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In vigore al: 08/03/2016

Corte costituzionale - Sentenza N. 306 del 17.03.1988
Attuazione di direttiva comunitaria in materia di qualità delle acque potabili

Sentenza (10 marzo) 17 marzo 1988, n. 306; Pres. Saja - Red. Corasaniti
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso notificato il 3 settembre 1982 la Provincia autonoma di Trento ha proposto in via principale questione di legittimità costituzionale del d.P.R. 3 luglio 1982 n. 515, nel suo complesso, ed in particolare degli artt. 2, 3, 8 comma 1, e 9 dello stesso, per violazione degli artt. 8, nn. 6, 17 e 24, 9, nn. 9 e 10, 14, 16 e 107 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (statuto speciale per il Trentino Alto Adige) e relative norme di attuazione, nonché dell'art. 76 Cost.
Il decreto impugnato, emanato in base alla delega conferita dalla l. 9 febbraio 1982 n. 42, detta norme volte ad attuare la direttiva CEE n. 75/ 440 del 16 giugno 1985 in materia di acqua potabile.
Il decreto nel suo complesso, in particolare con le disposizioni degli artt. 2, 3, 8 comma 1, e 9, sarebbe lesivo della competenza legislativa ed amministrativa concorrente della Provincia in materia di « utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni a scopo idroelettrico » (art. 9, n. 9, st. e art. 1 d.P.R. 22 marzo 1974 n. 381, recante norme di attuazione in materia di urbanistica ed opere pubbliche).
Inoltre, per quel che concerne il demanio idrico passato in proprietà alle Province (art. 68 st. e art. 8, lett. e), d.P.R. 20 gennaio 1979 n. 115), il decreto impugnato interferisce con la competenza legislativa ed amministrativa primaria della Provincia (art. 5 d.P.R. 22 marzo 1979 n. 381) per le attribuzioni concernenti la polizia idraulica e la difesa delle acque dall'inquinamento; ciò tanto più in quanto l'art. 14 st. prevede un piano generale di utilizzazione delle acque da elaborare d'intesa tra rappresentanti della Provincia e dello Stato.
Ed ancora, a giudizio della Provincia ricorrente, il decreto impugnato interferisce con la competenza legislativa ed amministrativa esclusiva statutariamente attribuite alla Provincia in materia di « tutela del paesaggio », di « viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale » e di « opere idrauliche di terza, quarta e quinta categoria » (art. 8, nn. 6, 17 e 24 st.).
Infine, il decreto impugnato sarebbe illegittimo in quanto la normativa sull'acqua potabile, essendo finalizzata alla prevenzione delle malattie causate dall'acqua cattiva, incide sulla materia della sanità, attribuita alla competenza concorrente della Provincia (art. 9, n. 10 st. e art. 8 d.P.R. 28 marzo 1975 n. 474, che assegna alla Provincia competenza legislativa in ordine alla « profilassi delle malattie infettive o diffusive per le quali sia imposta la vaccinazione obbligatoria »).
La Provincia ricorrente osserva, infatti, che il decreto delegato — che pure, ai sensi dell'art. 3 comma 2 l. delega 9 febbraio 1982 n. 42, avrebbe dovuto mantenere ferme le competenze attribuite alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome — lede le competenze statutariamente attribuite alle Province in quanto:
a) attribuisce allo Stato funzioni che competono alle Province (artt. 2, 8 comma 2, e 9; l'art. 3, poi, elenca i compiti attribuiti alla Provincia, escludendone, peraltro, alcuni di grande rilevanza, mentre in materia la Provincia è titolare di una competenza amministrativa totale);
b) autorizza l'emanazione di disposizioni tecniche dettagliate delle quali nella direttiva CEE non vi è traccia (art. 9);
c) viola il criterio direttivo contenuto nella legge di delega secondo cui le competenze attribuite alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome dovevano rimanere ferme.
Né i suddetti profili di legittimità costituzionale possono essere esclusi, ad avviso della Provincia ricorrente, per il fatto che il decreto impugnato attua una direttiva comunitaria, in quanto, secondo i princìpi affermati dalla Corte in materia (sent. n. 81 del 1979), l'attuazione in via legislativa delle direttive comunitarie non prescinde dall'osservanza dei fondamentali princìpi dell'autonomia e del decentramento.
Il decreto impugnato, si osserva, tratta le Province autonome alla stregua delle Regioni ordinarie pur se per queste ultime vengono, in materia di attuazione di direttive CEE, norme particolari non applicabili alle Province autonome, dovendosi queste ultime attenere solo alle prescrizioni dettate dallo statuto speciale. D'altra parte, la pretesa dello Stato che le Regioni a statuto speciale e le Province autonome non possano conformarsi alle direttive CEE indipendentemente da una legge statale di attuazione e debbano rispettare di tale legge le norme di principio o addirittura disposizioni di dettaglio difformi dalla direttiva, è priva di fondamento.
La Provincia ricorrente, infine, prospetta un profilo di illegittimità costituzionale in riferimento all'art. 76 Cost., in quanto la legge di delega prevedeva l'attuazione delle direttive nel rispetto delle competenze attribuite alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano dai rispettivi ordinamenti statutari.
2. Identiche censure sono rivolte al d.P.R. 3 luglio 1982 n. 515, nel suo complesso, ed in particolare agli artt. 2, 3, 8 comma 1, e 9 dello stesso, dalla Provincia di Bolzano, in riferimento alle medesime disposizioni statutarie.
3. Si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate non fondate.
L'Avvocatura contesta, in primo luogo, il riferimento fatto dalle Province ricorrenti alle competenze in materia di paesaggio ed opere idrauliche, in quanto il decreto impugnato non riguarda in alcun modo la tutela paesistica o il pubblico interesse al buon regime delle acque, al quale provvedono le opere idrauliche. Parimenti non pertinente è, a giudizio dell'Avvocatura, il riferimento alle competenze in materia di utilizzazione delle acque e di acquedotti, in quanto la disciplina posta dal decreto impugnato (art. 1) non interferisce con la disciplina ed i poteri, di competenza provinciale, che stabiliscono l'uso delle acque.
La destinazione di un corpo idrico all'approvvigionamento di acqua potabile decisa dalle competenti autorità è assunta a presupposto della disciplina del decreto impugnato, che è soltanto volto a provvedere alla classificazione delle acque a tale utilizzazione destinate secondo determinati requisiti di qualità.
Il decreto impugnato, in sostanza, prevede solo un piano generale di risanamento delle acque destinate alla potabilizzazione, che è cosa diversa dalla pianificazione delle scelte circa l'uso delle acque prevista dall'art. 14 comma 3 st. T.A.A.
Non pertinente è poi, ad avviso dell'Avvocatura, il riferimento alla competenza provinciale in materia di acquedotti, in quanto il decreto impugnato non concerne la realizzazione di opere pubbliche di tal genere, ma controlli ed interventi esclusivamente riconducibili alla materia « sanità ed igiene ».
Così delimitata la materia alla quale la normativa impugnata è riferibile, l'Avvocatura osserva che le deduzioni delle Province ricorrenti concernono la difformità del ruolo riservato da questa normativa alle Province rispetto a quello loro riservato dalla l. n. 352 del 1976. Ma trattasi di rilievi non condivisibili in quanto, nel caso di specie, la competenza legislativa ed amministrativa delle ricorrenti è concorrente e non esclusiva, e come tale soggetta a princìpi della legislazione statale al pari delle Regioni a statuto ordinario. Inoltre la direttiva CEE che il decreto impugnato è volto ad attuare presenta profili di particolare rigidità che rendono solo teorico il riferimento fatto dalle Province, sulla base della giurisprudenza costituzionale, alla libertà nella scelta dei mezzi per il perseguimento di un certo obiettivo.
Il decreto impugnato, d'altronde, coinvolge profili della materia Sanitaria che sono riservati alla competenza statale. Ai sensi dell'art. 3 d.P.R. n. 474 del 1975, infatti, sono di competenza statale le funzioni inerenti agli aspetti igienico-sanitari della produzione di sostanze alimentari e bevande, tra le quali, certamente, vanno ricomprese le acque destinate ad uso potabile.
 
Considerato in diritto: 1. Le Province autonome di Trento e Bolzano hanno impugnato il d.P.R. 3 luglio 1982 n. 515 (Attuazione della direttiva CEE n. 75/440 concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile), nel suo complesso, e specificamente gli artt. 2, 3, 8 comma 2, e 9 dello stesso decreto, per violazione degli artt. 8, nn. 6, 17 e 24, 9, nn. 9 e 10, 14, 16 e 107 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) e relative norme di attuazione.
I due giudizi, per l'identità della normativa impugnata e dei parametri invocati, si prestano ad essere riuniti e definiti con unica decisione.
2. Il d.P.R, n. 515 del 1982 è stato emanato in base alla l. di delega 9 febbraio 1982 n. 42, per attuare la direttiva CEE n. 75/440 in materia di qualità delle acque potabili, direttiva la cui dichiarata finalità è quella di « fissare in comune » i requisiti qualitativi minimi per le acque superficiali destinate alla produzione di acque potabili in ragione della necessità di tutelare la salute umana.
Muovendosi in tale specifico e ben definito àmbito, il decreto impugnato ha per oggetto i requisiti di qualità delle acque dolci superficiali destinate alla potabilizzazione (art. 1); dispone la suddivisione delle acque in tre categorie (Al, A2 e A3) qualitativamente decrescenti, alle quali corrispondono, per le caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche, determinati valori-limite, suscettivi di deroghe in casi particolari, purché da queste non derivi danno per la salute pubblica (artt. 4 e 5); prevede distinti trattamenti di potabilizzazione delle acque di intensità proporzionata al livello qualitativo della categoria di appartenenza (art. 4); riserva allo Stato l'approvazione di nuove utilizzazioni di acque di qualità inferiore alla categoria A3 (art. 8); assegna al Ministro della sanità l'emanazione delle disposizioni tecniche di rilevamento e analisi (art. 9); ripartisce tra Stato e Regioni le funzioni amministrative in materia (artt. 2 e 3).
3. Avuto riguardo all'obbiettivo conseguito dalla direttiva CEE (tutela della salute umana) ed alla conseguenziale sfera di operatività del d.P.R. n. 515 del 1982, ristretta alla classificazione e al trattamento delle acque per esigenze di ordine igienico-sanitario, del tutto incongruo appare il riferimento, operato dalle Province ricorrenti, alle rispettive competenze esclusive in tema di « tutela del paesaggio », di « viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale » e di « opere idrauliche » (art. 8, nn. 6, 17 e 24 st.). Infatti, la normativa censurata non interferisce in alcun modo sulla realizzazione di opere pubbliche attinenti alla distribuzione delle acque (acquedotti) o di altre opere concernenti il buon regime dei corsi d'acqua per esigenze di sicurezza, né prevede interventi che possano riflettersi sull'assetto del paesaggio. Né la normativa in questione prevede interventi di difesa delle acque dall'inquinamento al di fuori delle specifiche esigenze della potabilità, sicché è incongruo anche il riferimento all'art. 5 d.P.R. n. 381 del 1974, recante norme di attuazione dello statuto in materia urbanistica e di opere pubbliche.
4. L'indagine va pertanto limitata alla dedotta violazione delle competenze, di tipo concorrente, delle Province concernenti le materie dell'« igiene e sanità » (art. 9, n. 9, st.) e della « utilizzazione delle acque pubbliche » (art. 9, n. 10 dello Statuto stesso), questa, peraltro, toccata dalla normativa impugnata in stretta connessione con le specifiche esigenze della potabilità e quindi con la materia dell'igiene e sanità.
Al riguardo deve anzitutto osservarsi che, venendo in esame competenze non primarie delle Province, le stesse subiscono non soltanto il limite del rispetto degli obblighi internazionali dello Stato — fra i quali devono ritenersi compresi, a tale effetto, quelli comunitari — ma anche quello dei princìpi stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 5 st. ).
Ora, poiché, come or ora rilevato, il decreto n. 515 del 1982 concerne la regolamentazione delle acque potabili quale bene essenziale per l'alimentazione umana, come tale meritevole di particolari cautele sotto il profilo igienico-sanitario, non vi è dubbio che il decreto, nel fissare i requisiti minimi di qualità delle acque potabili, attua non soltanto la direttiva CEE, ma anche il principio fissato, in riferimento agli artt. 3 e 32 Cost., dall'art. 4 l. 23 dicembre 1978 n. 833, istitutiva del servizio sanitario. Tale principio ha per oggetto l'uniformità di condizioni e garanzie di salute nell'intero territorio della Repubblica, e prevede, a tal fine, l'emanazione, mediante legge dello Stato, di norme di coordinamento dirette ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale, ed inoltre l'emanazione, mediante decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di misure di coordinamento volte a fissare ed a rivedere periodicamente i limiti di tollerabilità relativi alla concentrazione di fattori inquinanti e alla esposizione ai medesimi. Il decreto impugnato costituisce, per un verso, normativa di attuazione di obblighi comunitari e, per altro verso, atto di coordinamento mediante legge in materia di igiene e sanità, ed anzi, sotto questo secondo profilo, realizza una ulteriore garanzia rispetto a quella richiesta dall'art. 4 l. n. 833 del 1978, in ragione dello strumento adottato (la legge in luogo dell'atto amministrativo).
Infondatamente, pertanto, le Province ricorrenti ritengono invasa la propria competenza concorrente in tema di « igiene e sanità », che, al contrario, la normativa impugnata limita legittimamente.
Quanto alla disposizione (art. 9) che assegna allo Stato la determinazione delle norme tecniche di rilevamento ed analisi, essa si pone in stretta correlazione con il suindicato principio di uniformità risultante dall'art. 4 l. n. 833 del 1978, poiché solo l'uniformità metodiche di indagine può condurre ad uniformità di risultati e quindi ad assicurare la omogeneità di condizioni igienico-sanitarie.
Nè può ritenersi lesiva della competenza provinciale in tema di « utilizzazione delle acque pubbliche » la disposizione (art. 8 comma 1) che subordina all'approvazione dello Stato le nuove utilizzazioni di acque con caratteristiche inferiori a quelle minimali (proprie della categoria A3), poiché anche in tale evenienza viene in risalto una specifica esigenza di salute pubblica, da valutare secondo criteri di tendenziale uniformità di livello di condizioni igienico-sanitarie (al di fuori, quindi, degli obbiettivi programmatori del piano generale di utilizzazione delle acque di cui all'art. 14 comma 3 st.).
Infine, quanto al censurato riparto di funzioni tra Stato e Province (artt. 2 e 3), sarà sufficiente notare come le funzioni attribuite allo Stato siano strettamente correlate all'attuazione — necessariamente unitaria — del più volte richiamato principio dell'uniformità delle condizioni di salute sull'intero territorio (predisposizione di criteri e metodiche di rilevamento; redazione del piano generale di risanamento delle acque destinate alla potabilizzazione; modifica e adeguamento dei valori limite), nonché funzioni di indirizzo e coordinamento rese indispensabili da esigenze inerenti all'osservanza della direttiva comunitaria (impegno degli Stati a migliorare, entro dieci anni, la qualità delle acque), sicché nessuna invasività è prospettabile.
5. Del pari infondata si palesa la dedotta violazione dell'art. 76 Cost., per asserita inosservanza del criterio della salvezza delle competenze delle Province autonome fissato dalla legge di delega (art. 3 comma 2), in quanto il decreto, per quanto sopra esposto, non ha deviato dal criterio stesso.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale del d.P.R. 3 luglio 1982 n. 515 (Attuazione della direttiva CEE n. 757440 concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione di acque potabili) nel suo complesso e degli artt. 2, 3, 8 comma 2, e 9 dello stesso decreto, sollevate dalle Province di Trento e Bolzano con i ricorsi indicati in epigrafe, per violazione degli artt. 8, nn. 6, 17 e 24, 9, nn. 9 e 10, 14, 16 e 107 d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670, e relative norme di attuazione dello statuto, nonché dell'art. 76 Cost.
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