 2016, impone comunque il rispetto delle prerogative statutarie, sia sostanziali sia procedurali, degli enti dotati di autonomia speciale.

In definitiva, sia nell’imporre, in termini generali, il rispetto dello statuto e delle norme di attuazione statutaria, sia nell’imporre modalità procedurali specifiche previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione, essa obbliga gli enti in questione a conformarsi ai medesimi vincoli, o nell’esercizio di proprie competenze legislative (art. 2 d.lgs. n. 266 del 1992, richiamato dall’art. 79, quarto comma, del d.P.R. n. 670 del 1972) o secondo modalità procedurali dominate dal principio consensualistico.

7.3.– Così definita la portata della clausola di salvaguardia, si deve ora esaminare se le singole disposizioni impugnate siano compatibili con gli statuti speciali e con le relative norme di attuazione e, quindi, se siano applicabili alle Province autonome ricorrenti.

8.– Le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno impugnato l’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015, in virtù del quale, a decorrere dal 1° gennaio 2016, le risorse destinate al trattamento accessorio del personale, anche dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 non avrebbero potuto superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2015 e avrebbero dovuto subire una automatica riduzione, in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio, tenendo conto del personale che avrebbe potuto essere reclutato alla stregua della normativa vigente.

8.1.– Tali previsioni sono censurate per violazione della potestà legislativa primaria che compete alla Provincia in materia di ordinamento degli uffici provinciali e del personale (art. 8, numero 1, dello statuto di autonomia), nonché della relativa potestà amministrativa (art. 16 dello statuto, evocato dalla sola Provincia autonoma di Bolzano).

Le Province autonome ricorrenti denunciano, ove si configuri come norma più favorevole alla stregua dell’art. 3 della l. cost. n. 3 del 2001, anche la violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., che attribuisce alle Regioni e alle Province autonome la competenza residuale in materia di organizzazione amministrativa.

La Provincia di Trento deduce, inoltre, la violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), poiché sarebbe inibita la facoltà della pubblica amministrazione di richiedere lavoro straordinario, retribuito proprio con il trattamento accessorio così limitato, e, dal canto suo, il lavoratore che ha prestato lavoro straordinario sarebbe costretto a rinunciare alla retribuzione maturata.

Secondo le Province ricorrenti, le misure sottoposte allo scrutinio di questa Corte non potrebbero essere ricondotte, per il carattere di minuto dettaglio che le contraddistingue, ai princìpi di coordinamento della finanza pubblica, princìpi che le Province autonome sono chiamate ad attuare nel rispetto della normativa statutaria (art. 79, quarto comma, del d.P.R. n. 670 del 1972) e di attuazione statutaria (art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992).

8.2.– Si deve dar conto, in via preliminare, dell’abrogazione dell’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015, per effetto dell’art. 23, comma 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 75 del 2017, in vigore dal 22 giugno 2017.

L’abrogazione retroagisce al 1° gennaio 2017 e si inserisce in un’articolata regolamentazione del salario accessorio delle amministrazioni pubbliche, volta a garantirne la «progressiva armonizzazione» (art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 75 del 2017).

Dall’abrogazione dell’art. 1, comma 236, non consegue la cessazione della materia del contendere, poiché la norma impugnata dalle Province autonome ricorrenti ha prodotto i suoi effetti per un arco temporale rilevante, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016.

8.3.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015 non è fondata.

8.3.1.– Le Province autonome ricorrenti muovono dalla premessa, in sé condivisibile, che tale disposizione non sia direttamente applicabile, in forza della clausola di salvaguardia sancita dall’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015, e hanno promosso questione di legittimità costituzionale in via meramente gradata.

Si deve rilevare, anzitutto, che la clausola di salvaguardia non è contraddetta, nella sua portata precettiva, da disposizioni che si indirizzino specificamente alle Province autonome, senza essere mediate dal richiamo generale al novero delle amministrazioni pubbliche.

È necessario verificare se le disposizioni impugnate incidano su materie inerenti a sfere di competenza provinciale.

Quanto all’identificazione della materia, occorre richiamare la giurisprudenza di questa Corte, che ha ricondotto i limiti ai trattamenti accessori ai princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 61 del 2014), attribuiti alla competenza concorrente. Le limitazioni in esame investono un settore rilevante della spesa per il personale e, in particolare, la componente che riguarda una delle due grandi parti in cui si suddivide il trattamento economico del personale pubblico (sentenza n. 215 del 2012).

Anche gli elementi istruttori acquisiti nel corso dell’approvazione della legge di stabilità avvalorano tale conclusione e attestano la considerevole entità del risparmio che, per l’anno 2016, discende dall’applicazione della misura.

8.3.2.– I princìpi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, applicabili anche alle autonomie speciali (sentenza n. 156 del 2015), devono essere resi operativi secondo le modalità prescritte dalla normativa statutaria e di attuazione dello statuto. Le disposizioni statali, nei casi in cui non sono direttamente applicabili, si rivolgono alle Province autonome «mediatamente» e si pongono come fonte di un «vincolo comportamentale» (sentenza n. 141 del 2015).

L’obbligo di adeguamento è sancito dall’art. 79, quarto comma, dello statuto, che prescrive alle Province autonome di provvedere alle finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria legislazione ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e adottando, a tale scopo, autonome misure di razionalizzazione e contenimento della spesa.

In forza della clausola di salvaguardia di cui al citato art. 1, comma 992, deve essere dunque esclusa l’immediata applicazione delle disposizioni statali e si deve affermare che sussiste un obbligo di adeguamento della Provincia, nei limiti e con le modalità tracciate dalla normativa statutaria e attuativa dello statuto.

9.– Possono essere esaminate congiuntamente le censure proposte dalle Province autonome di Trento e di Bolzano con riguardo all’art. 1, commi 505, 510, 515, 516, 517, 518, 548 e 549, della legge n. 208 del 2015, in quanto unitaria è la finalità che ispira le norme impugnate, orientate, a vario titolo, alla razionalizzazione e alla trasparenza degli acquisti delle amministrazioni pubbliche, e analoghe le censure proposte.

9.1.– Le Province autonome di Trento e di Bolzano censurano l’art. 1, commi 505 e 510, della legge n. 208 del 2015.

9.1.1.– In vista di esigenze di trasparenza, efficienza e funzionalità dell’amministrazione, l’art. 1, comma 505, obbligava le amministrazioni pubbliche ad approvare, entro il mese di ottobre di ciascun anno, «il programma biennale e suoi aggiornamenti annuali degli acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato superiore a 1 milione di euro».

La violazione di tali prescrizioni, fonte di «responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti», implicava che fosse negato il finanziamento per le acquisizioni «non comprese nel programma e nei suoi aggiornamenti».

In forza dell’art. 1, comma 510, della legge n. 208 del 2015, le amministrazioni pubbliche, tenute ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni «stipulate da Consip Spa», possono procedere ad acquisti autonomi quando il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione per difetto di caratteristiche essenziali. La deroga deve essere concessa con autorizzazione specificamente motivata dell’organo di vertice amministrativo, trasmessa alla Corte dei conti.

9.1.2.– Le parti ricorrenti osservano che tali previsioni, estremamente dettagliate e direttamente applicabili con riguardo agli oneri di comunicazione e di pubblicazione, alla responsabilità dei dirigenti, all’eccezionalità delle deroghe, comprimono l’autonomia organizzativa delle Province autonome, con conseguente violazione della competenza legislativa primaria in tema di personale ed uffici (art. 8, numero 1, dello statuto) e – per la Provincia di Bolzano – anche dell’art. 16 dello statuto.

Sarebbe lesa la competenza residuale in materia di organizzazione amministrativa, riconosciuta dall’art. 117, quarto comma, Cost., invocato in base alla “clausola di maggior favore”.

Le norme impugnate travalicherebbero i limiti prescritti dall’art. 79, quarto comma, dello statuto e dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, inconciliabili con la diretta applicazione della normativa statale che pone princìpi di coordinamento della finanza pubblica.

La Provincia autonoma di Trento individua uno specifico profilo di illegittimità costituzionale (per violazione dell’art. 8, numero 1, dello statuto, o dell’art. 117, quarto comma, Cost., ove norma in concreto più favorevole) nella puntuale individuazione dell’organo dell’amministrazione provinciale chiamato ad esercitare il potere di autorizzazione.

9.2.– Le Province autonome di Trento e di Bolzano sospettano di illegittimità costituzionale anche l’art. 1, commi 512, 515, 516 e 517, della legge n. 208 del 2015, in tema di acquisti di beni e di servizi informatici e di connettività.

Tali disposizioni stabiliscono che le amministrazioni pubbliche e le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione sono obbligate ad approvvigionarsi «esclusivamente tramite Consip SpA o i soggetti aggregatori» (art. 1, comma 512, della legge n. 208 del 2015, nella versione originaria), in vista di un obiettivo di risparmio di spesa annuale, «da raggiungere alla fine del triennio 2016-2018, pari al 50 per cento della spesa annuale media per la gestione corrente del solo settore informatico, relativa al triennio 2013-2015» (art. 1, comma 515, della medesima legge, anche con ulteriori specificazioni in merito al risparmio pianificato).

Gli obblighi imposti alle amministrazioni pubbliche e alle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione possono essere derogati soltanto «a seguito di apposita autorizzazione motivata dell’organo di vertice amministrativo, qualora il bene o il servizio non sia disponibile o idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione ovvero in casi di necessità ed urgenza comunque funzionali ad assicurare la continuità della gestione amministrativa» (art. 1, comma 516, della legge n. 208 del 2015). È prescritta altresì la comunicazione «all’Autorità nazionale anticorruzione e all’Agid».

L’inosservanza delle disposizioni indicate «rileva ai fini della responsabilità disciplinare e per danno erariale» (art. 1, comma 517, della legge n. 208 del 2015).

9.2.1.– Le Province autonome ricorrenti lamentano la lesione della competenza ad attuare il principio di «organizzazione razionale e non atomistica degli acquisti» e denunciano la violazione della competenza legislativa primaria della Provincia in materia di organizzazione degli uffici (art. 8, numero 1, dello statuto speciale), violazione che, secondo la Provincia autonoma di Bolzano, determinerebbe il contrasto anche con l’art. 16 dello statuto, relativo alla potestà amministrativa delle Province autonome.

Le norme impugnate sarebbero lesive della competenza residuale in tema di organizzazione amministrativa (art. 117, quarto comma, Cost., sempre che il precetto costituzionale sia più favorevole) e dell’autonomia finanziaria della Provincia dal lato della spesa, tutelata dall’art. 119, primo comma, Cost. e, a dire della Provincia autonoma di Bolzano, dal precetto generale dell’art. 116 Cost. La Provincia, che impiega risorse proprie, non potrebbe essere spogliata del potere di valutare la convenienza degli acquisti.

Anche a volere collocare la norma tra i princìpi di coordinamento della finanza pubblica, si coglierebbe il carattere lesivo della normativa impugnata, poiché tali princìpi dovrebbero essere attuati dalle Province autonome nel quadro tracciato dall’art. 79, quarto comma, dello statuto.

La Provincia autonoma di Trento formula una specifica censura nei confronti dell’art. 1, comma 516, ritenendo pregiudicata la propria autonomia organizzativa. La norma individuerebbe in modo vincolante l’organo dell’amministrazione provinciale deputato a concedere l’autorizzazione alla deroga.

9.3.– Le Province autonome di Trento e di Bolzano censurano anche l’art. 1, commi 548 e 549, della legge n. 208 del 2015.

9.3.1.– L’art. 1, comma 548, obbliga gli enti del Servizio sanitario nazionale ad approvvigionarsi, «relativamente alle categorie merceologiche del settore sanitario», avvalendosi, in via esclusiva, delle centrali regionali di committenza di riferimento o della Consip spa.

Ove le centrali di committenza non siano disponibili o non siano operative, gli enti del Servizio sanitario nazionale sono tenuti ad approvvigionarsi attraverso le «centrali di committenza iscritte nell’elenco dei soggetti aggregatori, di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto- legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89» (art. 1, comma 549, della legge n. 208 del 2015).

La violazione degli adempimenti previsti dall’art. 1, comma 549, «costituisce illecito disciplinare ed è causa di responsabilità per danno erariale».

9.3.2.– Le Province autonome ricorrenti censurano questa «stringente norma di dettaglio – connotata peraltro dall’automatica applicazione» (ric. Trento), per la lesione della competenza di carattere concorrente della Provincia in materia di sanità (art. 9, numero 10, dello statuto speciale), e – ad avviso della Provincia di Bolzano – della potestà amministrativa attribuita dall’art. 16 dello statuto.

Le Province autonome denunciano l’invasione della competenza concorrente in materia di “tutela della salute”, invocando l’art. 117, terzo comma, Cost. in base alla “clausola di maggior favore” dell’art. 10 della l. cost. n. 3 del 2001.

Anche a volere annoverare le norme impugnate tra i princìpi di coordinamento della finanza pubblica, non si attenuerebbe il contrasto con i parametri statutari, poiché l’attuazione di tali princìpi dovrebbe essere rispettosa dell’autonomia provinciale e delle modalità procedurali previste dall’art. 79, quarto comma, dello statuto e dall’art. 2 del d.lgs n. 266 del 1992.

Peraltro, le Province ricorrenti godrebbero di una peculiare autonomia in materia sanitaria. Esse finanzierebbero la sanità con risorse proprie, senza alcuna partecipazione al Fondo sanitario nazionale.

La Provincia autonoma di Bolzano, per avvalorare la propria autonomia, che ritiene tutelata in termini generali dagli artt. 116 e 119 Cost., richiama anche gli artt. 80 e 81 dello statuto, il d.lgs. n. 268 del 1992, l’art. 34, comma 3, della legge n. 724 del 1994. Tra le norme di attuazione dello statuto, rilevanti in materia di igiene e sanità, la Provincia autonoma di Bolzano evoca anche l’art. 2 del d.P.R. n. 474 del 1975 e il d.P.R. n. 197 del 1980 (si veda pagina 4 del ricorso introduttivo).

9.4.– Tutti i dubbi di legittimità costituzionale, prospettati dalle Province autonome nei confronti delle predette norme in tema di razionalizzazione degli acquisti nel settore delle pubbliche amministrazioni, sono proposti nell’eventualità che si ritenga di escludere l’operatività della clausola di salvaguardia.

9.5.– Si devono ora evidenziare le sopravvenienze che hanno interessato la complessa disciplina fin qui tratteggiata.

9.5.1.– A decorrere dal 20 maggio 2017, l’art. 1, comma 505, della legge n. 208 del 2015 è stato abrogato dall’art. 217, comma 1, lettera ss-bis), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), lettera inserita dall’art. 129, comma 1, lettera n), del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50).

Le esigenze di trasparenza e di programmazione degli acquisti rilevanti sono oggi tutelate dall’art. 21 del d.lgs. n. 50 del 2016, che vincola le amministrazioni aggiudicatrici a predisporre un programma biennale di acquisti di beni e di servizi di importo unitario stimato superiore a quarantamila euro.

La norma impugnata, che ha imposto obblighi con cadenza annuale e biennale, è rimasta in vigore dal 1° gennaio 2016 al 19 maggio 2017 e ha avuto applicazione per un periodo significativo. Non può ritenersi, pertanto, cessata la materia del contendere.

9.5.2.– L’art. 1, comma 419, lettera a), della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), sopravvenuto alla proposizione dei ricorsi, ha modificato l’art. 1, comma 512, della legge n. 208 del 2015. L’obbligo delle amministrazioni pubbliche e delle società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, originariamente configurato come obbligo di approvvigionarsi «esclusivamente tramite Consip SpA o i soggetti aggregatori», si delinea oggi come obbligo di approvvigionarsi «esclusivamente tramite gli strumenti di acquisto e di negoziazione di Consip Spa o dei soggetti aggregatori».

Lo ius superveniens non determina la cessazione della materia del contendere, poiché – a prescindere dalla controversa portata satisfattiva dell’intervento attuato con la legge n. 232 del 2016 – la norma modificata ha avuto applicazione per un apprezzabile arco temporale (dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016).

Lo scrutinio di legittimità costituzionale verte dunque sul testo originario dell’art. 1, comma 512, della legge n. 208 del 2015 e non può essere esteso alla nuova formulazione della disposizione impugnata, che presenta un diverso contenuto precettivo.

9.5.3.– L’art. 1, comma 419, lettera c), della legge n. 232 del 2016, in vigore dal 1° gennaio 2017, ha modificato l’art. 1, comma 515, della legge n. 208 del 2015, inserendo un riferimento alle acquisizioni di particolare rilevanza strategica di cui all’art. 1, comma 514-bis, introdotto dall’art. 1, comma 419, lettera b) della legge n. 232 del 2016.

Tale innovazione, dettata dall’esigenza di coordinare l’art. 1, comma 515, con la disciplina delle acquisizioni di particolare rilevanza strategica introdotta con la medesima legge n. 232 del 2016, non solo non determina alcuna cessazione della materia del contendere, poiché la norma modificata ha prodotto effetti dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, ma impone di estendere la questione di legittimità costituzionale al nuovo testo della norma impugnata. Il contenuto precettivo della norma vigente non è stato alterato in misura sostanziale, cosicché risultano immutate le ragioni del paventato contrasto con i parametri statutari e costituzionali.

9.6.– Le questioni non sono fondate.

9.6.1.– E’ corretta la premessa, che sorregge i ricorsi delle Province autonome, secondo cui le norme denunciate non si applicano per effetto della clausola di salvaguardia.

Esse non contengono un riferimento testuale ed espresso alle Province autonome, idoneo a vanificare la portata precettiva della clausola di salvaguardia. Le norme sottoposte al vaglio di questa Corte si limitano a menzionare, in linea generale, le amministrazioni pubbliche (art. 1, commi 505, 510, 512, 515, 516 e 517) e gli enti del Servizio sanitario nazionale (art. 1, commi 548 e 549).

9.6.2.– Ciò posto, occorre identificare a quale materia ineriscano le disposizioni censurate, per verificare in quali termini la clausola di salvaguardia sia qui chiamata a tutelare le autonomie speciali.

Questa Corte, sin dalla sentenza n. 36 del 2004 (punto 7. del Considerato in diritto), ha affermato che la disciplina della razionalizzazione e della centralizzazione degli acquisti, pur diversamente modulata nel volgere degli anni, non supera «i limiti di un principio di coordinamento adottato entro l’ambito della discrezionalità del legislatore statale» e finalizzato al contenimento della spesa (nello stesso senso, sentenza n. 417 del 2005 e, con particolare riguardo alla spesa sanitaria, sentenza n. 162 del 2007).

Tale disciplina, difatti, incide «sulla spesa pubblica ai fini del conseguimento di obiettivi di risparmio» (sentenza n. 124 del 2015, punto 3.2. del Considerato in diritto) e, nel perseguire obiettivi di trasparenza e di riduzione dei costi, lascia inalterato «il profilo dell’esercizio proprio delle funzioni spettanti a ciascuna amministrazione coinvolta» (sentenza n. 152 del 2015, punto 2.2. del Considerato in diritto).

L’inquadramento del programma biennale degli acquisti e dell’obbligo di acquisto centralizzato per i beni e i servizi informatici e di connettività e per il settore sanitario si desume anche dalla relazione tecnica che, per le previsioni della legge di stabilità per il 2016, quantifica apprezzabili risparmi complessivi.

I programmi biennali di acquisto di beni di grande rilievo riguardano una parte ragguardevole della spesa della pubblica amministrazione.

Quanto ai beni e servizi informatici e della connettività, essi attengono a un settore di importanza strategica.

Di importanza cruciale si rivela anche la spesa sanitaria, sulla quale interviene l’art. 1, commi 548 e 549, della legge n. 208 del 2015.

Da tali dati emerge che la disciplina censurata, nell’indicare obiettivi di ampio respiro e nell’apprestare misure di carattere generale, incide su un aggregato rilevante della spesa corrente.

Essa ricade, pertanto, in una materia riconducibile a una sfera di competenza provinciale. Si deve dunque escludere l’immediata applicabilità alle Province autonome delle norme che recano princìpi di coordinamento della finanza pubblica. La clausola di salvaguardia esplica la sua funzione di limite all’applicazione delle norme statali, che si verifichi secondo modalità inconciliabili con le garanzie procedurali che presidiano l’autonomia delle Province ricorrenti.

In capo alle Province ricorrenti permane un obbligo di adeguamento della normativa provinciale ai princìpi fondamentali dettati dalla legge statale.

In tale àmbito, difatti, operano le prescrizioni dell’art. 79, quarto comma, secondo periodo, dello statuto, che contemperano la cogenza dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica con il necessario margine di apprezzamento riservato alle autonomie speciali, anche in ragione dell’interferenza della disciplina degli acquisti nel settore pubblico con la potestà legislativa in materia di organizzazione degli uffici (art. 8, numero 1, dello statuto) e di “tutela della salute” (art. 117, terzo comma, Cost.), per quel che concerne specificamente l’art. 1, commi 548 e 549.

Le Province autonome, tenute all’osservanza delle misure di contenimento della spesa, provvedono alle «finalità di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato» e, in tale ottica, secondo la procedura sancita dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, adeguano la legislazione ai princìpi che costituiscono limiti ai sensi degli artt. 4 o 5 dello statuto, «adottando, conseguentemente, autonome misure di razionalizzazione e contenimento della spesa».

Non si può non sottolineare che la stessa Avvocatura generale dello Stato, nel passare in rassegna l’art. 1, commi 505, 510, 512, 515, 516 e 517, evidenzia che, «anche in relazione alle disposizioni in oggetto, appare corretto riconoscere l’operatività della clausola di salvaguardia» (si veda pagina 19 dell’atto di costituzione nel giudizio introdotto con il ricorso n. 10 del 2016 e pagina 23 dell’atto di costituzione nel giudizio introdotto con il ricorso n. 20 del 2016).

10.– La Provincia autonoma di Bolzano prospetta, per l’art. 1, commi 512, 515, 516, 517, 548 e 549, della legge n. 208 del 2015, la violazione degli artt. 99 e 100 dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione (d.P.R. n. 574 del 1988), osservando che «in provincia di Bolzano deve in ogni caso essere garantito il diritto all’uso della propria madrelingua, e ciò vale anche nell’ambito dell’acquisto di beni e servizi».

10.1.– Tali censure non sono fondate.

Le finalità di razionalizzazione e trasparenza, sottese alla disciplina impugnata, che il legislatore provinciale è chiamato a precisare e a definire secondo le modalità previste dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, conducono ad escludere la violazione del principio di parità linguistica. Infatti, le norme impugnate non ostacolano affatto l’acquisto di beni e servizi adoperando le lingue tedesca e ladina.

11.– Le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno promosso questioni di legittimità costituzionale anche dell’art. 1, commi 469, secondo periodo, e 470, della legge n. 208 del 2015.

11.1.– Le norme impugnate, per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione statale (art. 1, comma 469, secondo periodo, della legge n. 208 del 2015) e per il personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale (art. 1, comma 470, della medesima legge), demandano a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, «su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze», la fissazione dei criteri di determinazione degli «oneri per i rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018, nonché quelli derivanti dalla corresponsione dei miglioramenti economici al personale di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» (art. 1, comma 469, primo periodo).

Tali oneri sono destinati a gravare sui «rispettivi bilanci» delle amministrazioni ai sensi dell’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001.

11.2.– Le Province autonome ricorrenti lamentano che l’unilaterale decisione dell’esecutivo contravvenga al principio pattizio, che presiede all’individuazione delle modalità con cui le Province autonome concorrono al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica (art. 79, secondo comma, dello statuto, che rinvia alla procedura del successivo art. 104).

La Provincia autonoma di Trento puntualizza che, anche a volere qualificare la misura in esame come principio di coordinamento della finanza pubblica, sarebbero violate le prescrizioni dell’art. 79, quarto comma, dello statuto di autonomia, in ordine all’inapplicabilità, nei confronti della Provincia autonoma, delle disposizioni statali che prevedono «obblighi, oneri, […] o concorsi comunque denominati». Le Province autonome dovrebbero adeguare la propria legislazione ai princìpi dettati dalle leggi dello Stato, nelle forme delineate dall’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. Nel caso di specie, la fonte statale, peraltro di rango secondario, interverrebbe in maniera unilaterale in un àmbito riservato alla competenza della Provincia autonoma.

Per la parte in cui la norma impugnata non sia dettata da ragioni di coordinamento della finanza pubblica, viene in rilievo la competenza primaria della Provincia in materia di organizzazione di personale (art. 8, numero 1, dello statuto), che sarebbe violata da disposizioni «autoapplicative».

Secondo la Provincia autonoma di Bolzano, le norme impugnate violerebbero anche l’art. 16 dello statuto, in tema di potestà amministrativa delle Province autonome.

La Provincia autonoma di Trento invoca, ove sia in concreto più favorevole, la competenza residuale in materia di organizzazione degli uffici (art. 117, quarto comma, Cost.).

Quanto all’art. 1, comma 470, che estende le previsioni citate al settore della sanità, la Provincia autonoma di Trento, oltre alle enunciate ragioni di contrasto con i parametri costituzionali e statutari, denuncia la violazione dell’art. 9, numero 10), dello statuto, che attribuisce alle Province autonome la competenza concorrente in materia di “sanità”, o dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di “tutela della salute”, invocato in base alla “clausola di maggior favore”.

Nelle materie di competenza concorrente, il legislatore statale dovrebbe limitarsi a porre i princìpi fondamentali.

Le ricorrenti muovono dalla premessa che la normativa non si applichi alle autonomie speciali, in virtù della clausola di salvaguardia di cui all’art. 1, comma 992, della legge n. 208 del 2015, e promuovono in via di mero subordine le questioni di legittimità costituzionale per violazione delle prerogative statutarie.

11.3.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 469, secondo periodo, e 470, della legge n. 208 del 2015 non sono fondate.

11.3.1.– L’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede che, per le Regioni, per le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale, per gli enti locali, oltre che «per le università italiane, gli enti pubblici non economici e gli enti e le istituzioni di ricerca», gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva siano a carico dei rispettivi bilanci.

Quanto alle risorse per gli incrementi retributivi per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali delle amministrazioni regionali, locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale, è il Governo a definirle, «nel rispetto dei vincoli di bilancio, del patto di stabilità e di analoghi strumenti di contenimento della spesa, previa consultazione con le rispettive rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie».

In tale orizzonte si iscrive la disposizione impugnata, che affida a un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione dei criteri per la determinazione degli oneri per i rinnovi contrattuali, con riguardo alle amministrazioni diverse da quelle statali e al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale.

11.3.2.– Anche in questo caso opera la clausola di salvaguardia di cui al citato art. 1, comma 992.

Le norme impugnate menzionano «amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall’amministrazione statale» e il «personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale» e non racchiudono un riferimento testuale e specifico alle Province autonome, incompatibile con la predetta clausola di salvaguardia (sentenze n. 40 del 2016 e n. 156 del 2015) e con il suo ruolo di limite per l’applicazione della normativa statale che contrasti con lo statuto di autonomia e con le relative norme di attuazione.

Nel caso di specie, l’operatività della clausola di salvaguardia si impone per tutelare le prerogative di autonomia delle Province ricorrenti.

11.3.3.– La partecipazione delle Province autonome al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica è ispirata al principio dell’accordo, consacrato dagli artt. 79 e 104 dello statuto di autonomia (sentenza n. 28 del 2016).

Gli oneri per i rinnovi contrattuali gravano sul bilancio delle Province ricorrenti e la fissazione dei relativi criteri di determinazione incide unilateralmente sulla loro autonomia finanziaria, in contrasto con le procedure pattizie previste dallo statuto per la modifica delle modalità con le quali le Province autonome concorrono al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.

Negli àmbiti coinvolti dalle norme censurate, l’autonomia finanziaria si raccorda alla potestà legislativa primaria che compete alle Province autonome in materia di organizzazione degli uffici e del personale (art. 8, numero 1, dello statuto) e alla competenza concorrente in materia di “tutela della salute”, fondata sull’art. 117, terzo comma, Cost. (sentenza n. 371 del 2008).

Le norme impugnate, pertanto, non sono di per sé applicabili alle Province autonome e devono essere recepite mediante le procedure consensuali delineate dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria.

12.– Le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno inoltre impugnato l’art. 1, commi 672, 675 e 676, della legge n. 208 del 2015.

12.1.– L’art. 1, comma 672, della legge n. 208 del 2015, nel testo vigente al momento della proposizione dei ricorsi, demandava a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, «da emanare entro il 30 aprile 2016, sentita la Conferenza unificata per il profili di competenza, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti», la definizione di «indicatori dimensionali quantitativi e qualitativi al fine di individuare fino a cinque fasce» per la classificazione delle società «direttamente o indirettamente controllate da amministrazioni dello Stato e dalle altre amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni». Dall’àmbito applicativo della norma erano escluse le «società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate».

A tali fasce di classificazione delle società era commisurato «il limite dei compensi massimi al quale i consigli di amministrazione di dette società devono fare riferimento, secondo criteri oggettivi e trasparenti, per la determinazione del trattamento economico annuo onnicomprensivo da corrispondere agli amministratori, ai dirigenti e ai dipendenti», entro il limite insuperabile di «euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali e assistenziali e degli oneri fiscali a carico del beneficiario».

L’art. 1, comma 675, della legge n. 208 del 2015 impone alle società a controllo pubblico e alle società in regime di amministrazione straordinaria, con esclusione delle società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate, di pubblicare, entro trenta giorni dal conferimento «di incarichi di collaborazione, di consulenza o di incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali, e per i due anni successivi alla loro cessazione», i dati riguardanti l’atto di conferimento dell’incarico, «l’oggetto della prestazione, la ragione dell’incarico e la durata», il curriculum vitae, «i compensi, comunque denominati, relativi al rapporto di consulenza o di collaborazione, nonché agli incarichi professionali, inclusi quelli arbitrali», «il tipo di procedura seguita per la selezione del contraente e il numero di partecipanti alla procedura».

L’art. 1, comma 676, della legge n. 208 del 2015 subordina alla pubblicazione delle informazioni descritte il pagamento del compenso e, in caso di omessa o di parziale pubblicazione, commina al soggetto responsabile della pubblicazione e al soggetto che ha effettuato il pagamento «una sanzione pari alla somma corrisposta».

12.2.– Le Province autonome ricorrenti censurano le norme indicate, argomentando che si configurano come norme «di estremo dettaglio», lesive della competenza delle Province autonome in tema di ordinamento degli uffici e del personale (art. 8, numero 1, dello statuto) e, per la Provincia autonoma di Bolzano, dell’art. 16 dello statuto in tema di potestà amministrativa delle Province nelle materie e nei limiti in cui spetta la potestà legislativa.

Sarebbe comunque lesa la competenza residuale attribuita alle Regioni in tema di organizzazione amministrativa dall’art. 117, quarto comma, Cost., ove il precetto costituzionale delinei una sfera di autonomia più ampia.

Tali norme, estese ad amministratori, dirigenti e dipendenti, conferirebbero al Ministero dell’economia e delle finanze un potere normativo sulle Province autonome, sprovvisto di fondamento costituzionale, e lederebbero l’autonomia organizzativa degli enti ad autonomia speciale.

Quand’anche fossero qualificabili come princìpi di coordinamento della finanza pubblica, esse incorrerebbero nella violazione dell’art. 79, quarto comma, dello statuto di autonomia, e dell’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, che non prevede la diretta applicazione alla Provincia di quelle disposizioni che stabiliscono oneri e obblighi e l’intervento di una fonte statale di rango secondario, come avviene nel caso di specie (decreto del Ministro dell’economia e delle finanze).

12.3.– Occorre evidenziare, preliminarmente, che le norme impugnate sono state abrogate successivamente alla proposizione dei ricorsi.

Quanto all’art. 1, comma 672, della legge n. 208 del 2015, è stato abrogato dall’art. 28, comma 1, lettera v), del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica). All’abrogazione fa riscontro la riproduzione della norma ad opera dell’art. 11, comma 6, del d.lgs. n. 175 del 2016, che non contempla più l’esonero prima previsto dalla norma abrogata per le società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati e loro controllate.

L’art. 1, commi 675 e 676, della legge n. 208 del 2015, abrogato dall’art. 43, comma 4, del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), è stato integralmente trasfuso nell’art. 15-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), introdotto dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 97 del 2016.

Lo scrutinio di legittimità costituzionale deve essere, con riguardo al comma 672, trasferito e, con riguardo ai commi 675 e 676, esteso, pertanto, alla nuova formulazione, che riproduce, senza alterazioni sostanziali, il contenuto precettivo delle norme impugnate.

Si deve, da ultimo, rilevare che non determinano cessazione della materia del contendere le modifiche apportate dall’art. 7, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 100 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), sebbene la norma originariamente impugnata non abbia ricevuto applicazione, in assenza dell’adozione del decreto ministeriale.

La disposizione sopravvenuta, infatti, nella parte in cui subordina al raggiungimento dell’intesa (e non più al mero parere) in Conferenza unificata l’adozione del decreto ministeriale, non si rivela satisfattiva delle censure proposte dalle ricorrenti. Essa, tuttavia, non legittima il trasferimento della questione, dal momento che il procedimento ivi previsto non consente di imputare alla disciplina da essa recata l’attitudine lesiva prospettata nel ricorso.

12.4.– Le questioni non sono fondate.

L’autonomia organizzativa, che le Province autonome reputano compromessa, si esplica nella scelta dei disparati modelli previsti per lo svolgimento delle finalità istituzionali. Una volta che le Province autonome abbiano scelto un modello societario, hanno anche scelto di rispettarne lo statuto che, pur contraddistinto da «rilevanti profili di matrice pubblicistica», è «riconducibile, in termini generali, al modello societario privatistico» prefigurato dal codice civile (sentenza n. 229 del 2013, punto 10.3. del Considerato in diritto).

La disciplina dei compensi di amministratori, dirigenti e dipendenti, la puntuale regolamentazione del conferimento e della pubblicità degli incarichi di consulenza, di collaborazione e degli incarichi professionali, le previsioni sul pagamento dei relativi compensi, attengono alla materia dell’“ordinamento civile”, di competenza esclusiva del legislatore statale. Le norme impugnate riguardano aspetti eminentemente privatistici, connessi al rapporto negoziale che si instaura tra le società a controllo pubblico e un’ampia platea di soggetti, e, per tali profili, si ravvisa l’esigenza di apprestare una disciplina uniforme a livello nazionale.

La pertinenza delle norme impugnate alla materia dell’”ordinamento civile” non è esclusa dalla peculiarità della regolamentazione rispetto alle previsioni codicistiche (sentenza n. 229 del 2013, anche per ulteriori richiami alla giurisprudenza di questa Corte).

L’inerenza di tale disciplina a una materia di competenza esclusiva statale esclude la fondatezza delle censure di illegittimità costituzionale prospettate dalle ricorrenti con riferimento alla lesione della propria sfera di autonomia.

 

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 219, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», nella parte in cui si applica anche alle amministrazioni delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 228, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119, della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 236, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16 e 79 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento) e all’art. 117, quarto comma, Cost., «in combinazione con l’articolo 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001», dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso n. 10 del 2016, e, in riferimento agli artt. 8, numero 1) e 79, quarto comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, agli artt. 3, 97 e 117, quarto comma, Cost., «in combinazione con l’art. 10 legge cost. n. 3 del 2001», dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso n. 20 del 2016;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 505 e 510, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16 e 79 del d.P.R. n. 670 del 1972, al d.lgs. n. 266 del 1992, e all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., dalla Provincia autonoma di Bolzano, e, in riferimento agli artt. 8, numero 1), e 79, quarto comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, e all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., «in quanto maggiormente favorevoli», dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 512 (nel testo antecedente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 419, lettera a, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019»), 515 (nel testo antecedente e in quello successivo alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 419, lettera c, della legge n. 232 del 2016), 516 e 517, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, 79, 99 e 100 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, al d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, recante «Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari», agli artt. 116, 117, quarto comma, e 119 Cost., dalla Provincia autonoma di Bolzano, e, in riferimento agli artt. 8, numero 1), e 79, quarto comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, e agli artt. 117, quarto comma, e 119, primo comma, Cost., dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 548 e 549, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 9, numero 10), 16, 79, 80, 81, 99 e 100 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), al decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), al d.lgs. n. 266 del 1992, al d.P.R. n. 574 del 1988, al d.P.R. 26 gennaio 1980, n. 197, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e sanità approvate con decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474», all’art. 2 del d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474, recante «Norme di attuazione dello statuto per la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanità», e agli artt. 116, 117, terzo comma, e 119 Cost., dalla Provincia autonoma di Bolzano, e, in riferimento agli artt. 9, numero 10), e 79, quarto comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e all’art. 117, terzo comma, Cost., «in combinazione con l’art. 10 legge cost. n. 3 del 2001», dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 469, secondo periodo, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, 79, secondo e quarto comma, e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla Provincia autonoma di Bolzano, e, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 79, secondo e quarto comma, e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e all’art. 117, quarto comma, Cost., «in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001», dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

8) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 470, della legge n. 208 del 2015, promosse, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), 16, 79, secondo e quarto comma, 80, 81 e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 34, comma 3, della legge n. 724 del 1994, al d.lgs. n. 268 del 1992, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, al d.P.R. n. 197 del 1980, all’art. 2 del d.P.R. n. 474 del 1975 e all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., «in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001», dalla Provincia autonoma di Bolzano, e, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 9, numero 10), 79, secondo e quarto comma, e 104 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e all’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., «in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001», dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 672, della legge n. 208 del 2015, trasferita sull’art. 11, comma 6, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), nella formulazione antecedente alle modifiche apportate dall’art. 7, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 100 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), promosse, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, e 79 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla Provincia autonoma di Bolzano e, in riferimento agli artt. 8, numero 1), e 79, quarto comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e all’art. 117, quarto comma, Cost., «in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001», dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 675 e 676, della legge n. 208 del 2015, nel testo abrogato dall’art. 43, comma 4, del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), estese all’art. 15-bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni), introdotto dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 97 del 2016, promosse, in riferimento agli artt. 8, numero 1), 16, e 79 del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla Provincia autonoma di Bolzano e, in riferimento agli artt. 8, numero 1), e 79, quarto comma, del d.P.R. n. 670 del 1972, all’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 e all’art. 117, quarto comma, Cost,, «in combinazione con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001», dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe.