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In vigore al: 08/03/2016

Corte costituzionale - Sentenza N. 452 del 27.07.1989
Ripiano del disavanzo per prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno - Potere ispettivo del Ministero della sanità sulla gestione delle Unità sanitarie locali

Sentenza (19 luglio) 27 luglio 1989 n. 452; Pres. Saja - Red. Baldassarre
 
Ritenuto in fatto: 1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato la Regione Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 commi 1 e 2, e 4 comma 2 l. 1 febbraio 1989 n. 37 (Contenimento della spesa sanitaria), per violazione degli artt. 117, 118, 119, 125 e 130 Cost., nonché in relazione al combinato disposto degli ultimi due articoli menzionati e gli artt. 3 comma 1 e 97 Cost.
L'art. 2 comma 1 l. impugnata, violerebbe gli artt. 117, 118 e 119 Cost., in quanto, nel porre a carico delle Regioni l'eventuale sfondamento del tetto previsto per la spesa causata da prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno, addosserebbe alle Regioni stesse, in contrasto con quanto stabilito da questa Corte con sent. n. 245 del 1984, anche la responsabilità di spese da esse non governabili, dipendenti da centri decisionali statali o da prescrizioni di medici adottate a tutela del diritto alla salute dei cittadini.
Ad avviso della ricorrente, anche l'art. 2 comma 2 l. n. 37 del 1989 lederebbe le competenze regionali, in quanto, nel prevedere l'intervento del Ministro della sanità sulle scelte di merito, sul coordinamento, sulle prescrizioni per la diagnostica e sulla razionalizzazione della diagnostica strumentale, gli attribuirebbe poteri di estrema genericità, comportanti sia atti di carattere puntuale, sia atti normativi, sia misure sostitutive o sanzionatorie nei confronti delle Regioni.
Infine, l'art. 4 comma 2 1. impugnata violerebbe gli artt. 125 e 130 Cost. e, in connessione con questi, gli artt. 3 e 97 Cost. Nel disciplinare il potere di accesso presso le Unità sanitarie locali disposto dal Ministro e nell'integrare tale potere con quello di effettuare ispezioni per la vigilanza della gestione delle predette Unità sanitarie e per l'attuazione del piano sanitario nazionale, l'art. 4, per un verso, contemplerebbe forme di controllo la cui disciplina dovrebbe spettare alle Regioni e, per altro verso, violerebbe l'art. 97 Cost., giacché configurerebbe il Ministro della sanità come un superiore gerarchico delle Unità sanitarie locali o delle Regioni.
Secondo la ricorrente, l'articolo impugnato comporterebbe un'ulteriore lesione delle competenze regionali a partire dal momento dell'adozione del piano sanitario nazionale e della conseguente estensione dei poteri di vigilanza ministeriale ai piani regionali di attuazione. Esso, infatti, configurerebbe una potestà del tutto libera, per nulla « funzionale a scelte operate dalla legge » (contro quanto affermato dalla sent. n. 64 del 1987 di questa Corte) ed aggiuntiva rispetto al sistema dei controlli previsto dagli artt. 125 e 130 Cost. Ed anche se la potestà prevista dall'art. 4 fosse considerata, non già come attività di controllo o strumentale, bensì come potere autonomo e finale, si sarebbe comunque in presenza di una norma illegittima, in quanto questa prevede un potere che non avrebbe i requisiti di validità propri della funzione statale di indirizzo e di coordinamento.
Da ultimo, la ricorrente ravvisa una lesione delle competenze regionali sulla disciplina degli organici delle Unità sanitarie locali allorché l'art. 4 prevede la sottrazione di duecentocinquanta unità di personale delle stesse Unità sanitarie locali comandato presso il Ministero della sanità.
2. Con un ricorso ritualmente notificato e depositato la Regione Lombardia ha impugnato gli stessi articoli di legge oggetto del precedente ricorso per violazione degli artt. 117, 118,119 e 130 Cost., anche in relazione all'art. 27 l. n. 468 del 1978, agli artt. 5, 6, 11, 15, 19, 25, 43, 48-50, 51 e 55 l. n. 833 del 1978, all'art. 13 l. n. 181 del 1982, all'ari 19 comma 1 l. n. 67 del 1988 e all'art. 2 lett. d) l. n. 400 del 1988.
L'art. 2 comma 1, è impugnato dalla Regione Lombardia con motivi analoghi a quelli addotti dal ricorso esaminato in precedenza. Più in particolare, la ricorrente sottolinea come esso violi il principio di copertura finanziaria (art. 81 comma 4 Cost.) che, in forza dell'art. 27 l. n. 468 del 1978, si estende anche alle spese accollate da leggi statali ad enti del settore pubblico allargato. Oltre alla ricordata sent. n. 245 del 1984, porterebbe a tale conclusione la circostanza che la l. n. 37 del 1989 non avrebbe adottato una disciplina sostanziale delle prestazioni sanitarie in questione volta a contenere la spesa nei limiti delle assegnazioni stabilite. E, poiché per le prestazioni specialistiche — a differenza, ad esempio, delle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio — trova piena esplicazione il diritto del cittadino alla libera scelta del medico (art. 19 comma 2 l. n. 833 del 1978), la Regione non potrebbe costringere gli assistiti ad avvalersi dei presidi dell'Unità sanitaria locale anziché di quelli convenzionati. Analogamente sfuggirebbero al governo regionale anche le spese per le prestazioni specialistiche richieste dagli assistiti o per quelle in regime di convenzionamento esterno, regime che, insieme alle tariffe, è disciplinato da leggi statali.
In relazione all'art. 2 comma 2 la Regione Lombardia, oltre a formulare motivi d'illegittimità analoghi a quelli esposti nel precedente ricorso, osserva che i poteri ministeriali ivi previsti non rispetterebbero le forme e le procedure proprie della funzione di indirizzo e di coordinamento, previste dall'art. 5 l. n. 833 del 1978 e dall'ari. 2 lett. d) l. n. 400 del 1988.
Quanto all'art. 4 comma 2, la ricorrente osserva che i poteri ivi contemplati potrebbero dar luogo a interventi collegati a interessi non provvisti da un sufficiente grado di infrazionabilità o di non localizzabilità, contrariamente a quanto richiesto, in particolare, dalla sent. n. 177 del 1986 di questa Corte.
Infine, sempre secondo la ricorrente, la previsione di un apposito corpo comandato, sovrapponendosi alle disposizioni relative all'attività di vigilanza regionale sulle Unità sanitarie locali tramite comando di personale tratto dalle Unità sanitarie medesime (art. 13 comma 3 l. n. 181 del 1987) violerebbe l'art. 97 Cost., sia perché darebbe luogo a una inutile duplicazione dello stesso potere, in conseguenza della quale Ministero e Regioni si contenderebbero il suddetto personale da comandare per i servizi ispettivi, sia perché ne deriverebbe una confusione di competenze e di ruoli con esiti negativi tanto in termini di spreco delle risorse, quanto in termini di inefficienza di risultati.
3. La Provincia autonoma di Trento ha ritualmente notificato e depositato un ricorso sostanzialmente identico a quello proposto dalla regione Lombardia, invocando la violazione dell'art. 9 n. 10, dell'art. 16 e dell'art. 54 n. 5 (concernente la vigilanza e la tutela sugli enti o istituti locali), nonché dell'intero titolo VI dello st. spec. Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670).
4. In tutti i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri per chiedere il rigetto dei ricorsi.
Premesso che l'insieme delle norme impugnate si inseriscono in un'organica manovra di contenimento della spesa sanitaria. L'Avvocatura dello Stato osserva che, in particolare, le norme contenute nell'ari. 2 commi 1 e 2, mirano a porre un freno all'enorme incremento delle spese per prestazioni specialistiche erogate attraverso il convenzionamento; esterno, incremento avvenuto anche a seguito della soppressione della partecipazione alle spese da parie degli utenti, la quale è stata disposta dalla 1, n. 531 del 1987. Tutte le norme impugnate, comunque, essendo dirette a stimolare le Regioni e gli enti locali a contenere la spesa sanitaria nel settore considerato, sarebbero finalizzate al perseguimento di un interesse unitario e non frazionabile, come quello relativo al governo della spesa sanitaria, in armonia con i princìpi stabiliti dalla sent. n. 245 del 1984 di questa Corte, secondo la quale la materia sanitaria ha una peculiarità tutta sua rispetto alle altre materie di competenza regionale.
In particolare, poi, l'art. 2 comma 1, ad avviso dell'Avvocatura dello Stato non contrasterebbe con l'art. 27 l. n. 468 del 1978, dato che la disposizione cardine dell'articolo denunciato sarebbe quella che predetermina l'ammontare della spesa in ambito regionale e che impone agli enti interessati di dispiegare la propria attività istituzionale nel senso del rispetto della misura di contenimento. In altre parole, secondo l'Avvocatura, dalla puntuale applicazione di tale norma non deriverebbe alcun onere finanziario a carico delle Regioni.
Riguardo all'art. 2 comma 2, l'Avvocatura dello Stato sostiene che i poteri ivi previsti rientrerebbero nel legittimo ambito della funzione statale di indirizzo e di coordinamento, in quanto avrebbero un fondamento legislativo nelle norme finalizzate a reprimere l'abuso del ricorso a prestazioni specialistiche a regime convenzionato e sarebbero frutto di una specifica investitura legislativa del relativo potere al ministro della sanità. Del resto, ove tale autorità, nell'esercizio dei suoi poteri, esorbitasse dai limiti propri della funzione, le Regioni non sarebbero prive di mezzi per tutelarsi di fronte ad eventuali illegittimità.
Infine, riguardo all'art. 4, l'Avvocatura dello Stato, dopo aver sottolineato che tale norma è stata adottata in attuazione dell'istituto dell'accesso previsto dall'art. 2 comma 6 l. n. 733 del 1984, osserva che integrare i poteri di vigilanza regionali al fine del miglior funzionamento del servizio sanitario nazionale sarebbe un preciso compito dello Stato in base al principio di « leale cooperazione ».
5. In prossimità dell'udienza la regione Lombardia e la Provincia autonoma di Trento hanno presentato due distinte memorie di identico contenuto, con le quali, sul piano generale, contestano che si sia in presenza di una manovra organica sul contenimento della spesa sanitaria e affermano che si abbia, invece, un insieme di misure estemporanee e frammentane comportanti limiti e vincoli alle Regioni e alle Unità sanitarie locali così estesi e rigidi da impedire a queste ultime qualsiasi azione autonoma programmata ed efficace sul contenimento della spesa sanitaria.
In particolare, le ricorrenti contestano che vi sia un legame fra l'art. 2 comma 1 della legge impugnata e le norme sulla partecipazione degli assistiti alla spesa sanitaria (art. 1 comma 1 l. n. 531 del 1987; art. 12 l. n. 181 del 1982) in quanto sono estranee a queste ultime le prestazioni di medicina specialistica in senso stretto, che pure possono essere fornite in regime di convenzionamento esterno (art. 25 comma 71. n .833 del 1978). E del resto, aggiungono le ricorrenti, se la situazione fosse quella descritta dall'Avvocatura, verrebbe automaticamente dimostrato che le regioni dovrebbero addossarsi un onere derivante dalle scelte statali di sopprimere i ticket e di fissare un tetto massimo di spesa parametrato sull'ultimo esercizio finanziario (1986) nel quale questi erano ancora in vigore. Inoltre, secondo le ricorrenti, si può ben dire che l'obiettivo di contenimento della spesa sanitaria risponda a un interesse unitario e generale. Ma qui, a loro avviso, non si discute di questo: si discute di una particolare misura in base alla quale sono addossate sul bilancio regionale spese derivanti da scelte statali o da prestazioni frutto di un'insindacabile valutazione medica a tutela della salute dei cittadini che gravano obbligatoriamente sulle Unità sanitarie locali.
Riguardo all'art. 2 comma 2, le ricorrenti replicano all'Avvocatura che le procedure d'indirizzo e di coordinamento ivi previste derogano a tutte le norme di legge preesistenti e che i relativi poteri non rispettano il principio di legalità sostanziale in quanto sono « vincolati » soltanto da una generica indicazione finalistica che potrebbe giustificare in concreto le più svariate misure.
Riguardo all'art. 4 le ricorrenti contestano l'opinione dell'Avvocatura sul preteso legame di attuazione della norma impugnata con l'art. 2 comma 6 l. n. 733 del 1984, poiché, mentre in quest'ultimo si parla soltanto di un potere di accesso agli uffici e alla documentazione delle Unità sanitarie locali in relazione alle esigenze della programmazione sanitaria nazionale, nella norma impugnata, invece, si prevede un ben più ampio potere di vigilanza, peraltro aggiuntivo rispetto a quello previsto dalla l. n. 833 del 1978 e dalle successive modificazioni, potere che è del tutto scisso dalla predetta programmazione.
6. Nel corso dell'udienza pubblica le parti hanno per lo più ribadito i loro argomenti. L'Avvocatura dello Stato ha, tuttavia, precisato, relativamente all'art. 2 comma 1 l. n. 37 del 1989, che l'addossamento alle Regioni (o alle Province autonome) degli oneri derivanti da eventuali sfondamenti del tetto di spesa prefissato dovrebbe intendersi ristretto alle decisioni prese dalle Regioni stesse nell'ambito delle competenze loro attribuite.
 
Considerato in diritto: 1. I ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia e quello della Provincia autonoma di Trento contestano la legittimità costituzionale degli artt. 2 commi 1 e 2 e 4 comma 2 l. 1° febbraio 1989 n. 37 (Contenimento della spesa sanitaria) ponendo le seguenti questioni:
a) se l'art. 2 comma 1, nello stabilire che « per l'esercizio 1989 la spesa relativa alle prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno è finanziata con vincolo di destinazione per quote trimestrali corrispondenti, in complesso regionale, agli oneri sostenuti allo stesso titolo nell'esercizio finanziario 1986, integrati con le variazioni nel frattempo intervenute alle tariffe di convenzione, maggiorati del 10 per cento » e nel disporre che «eventuali eccedenze di spesa non possono esser poste a carico dello Stato o del Fondo sanitario nazionale», violi il principio di ragionevolezza e quello di autonomia finanziaria delle Regioni in materia di sanità (artt. 117, 118 e 119 Cost. per le Regioni a statuto ordinario; artt. 9 n. 10, e 16, nonché l'intero titolo VI st. spec. Trentino-Alto Adige per la Provincia autonoma di Trento), in quanto pone comunque a carico del bilancio regionale spese di cui le Regioni (o le Province autonome) non hanno in alcun modo il Governo; ovvero se lo stesso art. 2 comma 1, violi il principio di copertura finanziaria stabilito dall'art. 81 Cost. ed esteso dall'art 27 l. n. 468 del 1978 anche alle spese accollate dallo Stato agli enti del c.d. settore pubblico allargato;
b) se l'art. 2 comma 2 — nell'attribuire al Ministro della sanità il potere di adottare varie misure dirette a rendere più specifiche le prescrizioni per la diagnostica strumentale e di laboratorio, a razionalizzare e a coordinare l'utilizzazione delle strutture pubbliche con compiti di diagnostica strumentale e di laboratorio e, infine, a stabilire indirizzi per la definizione da parte delle Regioni « delle attività di day hospital alternative alla degenza ospedaliera e all'effettuazione di indagini strumentali e di laboratorio esulanti di norma dalla competenza delle strutture pubbliche extraospedaliere » — sia in contrasto con i requisiti di validità propri della funzione governativa di indirizzo e di coordinamento, in quanto non rispetterebbe le procedure previste dalle leggi statali per la deliberazione dei relativi atti, non osserverebbe il principio di legalità « sostanziale » e potrebbe dar luogo a misure concrete e puntuali che vanificherebbero del tutto l'autonomia regionale (o provinciale);
c) se l'art. 4 comma 2, integrando il potere ministeriale di accesso presso le Unità sanitarie locali per le esigenze della programmazione sanitaria «con la potestà di effettuare ispezioni amministrative per la vigilanza sulla gestione delle unità sanitarie locali e sull'attuazione del piano sanitario nazionale», si ponga in contrasto: con il sistema dei controlli previsto dagli artt. 125 e 130 Cost. e, in particolare, con l'art. 130 Cost., che affida alle Regioni il controllo sugli atti degli enti locali; con l'art. 54 n. 5 st. spec, Trentino-Alto Adige, che assegna alle Province autonome la vigilanza e la tutela sugli enti locali; con il principio del buon andamento dell'amministrazione regionale (art. 97 Cost.); ovvero, laddove le attività contestate dovessero essere interpretate come attività a sé stanti e finali (cioè non di controllo), con i requisiti di validità propri della funzione governativa di indirizzo e di coordinamento (strumentalità a interessi infrazionabili, principio di legalità sostanziale, etc.);
d) se l'art. 4 comma 2, disponendo nella sua ultima proposizione normativa che, al fine di svolgere le ispezioni indicate nel precedente punto, il Ministro della sanità è autorizzato ad avvalersi «di personale comandato, fino a un massimo di duecentocinquanta unità, da reperire prioritariamente tra i dipendenti delle Unità sanitarie locali», violi le competenze delle Regioni a statuto ordinario sulla disciplina degli organici delle Unità sanitarie locali (artt. 117 e 118 Cost.) o il principio del buon andamento delle amministrazioni pubbliche, in quanto darebbe luogo a inutili duplicazioni di competenze comportanti inefficienze e sprechi di risorse.
Poiché tutti e tre i ricorsi esaminati hanno ad oggetto le medesime norme di legge, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza.
2. Merita accoglimento la prima delle questioni poste dalle ricorrenti (v. sopra, punto 1 sub a), relativa all'art. 2 comma 1 l. n. 37 del 1989, nella parte in cui prevede che le eccedenze di spesa ivi previste non possano essere addossate allo Stato.
Nell'ambito di una nuova disciplina concernente le prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno — vale a dire le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio che le Unità sanitarie locali non sono in grado di soddisfare entro quattro giorni dalla richiesta (art. 25 commi 8 e 9, come modificati dal d. l. n. 678 del 1981 e dalla l. n. 67 del 1988) e le prestazioni specialistiche che i cittadini possono richiedere indifferentemente ai medici dipendenti dal Servizio sanitario nazionale e ai medici convenzionati (art. 19 comma 2 l. n. 833 del 1978) — la disposizione impugnata prevede un complesso di misure dirette al contenimento delle spese relative alle suddette prestazioni. In particolare, tali misure consistono: a) nello scorporo delle anzidetto spese dal Fondo sanitario nazionale e nel loro finanziamento mediante quote trimestrali con vincolo di destinazione;
b) nella fissazione di un tetto massimo relativo alle stesse spese, il quale corrisponde agli oneri sostenuti allo stesso titolo nell'esercizio finanziario 1986 integrati con le variazioni nel frattempo intervenute alle tariffe di convenzione e con una maggiorazione del 10 per cento; c) nella previsione che le eventuali eccedenze di spesa non possono essere poste a carico dello Stato o del Fondo sanitario nazionale.
Appare evidente che l'ultima delle misure menzionate (sub e), la quale è oggetto della specifica contestazione in esame, parte da un duplice e distinto presupposto giustificativo: per quanto riguarda l'esclusione dell'imputazione al fondo sanitario nazionale di eventuali eccedenze di spesa, si tratta di una misura consequenziale allo scorporo dal Fondo stesso delle spese relative alle prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno; per quanto riguarda, invece, l'esclusione dell'addossamento allo Stato delle medesime eventuali eccedenze, la giustificazione non può non poggiare sulla valutazione che la responsabilità di quelle eccedenze ricada per intero sulle Regioni (o sulle Province autonome). Orbene, mentre il motivo che sta a base della prima delle norme ora ricordate non è affatto illogico e incoerente rispetto alla disciplina predisposta, al contrario la giustificazione che sorregge la seconda norma non può ritenersi in armonia con i princìpi costituzionali che regolano la materia.
Sin dalla sent. n. 245 del 1984, questa Corte ha tenuto a sottolineare che la sanità, sebbene sia ricompresa nell'elenco predisposto dall'art. 117 Cost., «non si risolve in una materia pienamente assimilabile agli altri settori di competenza; regionale, sia per la particolare intensità dei limiti cui sono in tal campo sottoposte la legislazione e l'amministrazione delle Regioni, sia per le peculiari forme e modalità di finanziamento della relativa spesa pubblica, sia, soprattutto, per i tipici rapporti che l'ordinamento vigente stabilisce fra le varie specie di enti ed organismi cooperanti ed interagenti nella materia medesima». Su questa base, dopo aver affermato che non si può presupporre « che le amministrazioni regionali portino (...) l'effettiva responsabilità degli eventuali disavanzi delle USL », in quanto gran parte della spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle stesse deliberazioni degli organi di gestione delle Unità sanitarie locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente a scelte di ordine generale degli organi centrali di governo dettate dall'esigenza di assicurare parità di trattamento fra i cittadini, la stessa Corte ha concluso che doveva considerarsi costituzionalmente illegittima una norma che imponeva comunque alle Regioni il ripiano del disavanzo delle Unità sanitarie locali a prescindere dai fattori che l'avessero prodotto.
La disciplina legislativa intervenuta successivamente alle norme di legge giudicate con la sentenza appena ricordata non ha certo spostato a favore delle regioni la responsabilità della spesa sanitaria, ivi compresa quella per le spese derivanti dalle prescrizioni mediche. In particolare, il legislatore statale, al fine di tentare di far fronte a un considerevole aumento delle spese per prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno in seguito all'abolizione (a partire dal 1° gennaio 1987) dei ticket, ha provveduto, per un verso, a reintrodurre questi ultimi e, per altro verso, ad affidare, con la legge impugnata, al Ministro della sanità nuovi poteri finalizzati al contenimento della predetta spesa, fra i quali l'adozione di varie misure dirette ad eliminare gli oneri derivanti dalla prescrizione incongrua di prestazioni diagnostiche (art. 2 comma 2) e il potere di vigilare sulla gestione delle Unità sanitarie locali utilizzando anche il mezzo delle ispezioni amministrative (art. 4 comma 2). In breve, la l. n. 37 del 1989 conferma che, anche nella specifica materia sulla quale insistono le norme oggetto della contestazione ora in esame, si è in presenza di un complesso di responsabilità in ordine alle decisioni pubbliche incidenti sulla spesa che coinvolge tanto gli organi centrali di governo e, in particolare, il Ministro della sanità, quanto le Regioni e le Unità sanitarie locali.
Pertanto, in base ai princìpi già affermati da questa Corte (sent. n. 245 del 1984), la previsione contenuta nell'art. 2 comma 1 l. n. 37 del 1989, la quale espressamente esclude di porre comunque a carico dello Stato le spese eventualmente eccedenti il tetto fissato dallo stesso articolo di legge, e irragionevolmente lesiva dell'autonomia finanziaria delle Regioni e delle Province autonome. La garanzia di tale autonomia, infatti, comporta che non possano essere addossati al bilancio regionale (o provinciale) gli oneri derivanti da decisioni non imputabili alla regione stessa (o alla Provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di tutelare interessi Pubblici o diritti costituzionali dei cittadini, la cui cura è affidata dalla Costituzione soltanto in parte — e non certo quella essenziale — alla regione.
Del resto, la validità del principio ora ribadito è riconosciuta anche dalla difesa del Presidente del Consiglio dei Ministri, la quale sembra richiedere a questa Corte una pronuncia adeguatrice diretta a limitare in via interpretativa l'imputazione al bilancio regionale delle sole eccedenze di spesa derivanti da decisioni adottate dalle Regioni nell'esercizio delle loro competenze. Ma, in realtà, tale via è preclusa dall'assenza di qualsiasi elemento testuale o sistematico che possa indurre a siffatta restrizione del significato della disposizione in esame. Sicché non resta a questa Corte che dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 comma 1 l. n. 37 del 1989, in quanto pone indiscriminatamente a carico del bilancio regionale (o provinciale) le eccedenze di spesa relative alle prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno.
Resta consequenzialmente assorbito ogni altro profilo di legittimità costituzionale prospettato dalle ricorrenti.
3. Vanno, invece, respinte le questioni di legittimità costituzionale riguardanti l'art. 2 comma 2 lett. a), b), c)l. n. 37 del 1989 (v., sopra, punto 1, sub b).
Per quanto riguarda il potere del Ministro della sanità indicato nella lettera a), vale a dire il potere di adottare misure finalizzate « a specificare nelle prescrizioni per la diagnostica strumentale e di laboratorio le ipotesi diagnostiche cui sono dirette », va innanzitutto escluso che si sia in presenza di un potere riconducibile alla funzione (governativa) di indirizzo e di coordinamento, in quanto, a norma degli artt. 47 e 48 l. 23 dicembre 1978 n. 833, la determinazione dei compiti dei medici esula dalle materie assegnate alle competenze regionali (o provinciali). Per tale motivo cadono le censure prospettate dalle ricorrenti in relazione alla pretesa invasività dell'autonomia regionale da parte dei poteri ministeriali ivi previsti, nonché quelle attinenti alla pretesa inosservanza da parte dei medesimi poteri dei requisiti di validità procedurali e sostanziali propri della funzione di indirizzo e di coordinamento.
A quest'ultima funzione, intesa nel suo senso proprio, non possono essere ricondotti neppure i poteri del Ministro della sanità previsti nella lettera b), vale a dire quelli di adottare misure finalizzate « a razionalizzare l'utilizzazione delle strutture pubbliche con compiti di diagnostica strumentale e di laboratorio, ospedaliere ed extraospedaliero, e a coordinarle al fine di evitare duplicazioni di strumentazione e di personale addetto e di indagini diagnostiche». In tal caso, infatti, si tratta di interventi volti alla razionalizzazione dell'utilizzazione di mezzi e di strutture aventi compiti di diagnostica strumentale e di laboratorio onde evitare duplicazioni di strumentazioni, di personale e di indagini, che, come questa Corte ha già precisato (v. sent. n. 560 del 1988), attengono a forme di coordinamento aventi « natura spiccatamente tecnica », le quali possono essere esercitate anche dal Ministro della sanità, non applicandosi ad esse le regole valide per l'esercizio della funzione governativa di indirizzo e di coordinamento (v. anche sentt. nn. 924 del 1988 e 242 del 1989).
Una conclusione identica a quella raggiunta per le disposizioni da ultimo esaminate deve trarsi anche in ordine al potere del Ministro della sanità di adottare misure finalizzate « alla definizione, da parte delle Regioni, (...) delle attività di day hospital alternative alla degenza ospedaliera, all'effettuazione di indagini strumentali e di laboratorio che di norma esulano dalla competenza delle strutture pubbliche extraospedaliere » (lett. e). Con tale norma, mentre si impone alle Regioni (e alle Province autonome) di stabilire, all'atto in cui procederanno alla ristrutturazione dei presidi ospedalieri (in base al d. l. 8 febbraio 1988 n. 27, conv., con modif. dalla l. 8 aprile 1988 n. 109), la definizione delle attività di day hospital poste in alternativa alla degenza ospedaliera e all'effettuazione delle indagini diagnostiche prima ricordate, nello stesso tempo si attribuisce al Ministro della sanità il potere di adottare « le misure finalizzate alla definizione » anzi-detta. E evidente che tali « misure » non possono non consistere in indirizzi volti a stabilire i criteri generali necessari alla definizione di quelle attività secondo parametri tecnici uniformi. Pertanto, poiché, sulla base della ricordata giurisprudenza di questa Corte, al coordinamento tecnico non si applicano le regole valide per la funzione governativa di indirizzo e di coordinamento, cadono consequenzialmente le censure poste al riguardo dalle ricorrenti.
4. È infondata la questione concernente l'art. 4 comma 2 nella parte i, in cui integra il potere di accesso presso le unità sanitarie locali, già previsto dall'art. 2 comma 6 d. l. 29 agosto 1984 n. 528 (conv. con modif. dalla l. 31 ottobre 1984 n. 733), con «la potestà di effettuare ispezioni amministrative per la vigilanza, fra l'altro, sulla gestione delle Unità sanitarie locali» (v., sopra, punto 1 sub c).
Anche ad ammettere che i poteri di ispezione amministrativa rientrino nelle nozioni di controllo fatte proprie dagli artt. 125 e 130 Cost., non v'è dubbio che, comunque, essi non possono essere minimamente ricondotti alla pur ampia tipologia di controlli contenuta nei predetti articoli. Questi ultimi, infatti, si riferiscono unicamente a controlli (di legittimità e di merito) su atti, mentre la norma impugnata prevede controlli su attività o, più precisamente, sulla gestione delle Unità sanitarie locali.
Nel caso, in particolare, si è in presenza di un potere ispettivo, legato a una più ampia funzione di vigilanza, che lo Stato può giustificatamente esercitare in vista dell'attivazione di meccanismi diretti ad accertare la responsabilità delle Unità sanitarie locali per la lesione di interessi pubblici attribuiti alla cura dello Stato medesimo. Poiché, come si è precisato in precedenza, lo Stato ha una responsabilità concorrente con quella delle Regioni (e delle Province autonome) in ordine al contenimento della spesa sanitaria relativa alle prestazioni specialistiche in regime di convenzionamento esterno, non è costituzionalmente illegittima una disposizione, come quella impugnata, che consente all'amministrazione sanitaria dello Stato di procedere ad ispezioni onde intervenire tempestivamente, nei limiti degli interessi attribuiti alla sua cura, al fine di prevenire o porre riparo a situazioni di consumo abnorme.
Del resto, che in ipotesi ricorra un interesse generale di spettanza statale non è contestato neppure dalle ricorrenti, le quali paventano, piuttosto, che il potere previsto dalla norma impugnata possa essere esercitato anche in casi nei quali ricorrano interessi meramente locali. Ma è evidente che tale eventualità non può portare a una dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che prevede il relativo potere, tanto più che non mancano certo alle Regioni mezzi ulteriori di tutela giuridica, ove siano poste in essere modalità di esercizio di quel potere contrarie alle ripartizioni delle competenze fra lo Stato e le Regioni (o le Province autonome).
Né si può ritenere che, prevedendo un potere statale parallelo ad un analogo potere regionale, la norma impugnata sia irragionevole in quanto può esser causa di duplicazioni, di inefficienze e di sprechi, con violazione del principio costituzionale del buon andamento delle amministrazioni pubbliche (art. 97). Va precisato, innanzitutto, che i poteri di cui si discute hanno ciascuno un proprio raggio di azione, potendo essere esercitati soltanto per la tutela di fini affidati alla cura dell'ente (Stato o Regione) cui quei poteri sono attribuiti.
Può darsi, tuttavia, che il concreto esercizio dei poteri ora definiti avvenga in modo tale da dar luogo a duplicazioni o a parziali sovrapposizioni. Ma, in proposito, questa Corte ha più volte affermato che quando ricorrano ipotesi di possibile interferenza tra poteri regionali e poteri statali, questi devono esser esercitati nel rispetto del principio generale di « leale cooperazione» e, quindi, sulla base di accordi (nel caso che il potere ispettivo abbia ad oggetto anche attività di competenza delle Regioni), di pareri o di contatti, volti ad evitare duplicazioni o inefficienze. Del resto, ove nell'applicazione della disposizione impugnata non si seguissero le procedure di raccordo ora indicate, le Regioni (e le Province autonome) potrebbero avvalersi di ulteriori mezzi di tutela giuridica.
5. Il potere del Ministro della sanità di avvalersi del personale comandato al fine di svolgere le predette ispezioni è oggetto di una specifica contestazione (v., sopra, punto 1, sub d), che deve, tuttavia, ritenersi non fondata.
Non si può individuare una lesione delle competenze regionali (e provinciali) in materia di organici delle Unità sanitarie locali in relazione a una disposizione, come quella impugnata, la quale si limita a prevedere la possibilità che il Ministro della Sanità si avvalga di personale comandato, fino a un contingente massimo di duecentocinquanta unità, da reperire prioritariamente tra i dipendenti delle Unità sanitarie locali, al fine di svolgere le ispezioni previste dallo stesso art. 4 comma 2. Tale disposizione, infatti non tocca minimamente né la disciplina dei comandi, ne la materia degli organici delle Unità sanitarie locali e, pertanto, lascia intatte le relative competenze regionali.
Le considerazioni svolte nel punto precedente della motivazione portano ad escludere anche la fondatezza dell'ulteriore profilo di legittimità costituzionale, sollevato dalla Regione Lombardia e dalla Provincia autonoma di Trento, relativo alla violazione del principio del buon andamento delle amministrazioni pubbliche (art. 97 Cost.).

Per questi motivi

CORTE COSTITUZIONALE

— dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2 comma 1 l. 1° febbraio 1989 n. 37 (Contenimento della spesa sanitaria), nella parte in cui dispone che eventuali eccedenze di spesa non possono essere poste a carico dello Stato;
— dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 comma 2 della predetta l. n. 37 del 1989, sollevata, con i ricorsi indicati in epigrafe, dalle Regioni Emilia-Romagna e Lombardia, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dagli artt. 4 (recte: 5) l. 23 dicembre 1978 n. 833 e dall'art. 2 lettera d) l. 23 agosto 1988 n. 400, e dalla Provincia autonoma di Trento, in riferimento agli artt. 9 e 16 st. spec. Trentino Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), nell'attuazione avuta dalle leggi prima menzionate;
— dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4 comma 2 della predetta l. n. 37 del 1989, sollevate, in riferimento agli artt. 97,
117 e 118 Cost., dalla Regione Emilia-Romagna; in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dagli artt. 11, 15, 43 e 49 l. 23 dicembre 1978 n. 833, nonché all'art. 97 Cost., dalla Regione Lombardia; in riferimento all'art. 97 Cost., all'art. 54 n. 5 st. spec. Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972 n. 670), nonché agli artt. 9 e 16 dello stesso statuto, come attuati dalle leggi prima indicate, dalla Provincia autonoma di Trento.
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